03 settembre 2014 18:49

L’esercito ucraino è in ritirata su tutti i fronti. Da quando le truppe russe sono arrivate in soccorso dei ribelli assediati nelle regioni orientali dell’Ucraina, due settimane fa, l’inerzia del conflitto è cambiata in modo decisivo.

Le due principali città controllate dai ribelli, Donetsk e Luhansk, non sono più assediate dall’esercito ucraino. Lunedì l’aeroporto di Luhansk è caduto dopo un attacco dei carri armati russi, e quello di Donetsk seguirà presto. La città portuale di Mariupol, tornata sotto il controllo del governo di Kiev a maggio, potrebbe passare in mano russa entro il fine settimana.

Nel frattempo il resto del mondo viene bombardato con implausibili analogie storiche. Questa settimana ricorre il settantacinquesimo anniversario dello scoppio della seconda guerra mondiale nel 1939, un’occasione ideale per analizzare questi paragoni.

La prima analogia sostiene che il presidente russo Vladimir Putin è una sorta di nuovo Adolf Hitler, impegnato ad allargare i confini della Russia fino alle frontiere sovietiche e oltre. Putin va fermato subito, o sarà sempre più troppo difficile e costoso farlo. Chiunque non è d’accordo con questa tesi è un “collaborazionista”.

È vero che Putin ha definito il crollo dell’Unione sovietica nel 1991 il più grande disastro geopolitico del ventesimo secolo. Di recente il presidente russo ha chiesto un dialogo immediato sullo “status nazionale” delle province sudorientali dell’Ucraina parzialmente controllate dai ribelli. Questo significherebbe un ulteriore smembramento del paese dopo l’annessione della Crimea da parte della Federazione russa a marzo.

Estonia, Lettonia e Lituania, un tempo parte dell’impero russo e dell’Unione sovietica, sono terrorizzate dalle implicazioni delle ultime azioni di Putin per la loro indipendenza (anche nel loro territorio vivono consistenti minoranze russofone). Persino il Kazakistan ha cominciato a preoccuparsi da quando il presidente russo ha sottolineato che il paese “fa parte del grande mondo russo”.

Nel progetto di Putin riecheggiano le priorità di Hitler dopo la presa del potere del 1933, ovvero il recupero dei territori orientali abitati da germanofoni e strappati alla madrepatria dopo la prima guerra mondiale. Tuttavia Hitler aveva anche un secondo progetto, ben più importante: la distruzione dell’Unione sovietica “giudaico-bolscevica”, un piano che avrebbe reso necessaria una grande guerra (anche se Hitler non pensava di combattere una “guerra mondiale”).

Putin non ha un secondo progetto. Non può lanciarsi in una campagna di conquiste come quella di Hitler, date le limitate risorse umane ed economiche della Russia. In ogni caso gli altri ex possedimenti sovietici in occidente, gli stati baltici, fanno già parte della Nato e possono contare su solide garanzie di difesa.

Nei quindici anni precedenti allo scoppio della crisi ucraina Putin non ha fatto molto per ripristinare le vecchie frontiere sovietiche, e ancora oggi il presidente russo non parla di riprendersi il resto dell’Ucraina. Non c’è alcun motivo di stroncare sul nascere il suo piano di conquista del mondo, perché non ha nessun piano del genere.

Questo ci porta alla seconda differenza tra oggi e il 1939. All’epoca Regno Unito e Francia avevano garantito che sarebbero entrate in guerra se Hitler avesse attaccato la Polonia. Anche se in realtà non avevano i mezzi per aiutare Varsavia, Londra e Parigi avevano comunque sentito il dovere di tracciare una linea da non superare. La Nato invece non ha promesso di proteggere l’Ucraina, a prescindere da cosa farà la Russia: la questione resta prettamente locale.

Questi sono i fatti. L’Ucraina gode della solidarietà dell’occidente, ma nessuno rischierebbe una guerra nucleare impiegando le forze della Nato per riprendere Donetsk e Luhansk. Ma cosa dovrebbe fare Kiev se non è in grado di frenare l’offensiva dei ribelli e della Russia nell’est e non riceverà aiuto dall’estero?

Il primo passo è stabilizzare il fronte accettando l’offerta di un cessate il fuoco. Ogni giorno che passa l’Ucraina perde nuovi territori, e ci vorranno decenni prima di recuperarli (sempre che sia possibile).

La Russia accetterebbe una tregua perché il vero obiettivo di Putin non è più controllare il governo di Kiev, ma la paralisi del paese attraverso la creazione un’entità filorussa all’interno dello stato ucraino che sia perennemente in contrasto con il governo centrale. Per evitare questo destino l’Ucraina deve rafforzare al più presto i confini attorno ai territori controllati dai ribelli.

Kiev deve lasciare che i ribelli controllino le zone occupate di Donetsk e Luhansk (anche perché non ha scelta), ma non deve assolutamente integrarle in una forma di stato federale in cui potrebbero avere diritto di veto. Inoltre il governo ucraino non deve riconoscere la loro eventuale indipendenza o annessione alla Russia. In altre parole deve trattarli come un’altra Crimea.

L’Ucraina deve lasciare che la Russia versi enormi sussiditi a quello che è ormai un enorme museo industriale a cielo aperto, e concentrarsi sul rafforzamento politico ed economico del resto del paese, dove tra l’altro vive il 90 per cento della popolazione.

Poi bisognerà solo aspettare. Aspettare che la corruzione diminuisca e la prosperità aumenti mentre il paese si avvicina sempre di più all’Unione europea. Aspettare che Putin invecchi e la Russia sia distratta da altri problemi. E nel frattempo evitare che altra gente muoia in una lotta che porterà solo altre perdite territoriali.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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