14 febbraio 2014 07:00

Un dittatore ha accolto un altro dittatore manifestandogli il suo appoggio. Il nuovo uomo forte dell’Egitto, il maresciallo Abdel Fattah al Sisi, è stato ricevuto giovedì al Cremlino. “So che ha preso la decisione di presentarsi alle presidenziali - ha dichiarato Vladimir Putin - e penso che sia una decisione giusta per il popolo egiziano. Spero che riesca nel suo intento, perché la stabilità del Medio Oriente dipende dalla stabilità in Egitto”.

Il maresciallo ha dunque ricevuto una chiara investitura dal presidente russo prima ancora di comunicare ufficialmente la sua candidatura ai cittadini egiziani. Ma perché Vladimir Putin ha scelto di ignorare palesemente l’usanza diplomatica che vieta a un paese di immischiarsi nelle questioni elettorali di un altro?

Il primo motivo è di natura personale. Formatosi all’interno del Kgb, il presidente russo ha una visione dietrologica della storia, e ha sempre pensato che le rivoluzioni arabe siano state il frutto di una macchinazione della Cia e della volontà degli Stati Uniti di sostituire alcuni dittatori arrivati al capolinea con uomini nuovi che devono la loro ascesa a Washington.

Putin non ha mai creduto all’autenticità della primavera araba, e inoltre ha sempre sospettato di essere il prossimo in lista, come dimostrerebbero le manifestazioni di protesta contro la sua candidatura del 2012. Agli occhi del presidente russo è in atto un complotto americano, e questo spiega il sostegno accordato da a Mosca Bashar al Assad: Putin non vuole che il capo del regime siriano sia rovesciato dal suo popolo semplicemente perché teme che i russi si facciano venire in testa strane idee.

In questo senso si spiega l’empatia tra il presidente russo e il militare egiziano che il 3 luglio ha deposto l’ultimo presidente eletto regolarmente dal popolo, Mohamed Morsi (oggi dietro le sbarre). Il maresciallo Al Sisi è uno di quegli uomini che suscitano la stima di Vladimir Putin, un uomo che con la massima decisione ha fatto arrestare gli islamisti ma anche i giovani sostenitori della democrazia che tre anni fa hanno rovesciato Hosni Mubarak.

Quella sancita giovedì a Mosca è una santa alleanza tra regimi repressivi, ma al di là di questa solidarietà tra dittatori l’intesa tra i due leader risponde anche alla ragion di stato, perché il maresciallo egiziano non è particolarmente amato sulle due sponde dell’Atlantico. Gli americani e gli europei rimproverano ad Al Sisi di aver deposto un presidente regolarmente eletto, di aver calpestato ogni libertà e di aver stroncato tutti i suoi oppositori, islamisti e non. Washington ha addirittura congelato una parte degli aiuti miliari all’Egitto, e così la Russia ha deciso di offrire al Cairo il suo sostegno politico e tutte le armi di cui avrà bisogno per dimostrare agli Stati Uniti di poter fare a meno di loro. A Damasco come al Cairo, la Russia rimette piede nel mondo arabo contribuendo a far fallire le rivoluzioni.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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