25 ottobre 2015 18:20

Catherine Wihtol De Wenden, Il diritto di migrare
Ediesse, 78 pagine, 8 euro

Secondo la francese Catherine Wihtol De Wenden, professoressa a Science Po a Parigi e consulente dell’Ocse e del Consiglio d’Europa, la mobilitazione per far riconoscere il diritto di migrare e più in generale i diritti dei migranti “sta assumendo un’ampiezza confrontabile a quella che ha potuto rappresentare, a suo tempo, la campagna per l’abolizione della schiavitù”. Quando a metà dell’ottocento quella campagna ebbe i suoi primi successi, per gli uomini liberi era relativamente facile entrare in un altro paese, molto meno andare via dal proprio (per questo furono inventati i passaporti). Oggi avviene il contrario.

Mentre la caduta del muro di Berlino ha contribuito a rendere scandaloso il divieto di uscire dal proprio stato, che resiste in Corea del Nord e in pochi altri luoghi, le politiche securitarie e la cultura della paura hanno reso sempre più difficile varcare una frontiera straniera. Il risultato è che il diritto di migrare, cioè non solo di muoversi ma anche di progettare il proprio futuro e trovare il proprio posto, è uno dei diritti distribuiti in modo più ineguale. La cosa è particolarmente difficile da difendere in un mondo in cui il lavoro è diviso geograficamente e circolano liberamente merci e idee. Se non lottiamo contro questa ingiustizia in futuro potremmo essere ricordati come oggi ricordiamo i compiacenti complici degli schiavisti.

Questa rubrica è stata pubblicata il 16 ottobre 2015 a pagina 88 di Internazionale, con il titolo “Migrazione per tutti”. Compra questo numero | Abbonati

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