02 maggio 2014 07:00

Ai tempi della Guerra fredda si diceva che Cuba era un paese “dell’est”. Da allora la geografia ha riaffermato le proprie ragioni, e l’isola è tornata a essere ciò che è sempre stata: un paese situato a 150 chilometri dagli Stati Uniti e uno stato delle Americhe che non può più ignorare il trionfo dell’economia di mercato, adottata persino in Russia e Cina.

Cuba sta finalmente aprendo le sue porte al mercato globale, con prudenza ma comunque più rapidamente rispetto al Venezuela, l’ultimo paese a fornirle un aiuto concreto su base ideologica e ormai sprofondato in una crisi interna che sembra non finire mai. A Caracas il futuro della rivoluzione chavista è in pericolo, e intanto la fornitura di petrolio venezuelano continua a soddisfare metà del fabbisogno di Cuba, ripagata con una forma di baratto attraverso l’invio in Venezuela di laureati che sopperiscono alla mancanza di medici un po’ come accadeva in passato in Africa.

Questo equilibrio potrebbe spezzarsi in qualsiasi momento, e i cubani potrebbero rivivere la crisi nata vent’anni fa quando la Russia aveva improvvisamente tagliato i ponti dopo il crollo sovietico. Il futuro incerto dell’isola è uno dei motivi che hanno spinto il regime castrista a sviluppare rapidamente legami commerciali con l’Unione europea.

A metà aprile Laurent Fabius è stato il primo ministro degli esteri francese a visitare L’Avana negli ultimi trent’anni, e ha ricevuto un’accoglienza calorosa. Negli ultimi tempi si sono moltiplicati e intensificati i contatti bilaterali tra i paesi europei e Cuba, e nella giornata di giovedì l’Unione europea ha posto le basi (dopo due giorni di trattative) per la stipula di un “accordo di dialogo politico e cooperazione”.

A quanto pare l’Unione ha deciso di superare la Posizione comune assunta su iniziativa della Spagna nel 1996, quando aveva deciso di subordinare gli scambi commerciali con Cuba ai progressi in materia di rispetto dei diritti umani. Anche se non lo dicono, gli europei pensano che la legalizzazione delle piccole imprese private, il relativo miglioramento del clima politico e la possibilità concessa ai cubani di uscire dal paese per ragioni commerciali, familiari e addirittura turistiche segnino un’evoluzione che è necessario incoraggiare attraverso lo sviluppo degli scambi commerciali.

Cuba ha bisogno dell’Unione, che a sua volta ha scelto di scommettere sul cambiamento dell’isola, ma questa non è l’unica ragione dell’apertura. Cuba, infatti, non vuole ritrovarsi di nuovo tête-à-tête con gli Stati Uniti, e anche l’Unione non gradisce l’idea che gli americani ristabiliscano l’influenza dominante che avevano prima della rivoluzione castrista.

Il desiderio degli europei e di Cuba di creare legami forti dipende dunque anche dall’avanza di Washington, testimoniata dal fatto che i viaggi tra le due sponde dello stretto della Florida sono sempre più frequenti, la diaspora cubana finanzia metà delle piccole imprese private e gli Stati Uniti sono in procinto di tornare a essere una presenza ingombrante e imprescindibile sull’isola.

(Traduzione di Andrea Sparacino) 

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