20 novembre 2014 15:05

Nelle file lunghe come trincee, nelle interminabili ore di attesa sotto la pioggia torrenziale, il 16 novembre migliaia di romeni hanno dovuto battersi con tenacia per poter esprimere un diritto fondamentale, dato per scontato in ogni stato democratico. Ma non nella Romania del 2014 dove, a 25 anni dalla rivoluzione, la guerra sembra sempre la stessa: i cittadini devono combattere ancora per le elezioni libere contro una nomenklatura di tipo bolscevico.

“Lasciateci votare”, “Ponta, i giovani non ti vogliono”, “Ponta dimettiti”: erano alcuni degli slogan scanditi dai romeni che protestavano a Parigi. Esclamazioni sentite anche a Vienna, Monaco, Londra, Torino e Roma, espressione di nausea e di indignazione contro un sistema dove la corruzione è diventata uno stile di vita e il saccheggio del paese una consuetudine, dove le istituzioni non funzionano, dove la disonestà e la raccomandazione sono parole d’ordine. Le gigantesche file, incomprensibili per un cittadino occidentale, hanno mostrato al mondo intero il desiderio di cambiamento che anima i cittadini romeni, ma anche l’umiliazione a cui li ha sottoposti il loro governo.

Victor Ponta (soprannominato Plaggy per aver plagiato la sua tesi di dottorato) sembra impersonare per i romeni tutto il male degli ultimi 25 anni. Marionetta del Partito socialdemocratico (Psd), un partito di inquisiti (da cui la fretta di approvare le discusse leggi di amnistia e indulto, annullate da Klaus Iohannis subito dopo essere stato eletto presidente) coinvolto in gravi scandali di corruzione (un esempio su tutti, il contratto per lo sfruttamento della miniera d’oro di Roșia Montană), Ponta è stato uno spauracchio per i romeni ed è riuscito paradossalmente a unirli in uno spirito civico senza precedenti. Se un partito come il Psd avesse ottenuto la più alta carica dello stato si rischiava la scomparsa dello stato di diritto e dell’indipendenza dei mezzi d’informazione, l’adozione di leggi ad hoc per i tanti politici corrotti, l’abbandono della lotta alla corruzione avviata senza entusiasmo dall’ex presidente Traian Basescu.

Non lasciatevi ingannare dal nome: il Partito socialdemocratico rappresenta la sinistra eredità della Securitate di Nicolae Ceausescu, non certo i valori socialdemocratici europei. Esempio eloquente in questo senso, il presidente onorario del partito è Ion Iliescu, che è stato un esponente del regime comunista. D’altronde in Romania, visto il contesto politico corrotto, non è mai stata approvata una legge di lustrazione che allontanasse dal potere le persone coinvolte nei vecchi regimi, come è accaduto in Germania e in Polonia.

Vista la propaganda del Psd nelle regioni povere della Romania (ovvero tutte tranne le grandi città) e la grossolana manipolazione dello scrutinio, la vittoria di Iohannis è quasi un miracolo, reso possibile dall’ammirevole atteggiamento della diaspora la cui struttura è cambiata negli ultimi anni: tanta gente istruita, informata, abituata a internet e dunque non più facilmente manipolabile dai mezzi d’informazione asserviti. La diaspora è riuscita a mobilitare il popolo romeno (al secondo turno hanno votato quasi due milioni di persone in più rispetto al primo) e ha spinto migliaia di persone a protestare in varie città del paese.

In realtà la gente non ha votato per Iohannis, che si è mostrato poco convincente in campagna elettorale, ma contro Ponta e la minaccia per la democrazia che lui rappresentava. I romeni sperano in un nuovo governo che riesca a ricostruire l’economia, in una riforma della giustizia che fermi l’evasione fiscale e il lavoro nero e attragga gli investimenti europei. Anche se il potere rimane ancora saldamente nelle mani del Psd (governo, parlamento e istituzioni pubbliche), la speranza nella normalità è resuscitata.

Ora i romeni chiedono le dimissioni e l’incriminazione delle persone che hanno contribuito a ostacolare il voto: ambasciatori e diplomatici e, soprattutto, Victor Ponta, un capo di governo considerato ormai illegittimo per aver impedito di votare a migliaia di persone e in un paese dove questo costituisce un reato penale.

Claudia Stanila, giornalista romena, è corrispondente dall’Italia e dal Vaticano per il quotidiano romeno Evenimentul Zilei. Dal 2003 è accreditata presso la stampa estera in Italia.

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