23 febbraio 2017 14:10

Cos’è. È un film scritto e diretto da Kenneth Lonergan (Conta su di me) e ha Casey Affleck come protagonista. Lee Chandler è un giovane uomo al quale il destino ha riservato una vita difficile. In un racconto parallelo tra i drammi del passato nella vita coniugale con Randi (Michelle Williams) e la vita presente alla ricerca di una qualche forma di normalità, Lee si trova a dover fare da padre al nipote Patrick (Lucas Hedges) dopo la morte del fratello (Kyle Chandler).

Il film è ambientato a Manchester-by-the-Sea, sulla costa settentrionale del Massachusetts. La fotografia è di Jody Lee Lipes (Trainwreck). Casey Affleck ha già vinto un Golden globe per questa interpretazione, e il film è candidato agli Oscar per miglior film, regia, sceneggiatura, attore protagonista, attore non protagonista e attrice non protagonista.

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Com’è. È un dramma del New England, fatto di normalità e cieli lividi. Il film è stato ideato da Matt Damon e poi ceduto al regista amico vicino al tracollo finanziario. Il protagonista è il fratello dell’amico di infanzia di Matt Damon, Ben Affleck, quello con cui parecchi anni fa vinse l’Oscar per la sceneggiatura di Good will hunting. Gli Affleck tra l’altro hanno avuto una vita familiare molto travagliata, tra droga e separazioni. Insomma è un film piccolo ed estremamente compatto, fatto in famiglia da un gruppo di amici molto lontani da Hollywood che conoscono ambiente e temi trattati.

Casey Affleck è un attore discreto, generalmente poco espressivo. Qui è protagonista assoluto, inquadrato quasi costantemente, e recita per sottrazione con efficacia. Il risultato è una specie di rivisitazione laica della figura di Giobbe, il personaggio della Bibbia che sopporta qualunque sventura dio gli fiondi addosso.

Manchester by the Sea è un dramma, ma non è assolutamente un melodramma: mancano le scene madri, mancano i confronti accorati e le lacrime liberatorie. Ci sono alcune scene in cui i protagonisti parlano di quello che gli sta capitando, ma sono solo accennate e presto interrotte (sono praticamente tutte nel trailer). La gran parte del film è altrove: testo, ambientazione e recitazione vanno nella stessa direzione di assoluta sobrietà.

La scrittura che alterna i due piani temporali del prima e del dopo è gestita con grande equilibrio

Se non fosse un film pulitissimo, con una regia che sparisce nella chiarezza della sua grammatica, sarebbe un trattato sull’incomunicabilità dei sentimenti. Invece Lonergan riesce nell’impresa di raccontare una storia che vale solo in sé, senza il peso delle retoriche sociali o il mito della sventura di derivazione cristiana.

Perché vederlo. Capita difficilmente di vedere nello stesso film una dose così violenta di dolore e sventura unita a questa sobrietà. In questo senso Manchester by the Sea è un film raro, in cui i personaggi rinunciano all’amore e ai sentimenti, all’espressione di qualsiasi emozione profonda, non per inettitudine ma per la necessità di sopravvivere. Nonostante questa freddezza, il film si fa apprezzare per diverse ragioni.

Per prima cosa la scrittura che alterna i due piani temporali del prima e del dopo è gestita con grande equilibrio. Lonergan arriva a distinguere i due momenti della vita del protagonista quasi confondendoli, facendo stridere l’indole costante con i cambiamenti improrogabili prodotti dai drammi. E poi c’è la raffinatezza del tocco: la ricerca delle sfumature in ogni relazione e su ogni tema del film.

La famiglia non è quella costruzione impeccabile stereotipata, ma nemmeno il suo ribaltamento infernale. Droga e alcol fanno parte della vita quotidiana, e non in un senso opprimente da denuncia verista. Le incomprensioni e i silenzi lasciano spazio a uno strato espressivo sottile, e non al solipsismo. Altro pregio assoluto di Manchester by the Sea è il laicismo di base: nell’affrontare eventi drammatici che riguardano la vita e la morte, le prospettive e il senso dell’esistenza presente, film e personaggi fanno quello che possono, senza soluzioni definitive o vie d’uscita spirituali.

Perché non vederlo. Anche se è molto delicato e pieno di tatto nel gestire eventi e sentimenti, questo rimane uno dei film più tristi degli ultimi tempi. Bisogna averne voglia, insomma, perché altrimenti è una tortura. In più, sia la sceneggiatura sia la regia e la recitazione di Casey Affleck sono tutte improntate alla reticenza, al non dire, non mostrare, fare il meno possibile per non mettersi di traverso rispetto alla corrente del destino.

Questa omogeneità di tocco dà a Manchester by the Sea un’onestà che è la sua grande forza, ma lascia l’amaro in bocca. Resta una certa fame di espressione e avvenimenti: quei pochi momenti di confronto sincero, che forse durano tre minuti in totale, non sono abbastanza per elaborare così tanto dolore; la differenza profonda tra il prima e il dopo nella vita del protagonista è talmente impalpabile da risultare enigmatica.

D’altronde il film vive di questo: mette drammi giganteschi sulle spalle di personaggi piccoli che non hanno troppo da dire, e cerca la grandezza in questo chiaroscuro. È un punto di vista interessante, ma a tratti sembra un alibi per non dire gran che.

Una battuta. È solo un problema di logistica.

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