12 febbraio 2016 09:14

L’11 febbraio la Russia si è detta disposta a interrompere i bombardamenti su Aleppo il 1 marzo. In questo modo il Cremlino avrà il tempo di sbaragliare l’insurrezione siriana, cancellare ogni speranza di compromesso tra il regime e l’opposizione e assicurare una vittoria militare (per quanto provvisoria) a Bashar al Assad.

I paesi arabi, gli occidentali e la Turchia non potevano accettare questa offerta, ma considerando che nessuno vuole entrare in guerra con la Russia le diplomazie si sono messe al lavoro.

Se e quando i negoziati di Ginevra riprenderanno, al tavolo si troveranno un regime rinvigorito e un’opposizione sconfitta

Dopo una lunga trattativa, la riunione di Monaco del gruppo internazionale di sostegno alla Siria, composto dalle potenze interessate al conflitto, ha partorito due gruppi di lavoro che si occuperanno dell’emergenza umanitaria e del cessate il fuoco.

L’obiettivo è quello di garantire un accesso dei convogli umanitari alle città assediate e creare un momento di tregua per poi ottenere un cessate il fuoco entro una settimana e la ripresa del negoziato di Ginevra tra il regime e i ribelli.

Il problema è che nei fatti questo darà alla Russia il tempo per piegare la ribellione. Se e quando i negoziati di Ginevra riprenderanno, al tavolo si troveranno un regime rinvigorito e un’opposizione sconfitta. A quel punto non ci sarà più molto da negoziare, ed è per questo che il giorno prima di lasciare la carica di ministro degli esteri Laurent Fabius ha sostanzialmente denunciato la connivenza tra Mosca, Teheran e Washington. Fabius ha incluso anche gli Stati Uniti perché è ormai chiaro che la Casa Bianca non intende opporsi alle ambizioni russe.

La svolta asiatica di Washington

Più spettatori che attori, gli statunitensi si limitano a lasciar correre, disinteressandosi del conflitto. Il motivo di questo atteggiamento è abbastanza semplice. Washington non vuole essere coinvolta in Medio Oriente perché ritiene che gli interessi vitali degli Stati Uniti non siano più in gioco nella regione che fino a ieri era per loro fondamentale. All’America una vittoria del regime farebbe comodo quanto quella dei ribelli, e che sia l’Iran a prevalere sull’Arabia Saudita o viceversa non cambia molto perché gli Stati Uniti sono nelle condizioni di stringere accordi con entrambe le potenze.

Un Medio Oriente sprofondato in una guerra dei trent’anni sarebbe una tragedia per la regione e per l’Europa, ma non altrettanto per gli Stati Uniti, lontani dal conflitto e concentrati sulla loro svolta asiatica.

Per Washington quello che conta oggi sono la sua rivalità con la Cina e lo sviluppo strategico nel Pacifico, e se la Russia tiene tanto a impantanarsi in Medio Oriente, faccia pure. Questo non significa che gli americani non abbiano più alcun interesse in Medio Oriente e in Europa, perché vogliono comunque proseguire la battaglia contro il gruppo Stato islamico e rafforzare la Nato in Polonia e nei paesi baltici che fanno parte della Nato. Ma per il resto, non vogliono più ricoprire il ruolo di gendarme del mondo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it