Il fondatore di Wikileaks Julian Assange in una prigione di Londra, il 1 maggio 2019. (Daniel Leal, Afp)

A partire dal 20 febbraio la giustizia britannica esaminerà un ultimo ricorso del fondatore di Wikileaks Julian Assange contro la sua estradizione negli Stati Uniti, che vogliono processarlo per la pubblicazione di migliaia di documenti segreti.

In vista della prima udienza i suoi sostenitori hanno messo in guardia dai rischi per la vita del cinquantaduenne australiano, detenuto da quasi cinque anni nel Regno Unito.

Il 20 e 21 febbraio la giustizia britannica valuterà il rifiuto di permettere ad Assange di presentare ricorso contro la sua estradizione negli Stati Uniti, accettata nel giugno 2022 dal governo britannico.

“In caso di sconfitta non ci sarà più alcuna possibilità di ricorrere in appello nel Regno Unito”, ha affermato il 19 febbraio alla Bbc la moglie Stella Assange, con cui lui ha avuto due figli quando era confinato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.

“Speriamo di avere il tempo di portare il caso alla Corte europea dei diritti umani”, ha aggiunto. La settimana scorsa aveva dichiarato che in caso di estradizione “morirà”.

Il fondatore di Wikileaks era stato arrestato dalla polizia britannica nel 2019 dopo aver trascorso sette anni nell’ambasciata ecuadoriana a Londra.

Nel gennaio 2021 la giustizia britannica aveva in un primo momento dato ragione ad Assange. Citando un rischio di suicidio, la giudice Vanessa Baraitser aveva rifiutato di dare il via libera all’estradizione. Ma la decisione era stata poi rovesciata.

Nel tentativo di rassicurare l’opinione pubblica sulla sorte di Assange, gli Stati Uniti hanno affermato che non lo trasferiranno nel carcere di massima sicurezza Adx di Florence, in Colorado, soprannominato “l’Alcatraz delle Montagne rocciose”, e che gli daranno la necessaria assistenza clinica e psicologica.

Queste garanzie hanno convinto la giustizia britannica, ma non i sostenitori di Assange, che lo considerano un martire della libertà.

Assange rischia fino a 175 anni di prigione per aver pubblicato a partire dal 2010 più di 700mila documenti segreti sulle attività militari e diplomatiche degli Stati Uniti, in particolare in Iraq e in Afghanistan.

Tra questi c’è un video che mostra alcuni civili uccisi da soldati statunitensi in elicottero in Iraq nel luglio 2007.

I documenti sono stati ottenuti con la collaborazione della soldata statunitense Chelsea Manning, condannata nell’agosto 2013 a trentacinque anni di prigione da una corte marziale e rilasciata nel gennaio 2017 dopo aver ricevuto la grazia dal presidente Barack Obama.

“Condanna sproporzionata”

Negli ultimi giorni il primo ministro australiano Anthony Albanese ha chiesto al governo britannico di scarcerare Assange e a quello statunitense di ritirare le accuse penali contro di lui.

All’inizio di febbraio Alice Jill Edwards, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, ha invitato il governo britannico a sospendere la procedura di estradizione. “Assange soffre da tempo di depressione ed è a rischio di suicidio”, ha affermato.

Secondo Edwards, “il rischio che sia tenuto in isolamento per un periodo prolungato, e che la sua condanna possa essere sproporzionata, potrebbe rendere l’estradizione incompatibile con gli obblighi internazionali del Regno Unito in materia di diritti umani”.