Tel Aviv, 24 dicembre 2023. Benjamin Netanyahu durante una riunione del gabinetto di guerra. (Ohad Zwigenberg, Reuters/Contrasto)

La sera del 1 gennaio la corte suprema israeliana ha inflitto un duro colpo al primo ministro Benjamin Netanyahu, nel pieno del conflitto tra Israele e Hamas nella Striscia di Gaza, dichiarando non valido un passaggio chiave della controversa riforma giudiziaria voluta dal suo governo.

Il progetto aveva innescato uno dei più grandi movimenti di protesta nella storia di Israele, messo in ombra dalla guerra cominciata il 7 ottobre. Ma la decisione della corte suprema riporta il tema al centro del dibattito.

Il provvedimento dichiarato illegittimo prevedeva di togliere alla magistratura il diritto di pronunciarsi sulla “ragionevolezza” delle decisioni del governo o del parlamento israeliano. Otto dei quindici giudici del tribunale hanno votato per annullare la misura.

Architetto della riforma giudiziaria e numero due del governo, il ministro della giustizia, Yariv Levin, ha accusato la corte su Telegram di “appropriarsi di tutti i poteri”.

“Infatti, i giudici (della corte suprema) assumono con questa decisione tutti i poteri che, in un regime democratico, sono distribuiti in modo equilibrato tra i tre poteri”, esecutivo, legislativo e giudiziario.

Il ministro della giustizia ha criticato anche la pubblicazione di questa sentenza “in piena guerra, che va contro l’unità necessaria in questi giorni per il successo dei nostri combattenti al fronte”.

Un’accusa lanciata anche dal partito Likud di Netanyahu che ritiene “deplorevole che la corte suprema abbia deciso di pubblicare il suo verdetto nel cuore di un dibattito sociale in Israele mentre soldati di destra e di sinistra combattono e rischiano la vita”.

Il leader dell’opposizione ed ex primo ministro Yair Lapid ha accolto con favore la decisione, dicendo che la corte ha “fedelmente adempiuto al suo ruolo nella protezione dei cittadini di Israele”.

Questa decisione “pone fine a un anno difficile di conflitti che ci hanno dilaniato dall’interno e hanno portato alla peggiore catastrofe della nostra storia”, ha dichiarato su X (ex Twitter) Lapid, riferendosi all’attacco di Hamas.

La decisione “va rispettata”, ha affermato Benny Gantz, componente del gabinetto di guerra ed ex rivale di Benjamin Netanyahu, invocando l’unità “per vincere la guerra, insieme”.

Il movimento che aveva presentato ricorso contro questa clausola, ha accolto con favore quella che ha definito una decisione “storica”. “Il governo e i ministri che hanno voluto fare a meno del potere giudiziario hanno imparato che a Gerusalemme ci sono i giudici e che esiste una democrazia e uno stato di diritto che prevede la separazione dei poteri”, ha detto il movimento in un comunicato stampa.

Un progetto controverso

L’associazione di ex militari “Ahim Laneshek” (Fratelli d’armi) sostiene “l’indipendenza della corte suprema”, pur invitando a evitare “qualsiasi manifestazione di odio e divisione”.

La corte suprema afferma di avere l’autorità d’invalidare una legge fondamentale “nei casi rari ed eccezionali in cui il parlamento abusa della sua autorità”. Le leggi fondamentali hanno la funzione di una costituzione in Israele.

Dall’annuncio della riforma giudiziaria nel gennaio 2023, il progetto è stato contestato in numerose manifestazioni di piazza ed è stato all’origine di uno dei movimenti popolari più importanti della storia di Israele.

Prima del 7 ottobre, decine di migliaia di persone manifestavano quasi ogni sabato, soprattutto a Tel Aviv, ma anche in molte altre città del paese. Secondo la coalizione di governo, che riunisce partiti di destra, di estrema destra e gruppi ultraortodossi, questa riforma mira a correggere uno squilibrio, rafforzando il potere dei parlamentari su quello dei magistrati.

Israele non ha una costituzione né l’equivalente di una camera alta del parlamento, e la dottrina della “ragionevolezza” è stata usata proprio per consentire ai giudici di limitare gli eventuali abusi del potere esecutivo.

Nel gennaio 2023 la corte suprema ha annullato la nomina di Aryeh Deri, un amico di Netanyahu, a ministro dell’interno, sostenendo che era stato condannato per frode fiscale e quindi non era “ragionevole” che fosse nel governo.

I critici accusano Netanyahu, sotto processo per corruzione, di voler usare questa riforma per ammorbidire un possibile verdetto contro di lui. Il primo ministro israeliano nega quest’accusa.