16 settembre 2023 12:02

Il 16 settembre 2022 è morta a Teheran Mahsa Jina Amini, una curda iraniana di 22 anni che tre giorni prima era stata arrestata dalla polizia religiosa con l’accusa di indossare il velo in modo inappropriato. Da allora in tutto l’Iran si è diffusa una mobilitazione contro il regime, in cui le donne, anche molto giovani, sono state in prima linea. La reazione delle autorità è stata durissima: circa cinquecento persone sono state uccise e almeno ventimila arrestate; sono state eseguite le pene capitali di sette uomini accusati di essere coinvolti nelle proteste e altre decine sono stati condannati a morte.

Con l’avvicinarsi dell’anniversario la repressione si è intensificata, con arresti, controlli, licenziamenti e abusi nei confronti delle persone considerate vicine al movimento. Ma nonostante la forza e la violenza messe in campo, il regime non è riuscito a schiacciare del tutto la contestazione. Dentro il paese la rivoluzione femminista delle iraniane ha portato a cambiamenti impensabili fino a un anno fa, mentre la sua eco continua a risuonare in tutto il mondo.

In occasione del primo anniversario della morte di Mahsa Jina Amini e dell’inizio della contestazione in Iran, l’Assemblée féministe transnationale, una rete di femministe francesi nata per sostenere il movimento delle donne iraniane, ha pubblicato questo manifesto che oggi viene tradotto in più lingue e pubblicato in Francia, Portogallo, Argentina, Cile, Italia e su Radio Zamaneh, la piattaforma d’informazione della diaspora iraniana. Il testo sarà letto e diffuso in video da attrici in vari paesi, in Italia da Silvia Calderoni e Jasmine Trinca.

Il manifesto è stato sottoscritto da moltissime donne, collettivi e associazioni, tra cui: la scrittrice e vincitrice del premio Nobel Annie Ernaux, l’attrice a attivista Adèle Haenel, la filosofa statunitense Judith Butler, l’attivista e filosofo Paul B Preciado, la filosofa francese Elsa Dorlin, la regista iraniana Sepideh Farsi, l’attivista francese Assa Traoré, la sceneggiatrice e regista Céline Sciamma, i collettivi Ni Una Menos (Argentina), Queer sex workers (Kenya), Feminita KZ (Kazakistan), LASTESIS (Cile). Tra le firme italiane ci sono quelle di Asia Argento, MEG, Sabina Guzzanti, Jasmine Trinca, Silvia Calderoni, Nicole De Leo, MP5, Daria Deflorian. Si può firmare qui.

L’obiettivo, spiegano le attiviste dell’Assemblée féministe transnationale, è mostrare solidarietà alle iraniane e agli iraniani ed evidenziare il filo rosso che unisce questa contestazione alle altre che in tutto il mondo scuotono l’ordine imposto dal capitalismo, dal colonialismo e dal patriarcato. Come la protesta scoppiata in Francia dopo la morte di Nahel M., un ragazzo di 17 anni ucciso da un poliziotto, e repressa duramente dalle forze dell’ordine. Ma ci sono anche i movimenti dei quartieri popolari delle città europee, quelli in corso in tanti paesi, dalla Palestina al Brasile fino al Libano, al Sudan e all’Afghanistan.

Di fronte ai giochi di potere, allo sfruttamento e all’oppressione in atto in Iran ma anche nel resto del mondo, il movimento femminista vuole imparare dal movimento Donna, vita, libertà che ha guidato la protesta in Iran, per organizzare una lotta transnazionale in grado di cambiare il sistema.

Qui sotto si può leggere il manifesto completo in italiano.

“Il 16 settembre 2022 Jina Mahsa Amini, una curda di 22 anni, è morta a Teheran dopo essere stata picchiata dalla polizia religiosa. Il suo omicidio ha portato a una rivolta che ha scosso l’Iran e si è propagata in tutto il mondo. Donna*, vita, libertà, uno slogan politico usato originariamente in Kurdistan, è diventato un grido di battaglia per la mobilitazione iraniana, in uno slancio insurrezionale vitale e globale, capace di assumere forme diverse che non chiedeva nulla e pretendeva tutto.

Con il passare dei mesi e di fronte a una sanguinosa repressione, la rivolta non ha mai smesso di evolversi. E ha dato vita a una rete di solidarietà senza precedenti: manifestazioni spontanee in ogni quartiere, abitanti che lasciano le porte aperte per offrire protezione ai manifestanti in fuga, manifestazioni notturne davanti alle carceri per opporsi alle esecuzioni, scioperi dei negozianti. I sindacati, in uno storico comunicato congiunto, hanno chiesto condizioni di lavoro dignitose, la fine delle politiche che distruggono l’ambiente, degli arsenali nucleari e della privatizzazione delle aree naturali, ma anche l’uguaglianza politica per le donne, per le minoranze etniche e nazionali e per le persone lgbtqia+, che sono state in prima linea nella rivoluzione. Perché la rivoluzione femminista iraniana è una rivoluzione totale.

La questione non è se indossare o meno il velo. Nel contesto islamofobico dell’Europa non si ripeterà mai abbastanza che spetta alle donne decidere. La posta in gioco della legge iraniana che impone alle donne d’indossare il velo in Iran è il controllo e la sottomissione di tutti i corpi da parte dello stato, con l’obiettivo di permettere a una minoranza di monopolizzare le risorse.

La Repubblica islamica governa attraverso l’apartheid di genere e il razzismo di stato. Si regge solo grazie al dispiegamento sfrenato di un sistema di polizia che agisce secondo criteri razziali nei confronti delle popolazioni che vuole tenere sotto controllo. Tutte queste tecniche permeano l’economia coloniale globale. Le vite non contano: questa realtà è emersa con evidenza in Francia nel giugno 2023 con l’omicidio di Nahel, l’adolescente ucciso a Nanterre da un poliziotto durante un controllo stradale, e la sanguinosa repressione delle rivolte che ne sono seguite. La ritroviamo a tutti i livelli: dalle coste del Mediterraneo, dove i respingimenti dei migranti hanno trasformato il mare in un cimitero, ai sobborghi delle città europee, e anche a Mayotte e nella Guyana francese, in Brasile, Palestina, Sudan, Libano, Afghanistan e Iran.

Il nucleo del femminismo che difendiamo è la lotta contro questo susseguirsi ininterrotto di violenza e disumanizzazione in atto nel capitalismo. Finché non faremo sentire la nostra voce, il femminismo rimarrà monopolizzato a favore di un discorso che legittima questo ordine. È successo un anno fa: le potenze occidentali hanno espresso grande ammirazione per il “coraggio delle donne iraniane”, mentre stendevano il tappeto rosso a un femminismo liberale, islamofobico e transfobico, attento a separare la lotta per i diritti delle donne dalle lotte contro tutte le oppressioni denunciate dalla rivolta iraniana. Oggi quegli stessi governi occidentali, nei loro giochi di potere internazionali approfittano della destabilizzazione della Repubblica islamica causata dalle proteste di piazza per abbandonare il paese a spaventose ondate di esecuzioni, arresti e torture. Non è mai stato così chiaro che l’emancipazione dei popoli è una questione inesistente sulla scena internazionale. Ecco perché il silenzio femminista non è un’opzione e l’ignoranza non è una scusa.

Anche se i percorsi della rivoluzione non si possono decidere a tavolino, è comunque essenziale scambiare conoscenze e competenze con la resistenza locale, mantenere reti di solidarietà concreta e tessere la trama di un popolo mobilitato su scala globale. Abbiamo urgentemente bisogno di imparare dalla resistenza e dai metodi del movimento Donna*, vita, libertà e di sostenere i nostri compagni e le nostre compagne iraniane di fronte alla repressione. Perché qui, come laggiù, abbiamo a che fare, in modi diversi, con apparati statali nelle mani di frange radicalizzate della borghesia, la cui retorica, religiosa o laica, nasconde sempre meno un progetto simile e concorrente di acquisizione della ricchezza e di sfruttamento di tutti gli esseri viventi. Oggi, dopo un anno di lotte sociali in Francia e in Iran, noi attiviste di diverse organizzazioni, unite da preoccupazioni femministe anticapitaliste, sappiamo quanto sia estenuante la lotta nell’attuale equilibrio di potere. Questo esaurimento è parte integrante delle tecniche di governo contro i popoli. Siamo collettivamente gettati nel caos climatico, il nostro futuro ipotecato dalle catastrofi, il nostro presente soffocato dallo stress, dalla repressione, dalle profilazioni razziali, i corpi esauriti dal lavoro, dalla povertà, dall’illegalità, dalla mancanza di cure e di considerazione. Non ci è mai stato così chiaro che la retorica sulla sicurezza che ci viene propinata quotidianamente dai mezzi d’informazione di proprietà di un’oligarchia reazionaria riguarda in realtà la sicurezza dei campi da golf. Sicurezza per il capitale fino a che il mondo crepa.

Questa constatazione non deve farci perdere di vista il fatto che non solo è necessario, ma anche possibile organizzare le nostre forze e cambiare il corso degli eventi. È una svolta stretta, non facile, ma fattibile. E cominciamo affermando che consiste, dalla nostra posizione, nel far uscire urgentemente il femminismo europeo dalla sua negazione, nell’affrontare e combattere di petto la sua storia coloniale e nell’orientare le nostre pratiche verso la solidarietà e la riflessione transnazionale.

La rivoluzione iraniana non solo si oppone alle politiche mortificanti della Repubblica islamica, ma delinea un progetto per una società postcapitalista che si basa sulla solidarietà e sull’emancipazione. È una lezione di movimento, di reinvenzione politica e teorica, ed è per questo che la lotta iraniana è la lotta delle femministe e dei movimenti delle donne di tutto il mondo. Donna*, vita, libertà.”

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