02 novembre 2016 13:57

Gentile bibliopatologo,
da quattro anni vivo a Parigi, vero paradiso per bibliofili, dove non è raro entrare in un vagone della metropolitana all’ora di punta e trovarlo gremito ma tranquillo, animato da un lieve rumore di pagine sfogliate. Ho cominciato ben presto a sbirciare le copertine dei libri altrui o a provare a indovinare il libro a partire dalle poche righe a me visibili. Oggi non riesco più a farne a meno. Prima che derubrichi il mio vizio a semplice voyeurismo, mi dichiaro colpevole: magari incrociassi lo sguardo di una bella fanciulla che legge il mio stesso libro a due sedili di distanza! Ma la prego, dottore, mi creda: il rimorchio non esaurisce le ragioni che mi spingono a essere tanto indiscreto. Il primo piacere che ne traggo è quello di provare a immaginare il carattere dei lettori a partire dai loro libri. Così, ammiro la sfrontatezza del giovane che legge Sade davanti a una suora, o mi chiedo quale inesorabile spada di Damocle possa spingere una vecchina a leggere un manuale per contare le carte a blackjack. È grave, dottore? Dovrei forse iniziare a farmi gli incunaboli miei ed evitare di essere citato in giudizio per stalking libresco?

— Novecento

Caro Novecento,
tutte le risposte che cerchi sono in una candid camera del comico americano Scott Rogowsky, Subway reading, che girò molto nella primavera scorsa. Rogowsky saliva sulla metropolitana di New York e si metteva a leggere finti libri dai titoli formidabili. Alcuni erano un po’ macabri, come Mille posti da visitare prima di essere giustiziati dall’Is; altri erano pruriginosi, come 101 consigli per l’allungamento del pene che puoi applicare a casa, in ufficio o in viaggio; altri ancora erano politicamente scorrettissimi: c’era, per esempio, Adolf Hitler, Mein kampf per bambini (prefazione di Roald Dahl) o Come rimorchiare un’asiatica sulla linea L; infine c’erano i semplici colpi di genio, come Gillian Flynn, Gone girl 2: even goner (quarta di copertina: “Yep. She’s definitely gone this time” – Salman Rushdie) o il mio preferito: Deepak Chopra, Hiding your erection from god.

Una scena di Subway reading.

Le facce degli altri passeggeri erano di volta in volta incuriosite, sconcertate, disgustate, divertite, ammiccanti, esterrefatte. Molti scattavano foto con il telefono senza farsi notare, o davano di gomito al compagno di viaggio, ridacchiando. Rogowsky non sollevava gli occhi dal libro, assorto e imperturbabile. Ecco la tua prima risposta, quanto al vizio segreto di sbirciare le copertine altrui: lo fanno tutti. Chi per curiosità, chi per noia, chi per automatismo, chi perché gli occhi da qualche parte bisogna pur posarli – altrimenti perché leggeremmo ogni giorno la targhetta nell’ascensore, come l’abitudinario di Elio e le Storie Tese? Davvero ci interessa sapere quanti chili porta?

Se si è fortunati come te, può capitare di assistere allo spettacolo di un giovane che legge Sade davanti a una suora; meglio ancora sarebbe una suora che legge Sade con un giovane in braccio e magari un canguro al guinzaglio (non escludo che qualcosa del genere esista già, tra le scene tagliate di The young pope di Sorrentino). Ma di solito il voyeurismo delle copertine non dà grandi soddisfazioni, né consente di indovinare chissà quali nessi misteriosi tra il lettore e la sua lettura. Per lo più, si fanno incontri ripetitivi e ben poco eccitanti: qualche estate fa, dopo aver avvistato la centoduesima signora che leggeva Cinquanta sfumature di grigio sotto l’ombrellone, ho seriamente pensato di farmi suora.

Tu poi, se capisco bene, pretendi l’impossibile: una ragazza che casualmente, proprio davanti a te, legga il tuo stesso romanzo sperimentale bulgaro che conoscono quattro gatti in tutta Parigi e che, casualmente, è anche bellissima. Questa ragazza esiste senz’altro da qualche parte dello spazio-tempo, ma le tue chance di incontrarla per caso sulla metropolitana sono appena più alte di quelle che hai di ritrovarti in un parco con Marilyn Monroe in costume da bagno che legge Ulysses di Joyce; cosa che poteva capitarti, in effetti, a patto di trovarti a Long Island nel 1955.

Pensaci, questa posizione di attesa romantica ti condanna allo stesso destino inconcludente di chimere e fantasticherie dell’eroe di Les passantes, la poesia di Antoine Pol che tutti conosciamo grazie a Brassens e a De André. Devi cambiare gioco, e passare all’attacco. Come? Prendi anche qui esempio da Rogowsky, e crea un repertorio di finte copertine diabolicamente pensate per funzionare da esca con il tipo di donna che ti piacerebbe incontrare (che so, L’eleganza del bonobo, o Curare il priapismo con le elegie duinesi). Sali sulla metropolitana, siediti in un punto strategico e stai ad aspettare, con la pazienza di un pescatore. Se poi lo fai anche vestito da suora, hai la mia stima imperitura.

Il bibliopatologo risponde è una rubrica di posta sulle perversioni culturali. Se volete sottoporre i vostri casi, scrivete a g.vitiello@internazionale.it

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