26 novembre 2015 16:07

Un nero ucciso da un poliziotto bianco, un video che mostra l’episodio in tutta la sua violenza, migliaia di persone che protestano contro la brutalità degli agenti, richiami alla calma da parte delle autorità locali, le forze dell’ordine dispiegate per contenere la rabbia: una sequenza di eventi che nell’ultimo anno e mezzo – dalle morti di Michael Brown a Ferguson e di Eric Garner a Staten Island – si è verificata con una frequenza impressionante e in modo da provocare un fastidioso senso di assuefazione.

Sedici colpi senza avvertimento

Due settimane dopo le proteste di Minneapolis, dove centinaia di persone hanno manifestato per chiedere giustizia per Jamar Clark, un nero morto durante un arresto in circostanze poco chiare, ora è arrivato il momento di Chicago.

Per due giorni migliaia di persone sono scese in strada dopo aver visto il video della morte di Laquan McDonald, un afroamericano di 17 anni ucciso il 20 ottobre 2014: nel filmato (girato da una telecamera a bordo di un’auto della polizia) si vede McDonald camminare al centro di una strada, varie volanti della polizia che arrivano a sirene spiegate, due poliziotti che escono dalle auto e puntano le loro pistole contro il ragazzo. Prima che McDonald abbia il tempo di rendersene conto, e senza che gli agenti abbiano provato a convincerlo a lasciare a terra il suo piccolo coltello pieghevole, uno dei due poliziotti, Jason Van Dyke, apre il fuoco, sparando sedici colpi di pistola: una prima raffica che fa cadere McDonald sull’asfalto, il resto mentre il ragazzo è a terra, probabilmente già morto.

Tra le grandi città statunitensi Chicago è quella dove le forze di polizia hanno raggiunto i livelli di brutalità peggiori

La capitale dell’Illinois, la terza città più popolosa degli Stati Uniti, ha una storia di rapporti razziali intensa e difficile, fatta di grandi battaglie per i diritti delle minoranze e di importanti esperimenti di attivismo civico (come quelli a cui ha partecipato Barack Obama prima di entrare in politica), ma anche caratterizzata da una frattura enorme tra il potere bianco e le periferie a maggioranza nera, chiuse nell’isolamento del South Side e di altri quartieri poveri.

E tra le grandi città statunitensi Chicago è probabilmente quella dove le forze di polizia hanno raggiunto i livelli di brutalità peggiori, spesso dando la sensazione di essere capaci di sfuggire al controllo delle autorità politiche.

Negli ultimi mesi il quotidiano britannico The Guardian ha pubblicato varie inchieste che hanno fatto luce su uno degli abusi più gravi commessi dalla polizia statunitense negli ultimi decenni: le detenzioni illegali nella struttura di Homan square.

Secondo i dati pubblicati dal Guardian, tra il 2004 e il 2015 settemila persone sono state prelevate dalle loro case o fermate per strada da agenti in borghese e portati a Homan square, interrogati o tenuti in stato di fermo per ore senza la possibilità di rivolgersi a un avvocato o fare telefonate. La grande maggioranza delle persone fermate (più dell’80 per cento) era composta da cittadini neri, il più delle volte fermati per possesso di droga – soprattutto eroina, ma anche marijuana e cocaina – e a volte per infrazioni di poco conto: violazioni del codice stradale, aver urinato in pubblico o aver guidato senza la cintura di sicurezza. Quei trattamenti ricordano in parte le extraordinary rendition – gli arresti extragiudiziali compiuti in varie regioni del mondo dai servizi segreti statunitensi dopo gli attacchi dell’11 settembre – e hanno creato una struttura parallela rispetto alla giustizia ufficiale.

L’agente che ha sparato a McDonald sarà processato per omicidio volontario. Ma non è detto che questo basti a placare la rabbia

Le ricadute di queste violazioni sono pesanti anche al livello sociale ed economico: negli ultimi dieci anni il comune di Chicago ha speso più di 520 milioni di dollari in spese legali, consulenze nei processi e risarcimenti alle famiglie delle vittime in casi legati alle violazioni della polizia. Una somma che non comprende i cinque milioni di dollari che le autorità cittadine hanno accettato di pagare come risarcimento per la morte di Laquan McDonald. Soldi che invece potrebbero essere spesi per finanziare infrastrutture, migliorare il sistema dell’istruzione e altri servizi pubblici, e anche per organizzare corsi di addestramento che aiutino gli agenti ad affrontare meglio le situazioni di pericolo.

Il video che ha scatenato la rabbia di Chicago è impressionante almeno quanto quello della morte di Walter Scott a North Charleston, in South Carolina, colpito da otto proiettili alla schiena sparati dall’agente Michael Slager. Il fumo che esce dal corpo crivellato di proiettili di McDonald potrebbe diventare un’immagine simbolica paragonabile a quelle associate alla morte di Michael Brown a Ferguson – Hands up, don’t shoot – e di Eric Garner a Staten Island – I can’t breath, che negli ultimi due anni sono stati gli slogan del movimento Black lives matter.

La differenza principale con quei casi è che Van Dyke, l’agente che ha sparato a McDonald, è stato incriminato e sarà processato per omicidio volontario. Ma non è detto che questo basti a placare la rabbia di molti abitanti di Chicago. I problemi della città sono profondi e strutturali.

David Rieff spiega che negli Stati Uniti le forze di polizia sono fuori controllo.


Un’indagine approfondita sul dipartimento di polizia

Come dimostra il fatto che nei tredici mesi dopo la morte di McDonald il dipartimento di polizia ha fatto di tutto per difendere Van Dyke e per ostacolare la pubblicazione del video. Subito dopo la morte di McDonald la polizia aveva costruito una versione della storia secondo cui il ragazzo aveva cercato di aggredire gli agenti con il coltello. A febbraio il giornalista Jamie Kalven e l’avvocato Craig Futterman avevano scoperto l’esistenza di un video che contraddiceva la versione della polizia.

A quel punto il comune ha proposto alla famiglia della vittima un accordo che prevedeva il risarcimento di cinque milioni di dollari e la promessa che il video non sarebbe stato reso pubblico. E in effetti è rimasto segreto fino a una settimana fa, quando un giudice di Chicago ha accolto la richiesta del procuratore secondo cui la decisione di non pubblicare il video costituiva una violazione del Freedom of information act, la legge che tutela la libertà di informazione.

Per questo il 26 novembre i leader della comunità nera di Chicago hanno chiesto alle autorità politiche di aprire un’indagine approfondita sul modo in cui il dipartimento di polizia ha gestito il caso.

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