16 maggio 2016 12:19

I governi dovrebbero trovare la volontà politica di smantellare i campi profughi e integrare le persone nelle città vicine e nel mercato del lavoro, scrive Elizabeth Cullen Dunn, dell’Indiana university, negli Stati Uniti. In un commento pubblicato sulla rivista Science, la studiosa considera i vantaggi e gli svantaggi dell’esistenza di questi campi, per i paesi ospitanti e per i profughi stessi.

Fin dalla seconda guerra mondiale i campi per i profughi e quelli per gli sfollati interni sono stati uno strumento utile agli enti di assistenza, perché permettono di centralizzare la fornitura a tante persone di cibo, acqua, impianti igienici e servizi sanitari. Per i paesi ospitanti sono pratici perché impediscono ai profughi e agli sfollati di insediarsi in modo permanente, e dunque agevolando un eventuale rimpatrio forzato nel loro paese di origine.

Pensati per essere temporanei, i campi possono diventare una sistemazione a lungo termine

Tuttavia, i campi creano problemi. Pensati per essere temporanei, possono diventare una sistemazione a lungo termine. “Oltre l’80 per cento delle crisi dei profughi dura più di dieci anni e il 40 per cento dura vent’anni e più”, scrive Dunn. I campi possono ospitare, in modo precario, più generazioni di profughi, diventando una trappola dove le persone attendono un ritorno a casa che non arriva mai. A causa della lontananza dai centri abitati e dell’assenza di regole stabilite, i profughi in genere non riescono a lavorare e ad avere una minima sicurezza economica.

Anche la struttura delle agenzie umanitarie può creare problemi. Sono molte e non coordinate tra di loro. “Ad Haiti dopo il terremoto erano coinvolte più di mille agenzie”, scrive Dunn. Tendono a non cooperare, in quanto competono per le risorse. La loro offerta standard raramente si adatta alle necessità locali. “Poiché l’aiuto è in genere dato ad hoc, né le agenzie né i donatori dicono ai profughi che tipo di aiuto possono aspettarsi e quando sarà distribuito. Non comunicano neanche quando gli aiuti saranno interrotti”, continua Dunn. In questa situazione caotica e imprevedibile, “le persone sono bloccate nel presente, abbandonate in una situazione che è permanentemente temporanea”, incapaci di costruire un futuro.

Per migliorare la situazione si potrebbero convogliare gli aiuti verso le organizzazioni umanitarie locali, che conoscono le necessità reali. Un’altra soluzione è costituita dai finanziamenti diretti ai profughi, attraverso i telefoni cellulari e le carte prepagate, in modo che possano comprare ciò di cui hanno bisogno. Soprattutto i governi dovrebbero permettere a profughi e sfollati interni di integrarsi e ricostruire le loro vite, conclude Dunn, e di contribuire economicamente e culturalmente alle loro nuove comunità.

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