31 marzo 2016 18:41

Le ultime statistiche sull’asilo in Europa sembrano riservare qualche buona notizia per i profughi. Il tasso di accoglienza è passato dal 10 per cento al 60 per cento nell’ultimo trimestre del 2015, il livello più alto di sempre. I numeri delle richieste d’asilo che hanno ricevuto parere positivo in Belgio, Francia, Germania e Paesi Bassi sono molto alti. Sembrerebbe che finalmente gli europei stiano accogliendo i migranti a braccia aperte.

Tuttavia, a uno sguardo più attento queste notizie sono positive solo per i profughi di alcune nazionalità. Il motivo per cui i tassi di accoglienza sono migliorati è che sono aumentate le richieste dai paesi in cui i profughi hanno ottime possibilità di essere accolti. Siriani, eritrei e iracheni, che nel 90 per cento dei casi vengono accolti, rappresentano quasi la metà di tutti i casi, mentre nel 2014 erano solo un quarto. Per altri paesi d’origine il tasso di accoglienza si fermava al 28 per cento, e non c’è stato alcun salto.

Secondo questo principio, paesi che sembrano accoglienti per i migranti forse stanno semplicemente accogliendo molti richiedenti asilo provenienti da paesi a cui viene riconosciuta un’alta priorità. La Danimarca, per esempio, ha accolto l’81 per cento delle richieste d’asilo nel 2015, mentre la Polonia ne ha accolte solo il 18 per cento.

In Danimarca però i tre quarti delle domande provenivano da siriani, eritrei o iracheni. Dal momento che la violenza e la repressione nei loro paesi d’origine è nota in tutta Europa, registrano i tassi di accoglienza più alti nel continente, rispettivamente del 97 per cento, dell’86 per cento e del90 per cento. Al contrario più dei tre quarti dei richiedenti asilo in Polonia sono ucraini o russi; altri paesi europei li ammettono solo, rispettivamente, nel 36 per cento e nel 27 per cento dei casi.


Per una valutazione corretta dell’ospitalità nei diversi paesi europei per i richiedenti asilo sarebbe necessario prendere il tasso di riconoscimento di ciascun paese di accoglienza rispetto a ciascun paese d’origine e compararlo con la media europea rispetto allo stesso paese d’origine. Così facendo, emergono dei dati inaspettati.

Il tasso di accoglienza della Danimarca, corretto in base a questo criterio, è inferiore alla media regionale. Bulgaria, Svezia, Olanda e Cipro vantano delle percentuali complessive di accoglienza superiori al 70 per cento, ma sono sotto la media europea se si tiene conto dei paesi di provenienza dei richiedenti asilo. Il tasso di riconoscimento della Polonia passa invece dal 18 per cento al 34 per cento.

Molti paesi mostrano un’insolita simpatia per imigranti provenienti da paesi particolari con cui intrattengono legami storici. Malta, che in base a questi criteri vanta un tasso di accoglienza di 33 punti percentuali sopra la media, ha accettato tutti i 770 profughi provenienti dalla vicina Libia.

La Svizzera, che ospita tra i 30mila e i 40mila tamil, ha dovuto affrontare il caso imbarazzante di due tamil deportati nel 2013 e torturati nel loro paese d’origine; e per questo adesso riconosce l’asilo aiprofughi dallo Sri Lanka con una percentuale tre volte superiore rispetto al resto del continente. Dei 120 cubani che hanno trovato rifugio in Europa, quasi la metà è stata accolta nella Repubblica Ceca.

E gli stati più chiusi? La Romania ha un tasso di riconoscimento del 15 per cento, il più basso d’Europa: questo potrebbe essere dovuto al fatto che i richiedenti asilo che proseguono il loro viaggio verso gli stati confinanti e non si presentano ai colloqui di valutazione vengono contati tra i “respinti”.

Nella Grecia in piena crisi economica, un sistema di asilo privo dei finanziamenti necessari produce valutazioni affrettate basate su informazioni inadeguate. Forse l’unico paese tra quelli inospitali che non ha una “scusa” convincente è il Regno Unito. In base ai rapporti del ministero dell’interno che minimizzano la minaccia di persecuzioni in Eritrea, il Regno Unito ha accettato solo il 42 per cento dei 1.645 eritrei che hanno fatto richiesta di asilo nell’ultimo semestre di cui abbiamo dati disponibili. La media europea era del 91 per cento.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dal settimanale britannico The Economist.

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