10 ottobre 2015 14:26

Maurizio Maggiani, Il Romanzo della Nazione
Feltrinelli, 298 pagine, 17 euro

Romanzo e Nazione sono in maiuscolo. L’ambizione dell’autore era quella di far la storia d’Italia in romanzo, soprattutto dalla Resistenza in avanti, con al centro la storia di una famiglia e con molto di autobiografico. Ma la mania di scrivere il “grande romanzo italiano” o americano o altro è una delle più perniciose e inutili, sempre. È molto dopo che si può riconoscere a un romanzo la capacità di aver letto in modo maturo una storia collettiva su un lungo arco di anni.

Sembra un bel romanzo d’altri tempi, questo sì, nello stile colloquiale della letteratura del dopoguerra più populista (un aggettivo cui bisogna ridare il significato che ha avuto in passato e non quello atroce di oggi, piccoloborghese-berlusconian-grillino), è godevole e simpatico e dà nostalgia dell’Italia di quando un popolo c’era, e ricostruiva (qui l’arsenale militare spezzino), e combatteva, sperava, voleva. È il suo afflato più sentimentale che politico a convincere, con la sua schiera di personaggi ben definiti – il padre e la madre sopra tutti, e le donne – e la sua speditezza e la sua sostanziale allegria che fanno perdonare lo stile un po’ lezioso tipico dell’autore. La storia, certo, di una nazione che è nata ma non ha mantenuto le sue aspirazioni, le sue promesse, che non si è realizzata, ma vista nei destini dei semplici e a confronto con i nostri di oggi, con la nostra passività.

Questa rubrica è stata pubblicata il 25 settembre 2015 a pagina 116 di Internazionale, con il titolo “Il destino di un romanzo”. Compra questo numero | Abbonati

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