18 dicembre 2015 11:37

Sono una persona comune. Non ho competenze o capacità particolari per aiutare gente disperata e traumatizzata, ma quando sono apparse le immagini del piccolo Aylan Kurdi, il bambino di tre anni che giaceva senza vita su una spiaggia turca, ho sentito un pugno allo stomaco.

Ho fatto una donazione online, ma non riuscivo a smettere di pensare alle terribili condizioni in cui vivevano i profughi, e ho cominciato a chiedermi cos’altro potessi fare. La situazione nel campo di Calais ormai noto come la “giungla”, si deterioravano, e il posto era relativamente vicino. Potevo andarci davvero? E sarebbe servito a qualcosa?

Una delle necessità più urgenti, come in qualsiasi altro campo profughi, è il cibo: ci sono delle scorte, ma la maggioranza delle seimila persone che ci vivono soffrono la fame ogni giorno. A casa cucino. So affettare le cipolle e lavare i piatti. Sembrava un buon punto di partenza. Ho chiesto su Facebook se qualcuno voleva venire con me. Un mio amico cuoco, Rob Lawson, mi ha detto di sì. Poi si è offerto volontario Tom Southern, che lavora con gli adolescenti in difficoltà facendogli svolgere attività all’aria aperta.

Le condizioni sono orrende oltre ogni immaginazione, quello in cui ci siamo imbattuti nella tendopoli continua a ossessionarmi

Anche Waleed Ghani, che di recente ha rifondato il partito Whig, mi ha detto di voler essere coinvolto. Ho creato una pagina per le donazioni su JustGiving – volevamo portare cibo e comprare utensili da cucina una volta arrivati. Ho prenotato il traghetto e un alloggio. Attraverso un forum online, ho contattato la cucina Ashram, che forniva due pasti al giorno a 600 persone e aveva un disperato bisogno d’aiuto. Abbiamo riempito il furgone di Rob con articoli vari, tra cui cento chili di riso, e siamo partiti, senza avere un’idea precisa di quel che ci attendeva.

Le condizioni sono orrende oltre ogni immaginazione, quello in cui ci siamo imbattuti nella tendopoli continua a ossessionarmi. Niente gabinetti, niente assistenza medica, niente sicurezza, niente raccolta dei rifiuti e niente strade – solo piste di fango puzzolente piene di immondizia e rifiuti. Poiché le persone sono costrette ad accendere nelle loro tende mucchi di legno rimediato tra i rifiuti per cucinare e riscaldarsi, gli incendi scoppiano di continuo. Ma non ci sono pompieri, solo i social media per diffondere richieste di estintori, secchi e sabbia. Nel fine settimana precedente al nostro arrivo il vento forte aveva fatto propagare un incendio che ha distrutto 250 tende.

Gente di ogni tipo

La cucina Ashram è costituita da una grande tenda e da un container. Non c’è acqua corrente e ci sono solo due fornelli a gas. Uno è sempre acceso per bollire l’acqua, portata qui da un idrante a quasi cento metri di distanza attraverso piste di fango fetido e fognature. I muscoli delle spalle, poco allenati, mi fanno ancora male.

All’ora dei pasti la tenda si riempie e fuori si forma una lunga coda. I piatti vengono lavati, asciugati e riutilizzati a un ritmo frenetico. Il cibo non basta mai a nutrire tutti. Rob è crollato quando si è accorto che stava finendo il tè caldo in una giornata gelida e che era in grado di individuare in fondo alla fila la persona che avrebbe deluso di lì a poco. E tutte quelle che venivano dopo.

Alla fine del “servizio” facciamo le pulizie. L’area in cui si lavano le stoviglie è fatta di pallet coperti da una rete sopra uno scarico improvvisato che sfocia nella strada principale. Tutto deve passare dalla rete, che viene pulita da chi ha lo stomaco più forte. Alla termine della giornata portiamo le attrezzature più costose nel container che può essere chiuso a chiave.

Migranti in fila per ricevere il pranzo dai volontari nel campo profughi di Calais, in Francia, il 20 settembre 2015. (Regis Duvignau, Reuters/Contrasto)

Non c’era tempo per parlare con i profughi, ma molti si offrivano come volontari e questo ci dava la possibilità di scambiare quattro chiacchiere. Abbiamo chiesto a uno di loro di raccontarci la sua storia. Era traumatizzato e parlava a fatica. Ci ha raccontato di sua sorella, violentata e uccisa davanti a lui. Dopo averla uccisa, l’hanno violentata di nuovo. Sembrava crudele farlo continuare, perciò l’abbiamo fermato. Non abbiamo più chiesto niente a nessuno.

Ciò che i volontari possono offrire non è sufficiente, ma lo fanno perché non lo sta facendo nessun altro

Tra le persone volontarie c’è un po’ di tutto – un gentiluomo di mezza età proveniente dalle Home Counties in giacca di tweed e pantaloni rossi lavora gomito a gomito con un hippy con i dreadlock. Amy, una cuoca di Londra, si è presa una settimana di permesso dal lavoro ed è venuta fin qui in bicicletta perché non sopportava l’idea di non fare niente. Pensavamo di sbagliarci quando abbiamo visto il maggiordomo Carson di Downton abbey lavare i piatti, ma si trattava proprio dell’attore Jim Carter che sta costituendo un’organizzazione benefica tutta sua, Wand aid. Tutto questo ci rincuorava. E lo stesso vale per la splendida opera d’arte che i profughi avevano dipinto sulla lamiera ondulata e che faceva da allegro contraltare alla bruttezza del recinto da 15 milioni di sterline (quasi 21 milioni di euro) eretto dal governo britannico. Non avete idea di quello che si potrebbe fare per la tendopoli di Calais con una simile somma.

Non riesco a capacitarmi della situazione a Calais – un livello osceno di sofferenza alle porte di casa nostra, in uno dei paesi più ricchi del mondo, e nessuno che se ne assuma la responsabilità. N non ci sono le Nazioni Unite, né fino a oggi le principali organizzazioni umanitarie. Eppure le condizioni sono molto inferiori agli standard umanitari fissati dalla stessa Onu.

I governi francese e britannico sostengono che non è un problema loro e dunque si rifiutano di offrire infrastrutture di base e vie sicure e legali attraverso cui i profughi possano fare richiesta d’asilo nel Regno Unito. Nessuno vuole prendersi la responsabilità, è grottesco.

Come dice Waleed: “Io sono un patriota – ho prestato servizio nell’esercito – ma questo posto mi fa vergognare di essere inglese. Il Regno Unito dovrebbe promuovere il bene in tutto il mondo e dovrebbe difendere i diritti umani, ma tutto quello che siamo in grado di fare quando una crisi umanitaria sta a trenta chilometri dai nostri confini è tirare su un recinto più alto e srotolare altro filo spinato?”.

Ciò che i volontari possono offrire non è assolutamente sufficiente, ma lo fanno perché non lo sta facendo nessun altro.

Se migliaia dai persone non stanno morendo di freddo e di fame a soli 30 chilometri da Kent, il merito è dei volontari, gente comune piena di dignità che non riesce sopportare di vedere altre persone soffrire, gente non rappresentata da questo governo. Perciò torneremo al campo profughi di Calais l’anno prossimo. Non posso starne lontano.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è stato pubblicato dal quotidiano britannico The Guardian.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it