10 giugno 2014 07:00

I più lucidi tra gli israeliani lo ripetono da anni. “Imponeteci un accordo di pace. Imponetelo a tutti noi, israeliani e palestinesi”, implorano rivolgendosi a statunitensi ed europei e sottolineando che nessuna delle due parti coinvolte nel conflitto sarà mai capace di risolvere il problema da sola. Considerando l’evoluzione degli ultimi giorni, non si può evitare di considerare questa ipotesi.

I palestinesi, infatti, sono talmente indeboliti da essere stati costretti a superare le divergenze tra i laici di Fatah e gli islamisti di Hamas e formare un governo provvisorio di larghe intese. Il nuovo esecutivo sarà composto da tecnocrati estranei a entrambi partiti, e in modo che l’Autorità palestinese non perda ogni sostegno da parte degli Stati Uniti, che hanno inserito Hamas nella loro lista delle organizzazioni terroriste.

Non c’è nulla di più irreale di questo governo senza una visione comune, ma questa soluzione era ormai inevitabile. I laici hanno infatti perso la rotta dopo il fallimento del rilancio dei colloqui di pace voluto dagli americani, mentre gli islamisti sono completamente isolati ora che i Fratelli musulmani hanno perso la partita in Egitto e gli Hezbollah libanesi sono troppo occupati a sostenere il regime di Bashar al Assad.

Moderati o radicali, i palestinesi sono più soli che mai, disorientati e politicamente allo stremo. Ma gli israeliani non se la passano molto meglio. Certo, possono contare su uno stato solido, un’economia fiorente, un settore della ricerca all’avanguardia e l’esercito più forte della regione, ma allo stesso tempo hanno finito per compromettere gli sforzi di pace statunitensi, perché sono ossessionati dai pericoli che secondo loro potrebbero derivare dalla nascita di uno stato palestinese e sono incapaci di cogliere le grandi opportunità legate a una pace duratura.

Israele non sa più in che direzione muoversi, e in occasione del tradizionale incontro di Herzliya dedicato alla sicurezza, il governo Netanyahu ha mostrato profonde divergenze, non tattiche ma strategiche.

Tzipi Livni, la ministra della giustizia incaricata di gestire i colloqui di pace, ha chiesto una ripresa del dialogo. Il ministro dell’interno ha difeso lo statu quo. Il ministro dell’economia ha chiesto una pura e semplice annessione dei territori occupati. Quello delle finanze ha dichiarato che il suo partito lascerebbe la coalizione (facendo cadere il governo) se il suo collega dell’economia fosse ascoltato. Il ministro degli esteri, infine, ha denunciato questa cacofonia imbarazzante.

È evidente che Israele non riesce più a scorgere il suo futuro. In mancanza di un accordo di pace, infatti, l’unica opzione per gli israeliani sarebbe quella di uno stato binazionale in cui i palestinesi sarebbero in maggioranza e dunque ai comandi (a meno che non siano sottoposti a una forma di apartheid).

Gli israeliani più lucidi hanno ragione: la pace dovrà essere imposta ai due popoli, e a farlo dovranno essere l’Europa e gli Stati Uniti.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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