18 agosto 2015 10:32

Quando è uscito l’ultimo film della Pixar, Inside out, una marea di psicologi ha cominciato a discutere sul modo in cui dipinge le emozioni – incarnate da cinque personaggi: Rabbia, Paura, Tristezza, Gioia e Disgusto – nella mente di una bambina di undici anni. Ho trovato strano questo dibattito. Senza dubbio c’è molto da riflettere sul messaggio del film, cioè che anche le emozioni negative hanno un loro valore e che quando dobbiamo prendere una decisione le emozioni possono aiutarci piuttosto che ostacolarci. Ma nessuno degli esperti ha menzionato il segreto che è al cuore degli studi sulle emozioni.

Nelle interviste non ne parlano mai, ma se vi mettete a chiacchierare con uno psicologo a tarda notte in un bar di periferia dopo parecchi whisky, forse potrete finalmente scoprire la verità: nessuno ha la minima idea di che cosa sia un’emozione.

Se avete qualche dubbio, pensate all’ultima volta che vi siete sentiti tristi, spaventati, arrabbiati o ansiosi, e chiedetevi: che cosa ho provato? Chiaramente un’emozione dev’essere qualcosa di più di un semplice pensiero: siamo tutti in grado di pensare a qualcosa di spaventoso senza provare paura. E dev’essere qualcosa di più di una sensazione fisica: quando sono ansioso mi si stringe lo stomaco, ma lo stomaco mi si stringe anche quando ho mangiato del pesce andato a male, e quella non è ansia.

Ma se togliamo i pensieri e le sensazioni, come osservava William James nel 1884, sembra che non rimanga nulla. Riuscite a immaginare la rabbia, per esempio, “senza pensare al sangue che affluisce al viso, alla dilatazione delle narici, ai denti che si stringono, all’impulso ad agire in modo violento, e immaginando invece muscoli rilassati, respiro tranquillo e un’espressione placida?”, si chiede James nel suo saggio Che cos’è un’emozione?. “Io sicuramente no”, ammette. In qualche modo l’emozione in sé, distinta dai pensieri e dalle sensazioni, è inafferrabile. E nonostante gli enormi passi avanti fatti dalla psicologia e dalle neuroscienze, nessuno è mai riuscito a stabilire che cosa sia.

Nel corso di un classico esperimento per dimostrare l’inafferrabilità delle emozioni, è stato somministrato ai soggetti un farmaco che aumentava il battito cardiaco, ma solo alcuni di loro sono stati avvertiti. Dopo di che sono stati messi in compagnia di un attore istruito per dire battute irritanti. Quelli che erano a conoscenza del suo effetto hanno attribuito la colpa dell’aumento del loro ritmo cardiaco al farmaco, ma molti degli altri hanno detto di aver provato rabbia. Più di recente, gli studiosi si sono chiesti se le emozioni sono innate, cioè se nel cervello umano esiste un’unica categoria di fenomeni che comprende la gioia, la paura, la tristezza e così via, ma ancora non lo hanno stabilito.

È un po’ frustrante: spendiamo miliardi in sedute psicanalitiche, libri e farmaci per controllare le nostre emozioni, eppure non abbiamo un’idea precisa di cosa siano. Ma forse, adottando il punto di vista della psicologia buddista, potremmo dire che questo non sapere non è frustrante, ma profondamente rassicurante. Dopotutto, se le emozioni non sono altro che sensazioni e pensieri, ne consegue che niente di quello che proveremo nella vita, per quanto terribile, sarà mai altro che un insieme di pensieri e di sensazioni fisiche. E questo forse lo possiamo sopportare.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

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