20 ottobre 2016 16:13

“L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

È questo il passaggio rilevante dell’articolo 9 della legge 194 rispetto alla morte di Valentina Milluzzo, 32 anni, incinta di due gemelli, alla diciannovesima settimana di gravidanza.

Cosa è davvero successo? È in corso un’inchiesta e nel frattempo possiamo solo fare delle ipotesi (secondo il direttore generale dell’ospedale, non risulta che il medico fosse un obiettore).

La donna era stata ricoverata all’ospedale Cannizzaro di Catania alla fine di settembre in seguito alla dilatazione dell’utero. Dopo un paio di settimane qualcosa non va. Ha forti dolori, ha la febbre alta, collassa. La temperatura corporea è di 34 gradi e la pressione arteriosa è bassa.

Uno dei due feti avrebbe sofferto una crisi respiratoria, secondo l’Ansa (anche se, in attesa di saperne di più, sarebbe più corretto parlare di sofferenza fetale). Bisognerebbe intervenire e accelerare un processo già in corso, cercando di rimediare alla sepsi che minaccia la vita di Milluzzo. In casi del genere, ovviamente, il tempo è una variabile cruciale. “Fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe risposto il medico. Solo quando il cuore del feto si ferma sarà estratto. La donna urla dal dolore e un’altra ecografia mostra la sofferenza fetale anche del secondo gemello. La risposta del medico sarebbe stata la stessa. La donna viene portata in rianimazione. Il 16 muore.

“Fino a che è vivo io non intervengo” è una risposta non solo moralmente e clinicamente discutibile, ma non giustificata dalla legge.

Uno dei problemi della diffusione dell’obiezione di coscienza è la ricaduta sulla preparazione dei medici rispetto agli aborti spontanei

L’obiezione di coscienza è una possibilità concessa dalla legge 194, che potrebbe essere certamente discussa e perfino eliminata (se decidi liberamente di fare l’operatore sanitario in un ospedale pubblico che garantisce anche il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, forse non dovresti essere obiettore, cioè pretendere di non garantire una prestazione medica usando il privilegio concesso da una legge di quasi quarant’anni fa).

Ma in questo caso sembra sbagliato parlare di obiezione di coscienza, almeno se con questo intendiamo quell’obiezione che la 194 prevede e giustifica non come omissione di servizio o malpractice.

Uno dei problemi della vasta diffusione dell’obiezione di coscienza – soprattutto ai vertici dei dipartimenti ospedalieri e delle scuole di specializzazione – è la ricaduta sull’insegnamento e sulla preparazione dei medici rispetto agli aborti spontanei. I medici sono abbastanza preparati per riconoscere i sintomi di un aborto in corso e sanno affrontare un intervento che si può complicare al punto da mettere a rischio la stessa vita delle donne? In questo caso però viene anche da domandare: un medico che rifiuta di intervenire fino a quando il feto è vivo, “dimenticando” di accertare le condizioni della gestante e di valutare i rischi della sua omissione, può essere chiamato obiettore di coscienza? Avrà chiamato un altro medico se la sua coscienza gli impediva di evitare la morte di una paziente, o almeno di provarci? E avrà letto mai il testo della 194, in particolare l’articolo 9?

Non solo, come ho già detto, l’imminente pericolo di morte impedisce di invocare l’obiezione di coscienza, ma un medico che decide intenzionalmente di non intervenire infrange la deontologia medica e il codice penale. E la sua coscienza, cioè la sua capacità di valutare moralmente e professionalmente le circostanze, appare davvero molto compromessa da giudizi e valutazioni nebbiose e oscure.

Questa morte che sembra evitabile ricorda quella di Savita Halappanavar, cioè un’altra morte evitabile. Un’altra morte per negligenza medica.

Se il medico di Catania ha davvero rifiutato di intervenire, la sua decisione sembra essere più affine al rifiuto di soccorrere una persona in grave pericolo piuttosto che all’obiezione di coscienza. Obiettore di coscienza sarebbe insomma, in questo caso, un complimento.

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