07 giugno 2016 12:35

“Abbiamo tutti due vite”, ha detto una volta un saggio, “la seconda comincia quando ci rendiamo conto di averne una sola”. Purtroppo non sono in grado di dirvi esattamente di quale saggio si tratta, perché internet ne attribuisce la paternità più o meno in ugual misura a Confucio e a Tom Hiddleston (non mi sembra un pensiero molto confuciano, quindi io propenderei per Hiddleston). Ma non ha molta importanza.

È un aforisma, e come succede con tutti i migliori aforismi, abbiamo l’impressione che sia sempre esistito e bastava solo che qualcuno lo scoprisse. O che lo riscoprisse: a giudicare da tutta una serie di nuovi libri e saggi, questa antica forma filosofica sta tornando di moda. La nostra epoca, caratterizzata dalla sempre minore capacità di attenzione e dai contenuti condensati in 140 caratteri, è generalmente ritenuta sempre più stupida, ma si adatta perfettamente agli aforismi. Perciò forse anche noi riusciremo per sbaglio a trasmettere un po’ di saggezza.

Esistono due specie di aforismi, spiega James Lough in Short flights, una raccolta di recenti frasi celebri. I più irritanti sono quelli “educativi”: pompose pillole di saggezza su come comportarsi nella vita del tipo di quelle dispensate da Benjamin Franklin (“Presto a letto e presto alzato fan l’uomo sano, ricco e fortunato”. D’accordo, abbiamo capito, Ben. Sei perfetto).

Un buon aforisma non chiude mai veramente il discorso, continua a farci scoprire nuovi significati

Non tutti gli aforismi educativi sono così terribili: “Sii gentile, perché ogni persona che incontri sta combattendo una dura battaglia” potrebbe essere un consiglio utile. Ancora più gustose sono però le “illuminazioni”, aforismi che non ci dicono quello che dobbiamo fare, ma modificano radicalmente il nostro modo di vedere la realtà. Come scrive Lough: “L’illuminazione è anarchica, è una bomba che esplode in una casa vuota, manda in frantumi le finestre, scardina le porte”.

Tra queste, le mie preferite sono quelle che all’inizio ti arrivano come una secchiata di acqua gelida, perché esprimono un giudizio sulla vita piuttosto sconfortante, ma poi scopri che contengono una verità liberatoria.

Prendiamo per esempio l’aforisma di Rilke: “Lo scopo della vita è fallire in imprese sempre più grandi”. O quello dell’economista Thomas Sowell: “Non esistono soluzioni, esistono solo compromessi” (non risolverai mai tutti i tuoi problemi. A quali ti conviene rassegnarti per poter risolvere gli altri?). La frase attribuita a Joseph Campbell: “Dobbiamo essere disposti a rinunciare alla vita che abbiamo programmato, per avere la vita che ci aspetta”. O quella dello psicoterapeuta Sheldon Kopp: “Sei libero di fare tutto quello che vuoi. Devi solo accettarne le conseguenze”. Sì lo so, sono tutti uomini, come al solito (gli aforisti citati in Short flights lo sono per tre quarti). Sto usando uno stereotipo, ma mi chiedo se per caso non sia perché alle scrittrici piace di meno l’inevitabile conclusione di ogni aforisma: “E questa è l’unica cosa che vale la pena di dire in proposito!”.

Un buon aforisma non chiude mai veramente il discorso. Continua a dirci qualcosa, a farci scoprire nuovi significati. Sono convinto che la battuta di Earle Hitchner “Gli americani pensano che cento anni siano molto tempo, mentre gli inglesi che cento miglia siano una lunga distanza”, la dice più lunga di quanto possiamo immaginare sui veri rapporti tra le due sponde dell’Atlantico. E il concetto di felicità è ben sintetizzato nella frase dello psicologo Carl Rogers: “Lo strano paradosso è che posso cambiare solo quando mi accetto per quello che sono”. Esistono interi libri che in tutte le loro pagine non contengono tanta saggezza.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

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