29 marzo 2017 15:33

Municipio di Parigi. Nel suo ufficio dai toni chiari strapieno di documenti e carte, Christophe Najdovski, del partito dei Verdi e vice della sindaca Anne Hidalgo, all’improvviso si alza per aprire la finestra che affaccia sull’affollata rue de Rivoli.

“Vogliamo rimettere l’auto al posto giusto”: è così che Najdovski spiega la politica in corso a Parigi, che non passerà senza resistenze e polemiche in quanto prevede la chiusura al traffico automobilistico di una parte di strada sulla riva destra della Senna, provvedimento entrato in vigore dall’estate del 2016.

Parigi non è la prima grande città a lanciarsi nella limitazione delle automobili. In Europa – dal piccolo centro urbano alla grande metropoli – sempre più città stanno proponendo disposizioni antiauto: divieto di transito nel centro storico, pedaggi per entrare, zone riservate ai veicoli elettrici. Questi sono solo alcuni degli esempi: Oslo vieterà l’ingresso alle automobili nel centro storico a partire dal 2019; Pontevedra, una città costiera della Galizia, in Spagna, ha fatto praticamente sparire le auto dal suo perimetro urbano; Stoccarda vieterà le auto diesel dall’anno prossimo; Parigi farà lo stesso entro il 2020. La tendenza è forte, a livello mondiale.

Nel mondo circolano attualmente tra 1,5 e 2 miliardi di automobili. È difficile negare che questa abbondanza comporti dei seri danni per le città, soprattutto nelle metropoli. Una questione rilevante è ovviamente l’inquinamento dell’aria, che provoca una mortalità da cinque a dieci volte superiore rispetto agli incidenti stradali, ma se ne parla di meno. Il costo per risolvere a livello mondiale i problemi di salute causati dal traffico automobilistico è di circa 800 miliardi di euro.

Ma non è tutto. Lo stesso traffico automobilistico ha un costo. Secondo Graham Cookson, l’economista capo dell’istituto Inrix, specializzato nello studio dei trasporti, il traffico negli Stati Uniti priva l’economia mondiale di 280 miliardi di euro di pil, questo significa che più dell’1,5 per cento della ricchezza prodotta va in fumo. “Calcoliamo questo importo dando un prezzo al tempo perso nel traffico e stimando il consumo eccessivo di carburante”, spiega Cookson.

Inoltre, c’è la semplice razionalità. Secondo uno studio di Le Monde, a Parigi il 13 per cento degli spostamenti avviene con mezzi motorizzati, ma occupa il 50 per cento della rete stradale.

Un cambiamento scomodo
Le polemiche che riguardano quest’evoluzione sono molte. Soprattutto da quelli che pensano di rimetterci dalla novità: i commercianti. A Grenoble, i lavori per il progetto voluto dal sindaco della città Eric Piolle, entreranno in una fase decisiva a partire dalla metà di aprile. Il progetto prevede di rendere pedonali molti settori della città e di trasformare una zona di passaggio in un’area riservata, che comprenderà tra le altre cose un’autostrada per biciclette. Con l’avvicinarsi dei lavori, il governo della città è regolarmente accusato dai suoi avversari politici di “asfissiare la città”.

La rivolta monta anche a Bruxelles. Nel giugno del 2015 il boulevard Anspach, un’arteria centrale della città, è stato chiuso alla circolazione delle autovetture, moltiplicando per due la superficie del settore pedonale e scatenando la rabbia su giornali e social network. Associazioni di commercianti e oppositori politici denunciano “l’inaccessibilità del centro città” e rimproverano al sindaco l’assenza di modifiche sullo spazio pedonale. Sui pannelli che indicano il divieto di transito alle macchine, una mano arrabbiata ha scritto: “Basta pedonalizzare!” a caratteri cubitali.

L’industria automobilistica prende le misure
I commercianti non sono i soli a ribellarsi. L’industria automobilistica, chiaramente toccata da queste mutazioni profonde, fiuta il problema imminente. Nelle corsie del Salone automobilistico di Ginevra, che ha chiuso i battenti il 19 marzo, non si esita a parlare di autofobia. Nel campo ecologico però si relativizzano le critiche: “Non si tratta di eliminare l’automobile”, sottolinea l’urbanista Frédéric Héran. “Sarebbe comunque impossibile: un buon quarto della circolazione consiste negli spostamenti dei taxi e nei servizi di consegna e d’urgenza”.

Stiamo assistendo al tramonto lento e dolce dell’automobile? Non è così semplice, perché, dichiarata moribonda quindici anni fa, è al meglio della sua forma, gonfiata dal vento dei Suv. Inoltre anche l’automobile ha fatto la sua rivoluzione tecnologica. Sempre più elettrica, autonoma e connessa, è pronta ad adattarsi a questa nuova realtà.

L’altra attività che potrebbe riportarla in voga è la condivisione dell’autovettura: una macchina accessibile collettivamente, non più posseduta ma utilizzabile di tanto in tanto. Niente di nuovo: a Parigi il servizio di auto elettriche Autolib ha compiuto cinque anni ed è usato da 320mila persone. Le aziende interessate sperimentano: vengono dal settore del noleggio auto, come la statunitense Zipcar o Ubeeqo, che si sono associate al piano trasporti del comune di Parigi. Ma è un settore che interessa anche i costruttori di automobili. Le aziende tedesche sono all’avanguardia. La Mercedes propone Car2go e prevede d’investire due miliardi di euro nella mobilità entro il 2020. La Bmw annuncia 825mila abbonati in Europa al suo servizio DriveNow, “un’attività redditizia” secondo l’industria di Monaco. Nissan propone da febbraio l’offerta Get&Go, che consiste nel comprare una Micra in multiproprietà.

Insomma, l’auto in condivisione è il futuro. Conosciamo i minibus elettrici senza conducente o il programma parigino di minibus condivisi su richiesta (cinque euro a tratta). Ad Amsterdam, Connexion, una filiale di Transdev francese, ha lanciato con successo Abel, un sistema di taxi elettrici con il quale più persone condividono il taxi, più il prezzo è basso.

In questa lotta tra titani una piccola industria sta prendendo il via, quella della bicicletta elettrica. Il volume è ancora modesto: in Francia nel 2016 sono state vendute circa 130mila biciclette elettriche. Ma la crescita annuale tra il 25 e il 30 per cento del settore promette di accontentare tutti i giganti dei trasporti.

(Traduzione di Martina Ciai)

Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano francese Le Monde.

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