14 aprile 2020 15:39

Di recente, senza nessun motivo particolare, mi sono trovato a ripensare all’antica idea filosofica della “dicotomia del controllo”. “Alcune cose sono in nostro potere, altre no”, scrive lo stoico greco Epitteto. Potremmo considerare ovvia questa osservazione, se non fosse che ignoriamo le sue conseguenze nella vita quotidiana, e quindi soffriamo. In ogni situazione, ci sono cose che possiamo controllare e altre che sfuggono al nostro controllo. Voler controllare a tutti i costi queste ultime produce solo ansia e stress.

Poi c’è il “controllo parziale”, come quello che ho sul comportamento di mio figlio di tre anni, che può essere diviso in due parti: di solito ho il controllo totale su quello che io dico o faccio ma, tecnicamente, non ne ho nessuno su come lui reagisce.

È un’idea che risuona anche altrove, per esempio nella Preghiera della serenità usata da Alcolisti anonimi, e in un’osservazione di origine buddista: se un problema può essere risolto, che bisogno c’è di preoccuparsi? E se non può essere risolto, allora perché preoccuparsene?

Strumento preliminare
Questo per certi versi va benissimo: è sicuramente vero che se io riuscissi a non agitarmi per le cose sulle quali non posso influire la mia vita sarebbe molto più serena. Ma mi sembra un punto debole dello stoicismo – almeno nella sua forma riscoperta e nuovamente di moda – il dare per scontato che sia sufficiente prendere atto della verità di questa affermazione per raggiungere la pace mentale.

Tra le molte cose che non posso controllare, per esempio, ci sono le mie emozioni. Sigmund Freud e i suoi successori hanno introdotto nella psicologia la comprensione del fatto che il pensiero cosciente è probabilmente una piccolissima parte di quello che succede nella nostra mente. Perciò se una pandemia scatena in me la paura della morte, della malattia o della sicurezza del lavoro – paure che si sono formate negli anni e sono radicate nel mio inconscio – è decisamente insufficiente che io mi spinga a convincermi che sono futili. Se la futilità facesse sparire le cose, le decorazioni che la gente attacca sui cellulari non avrebbero motivo di esistere. Invece esistono.

Non possiamo impedire la diffusione nel mondo di una malattia, ma possiamo fare molto per impedire che si diffonda tramite noi

È per questo che, in base alla mia esperienza, la dicotomia del controllo andrebbe considerata uno strumento preliminare, da usare per distinguere quello che possiamo controllare da quello che non dipende da noi, ma la pace mentale arriva solo quando cominciamo ad agire nell’ambito di quello che possiamo controllare (in pratica: non puoi costringerti a pensare a un nuovo modo di agire, ma puoi agire per arrivare a un nuovo modo di pensare).

Spesso non è questione di prendere coscienza del poco controllo che abbiamo sulle cose, ma piuttosto di quanto ne abbiamo. Non possiamo impedire la diffusione nel mondo di una malattia, ma possiamo fare molto per impedire che si diffonda tramite noi. Non possiamo scegliere di avere un corpo perfetto, ma possiamo decidere di mangiare bene e fare movimento. Non possiamo scegliere di fare tutte le cose che avevamo in programma oggi, ma possiamo passare le prossime tre ore a farne diligentemente almeno una parte. E così via.

Questo ci dà un grande senso di libertà, anche in presenza di forti vincoli esterni. Perché a questo punto il nostro obiettivo non è più esterno – cercare di imporre certi cambiamenti al mondo – ma interno, cioè decidere come agire sul mondo. È un obiettivo al quale possiamo mirare, e che possiamo aspettarci di realizzare, perché non richiede la collaborazione di forze che non possiamo costringere ad aiutarci.

Consigli di lettura
Nel loro libro Live like a stoic, Massimo Pigliucci e Gregory Lopez partono dalla filosofia antica per suggerirci come vivere meglio in un mondo che non possiamo controllare.

(Traduzione di Bruna Tortorella)

Questo articolo è uscito sul quotidiano britannico The Guardian.

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