20 marzo 2017 15:48

È una storia che si ripete: in Africa orientale la siccità rischia di trasformarsi in carestia. Secondo le Nazioni Unite milioni di persone avrebbero bisogno con urgenza di assistenza umanitaria. Tra i paesi più colpiti c’è il Sud Sudan, dove il governo ha già dichiarato lo stato di carestia. In Somalia, gli abitanti di molti villaggi stanno abbandonando le loro case per raggiungere le città alla ricerca di cibo.

“Al villaggio non è rimasto più nessuno”, spiega all’Afp Miriam Ibrahim, che insieme ai suoi sette figli e ad altre due famiglie è tra gli ultimi ad aver abbandonato il loro villaggio nel sudovest della Somalia. Dopo aver caricato gli effetti personali – coperte, materassi, utensili e vestiti – su un carretto noleggiato per l’occasione trainato da un asino, hanno camminato per venti chilometri fino a raggiungere Baidoa, la città più vicina.

Migliaia di persone, come lei, arrivano a Baidoa ogni giorno, con i vestiti strappati e sporchi. La mancanza di pioggia e i raccolti quasi inesistenti minacciano di trasformare la terribile siccità in carestia.

L’Onu ha annunciato che questa potrebbe essere “ la peggiore crisi umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale”. L’allarme carestia è stato già lanciato in alcune zone del Sud Sudan, in Somalia, nello Yemen e in Nigeria. In totale circa venti milioni di abitanti sono minacciati dalla carestia in questi quattro paesi. Di fronte a questa catastrofe l’Onu vorrebbe raccogliere almeno 825 milioni di dollari per aiutare la Somalia e 1,6 miliardi di dollari per il Sud Sudan.

Il numero di pazienti che si iscrivono al programma dell’Unicef per l’alimentazione aumenta a un ritmo esponenziale

Per i somali, il ricordo della carestia del 2011 che uccise 250mila persone è ancora vivo. Miriam Ibrahim spiega che la situazione attuale sembra peggiore. Adesso tutti si preparano al peggio. Il cibo è cominciato a mancare dopo che i pozzi si sono seccati. La poca acqua rimasta disponibile è inquinata. Ma lei ha deciso di lasciare la sua casa dopo l’epidemia di colera che ha colpito il suo villaggio a fine gennaio.

Muslima Jusow è nata 25 anni fa, e anche lei è sopravvissuta alla carestia del 2011. Ma quest’anno la siccità l’ha costretta ad abbandonare la sua casa. All’inizio di marzo ha lasciato Roobey, il suo villaggio di agricoltori, e ha raggiunto Baidoa con i suoi sei bambini, camminando verso nord per quattro giorni. Quando le si chiede perché lo ha fatto, lei mimando qualcuno che cerca di mangiare con le dita risponde: “La sete, la fame”.

Al centro sanitario Deeg-Roor, letteralmente “prime piogge”, Abdirahim Mohamed spiega che il numero di pazienti che si iscrivono al programma dell’Unicef per l’alimentazione aumenta a un ritmo esponenziale. A febbraio sono stati ammessi 75 bambini, il doppio rispetto al mese precedente. Mohamed prevede che il numero di bambini ricoverati aumenterà ogni mese.

Dall’inizio dell’anno il colera ha infettato undicimila persone e ne ha uccise 286, solo in Somalia. I tuk-tuk locali portano senza sosta nuovi pazienti, e i visitatori vengono cosparsi di una soluzione disinfettante quando escono dall’edificio.

Fuori dall’ospedale i campi di sfollati continuano a espandersi. A febbraio, secondo l’Onu, si erano registrate nei campi 3.967 nuove famiglie. Nella prima settimana di marzo se ne erano registrate già 2.929. Con una media di sei persone a famiglia, si stima che 2.500 persone arrivano quotidianamente a Baidoa. Le condizioni dei campi sono pessime: la temperatura nel pomeriggio raggiunge i 40 gradi e tra i vicoli soffia un vento bollente.

Le previsioni meteorologiche per le prossime settimane non sono buone, anzi si calcola un aumento della siccità. In questa zona del paese, la carestia del 2011 venne chiamata terimbow, la stagione della morte. Alla carestia di quest’anno ancora non è stato dato un nome.

(Traduzione di Martina Ciai)

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