19 novembre 2014 08:18

Per capire i negoziati sul nucleare iraniano la logica non basta. I presidenti di Stati Uniti e Iran vogliono arrivare a un compromesso sul programma nucleare di Teheran. Seguendo la logica, l’accordo si dovrebbe fare entro il 24 novembre, la data fissata come scadenza dal Gruppo dei 5+1 ( i membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania) e dalla repubblica islamica.

Barack Obama vorrebbe arrivare a un’intesa perché ha bisogno di un successo diplomatico per rimettersi in sella. Inoltre un riavvicinamento con l’Iran gli permetterebbe di organizzare un fronte comune contro gli estremisti dello Stato islamico, un gruppo di fanatici sunniti profondamente ostili all’Iran sciita. Anche Hassan Rouhani ha tutte le ragioni di volere un compromesso, perché in questo modo otterrebbe la cancellazione delle sanzioni economiche nei confronti del suo paese, obiettivo per cui è stato eletto nel giugno del 2013.

A Washington e Teheran c’è la volontà politica di trovare un accordo, e in fondo bisogna risolvere solo due contenziosi. Il primo riguarda i limiti da imporre alle capacità nucleari dell’Iran in modo che sia necessario un periodo di tempo abbastanza lungo (diversi mesi, un anno) per passare dalla possibilità di fabbricare la bomba atomica alla sua reale costruzione. Il tempo necessario agli altri paesi per prepararsi a reagire. Il secondo contenzioso riguarda i tempi di cancellazione delle sanzioni economiche in caso di accordo, che Rouhani vorrebbe veloci.
Non sembrano due problemi irrisolvibili, eppure bisogna considerare che maggiori saranno le concessioni che i due capi di governo faranno alla controparte per potersi presentare come vincitori nei rispettivi paesi e più saranno criticati a casa loro.

A Teheran i falchi e la guida suprema Khamenei potrebbero accusare Rouhani di aver svenduto il diritto dell’Iran di essere una potenza nucleare e potrebbero rifiutare l’accordo che potrebbe essere considerato uno strumento di liberalizzazione del paese.

A Washington il congresso, a maggioranza repubblicana, non farà alcun regalo a Obama e denuncerà qualsiasi accordo come un pericoloso tradimento degli interessi e della sicurezza degli Stati Uniti.

Non è tutto. La Russia vorrebbe un accordo perché è ostile alla proliferazione nucleare, ma allo stesso tempo non vuole aiutare la Casa Bianca e soprattutto non vuole che il petrolio iraniano torni sul mercato mondiale facendo ulteriormente scendere i prezzi. Gli israeliani non vogliono sentire parlare di concessioni all’Iran, che considerano una minaccia per la loro esistenza. I sauditi sono sospettosi perché temono un ritorno dell’alleanza tra Stati Uniti e Iran. La Francia, infine, spinge sul freno perché si considera un miglior difensore degli interessi occidentali di quanto non siano gli Stati Uniti.

C’è ancora speranza, ma in caso di rinvio della data fissata c’è anche il rischio concreto di uno stallo e di un’ulteriore diffusione del caos in Medio Oriente.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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