14 dicembre 2018 13:19

“Ho incontrato Queen per la prima volta un anno fa, era rinchiusa nel Centro permanente per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, a Roma, dove mi era stata segnalata perché potenziale vittima di tratta”, racconta Francesca De Masi, operatrice dell’associazione Be Free. Dopo aver raccontato la sua storia, Queen è stata trasferita prima in un centro di accoglienza a bassa soglia e poi nel Cara di Castelnuovo di Porto, a pochi chilometri da Roma.

Queen non ha voluto denunciare i suoi sfruttatori per paura delle conseguenze. Ha ottenuto la protezione umanitaria e ora, dopo l’approvazione del decreto sicurezza e immigrazione, rischia di finire per strada insieme alla sua bambina di pochi mesi. È una delle conseguenze del decreto: Queen non ha più diritto a rimanere nei centri di prima accoglienza perché ha già un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ma non potrà neppure entrare in quelli destinati alla seconda accoglienza (Sprar) che sono ormai riservati ai titolari di protezione internazionale e ai minori stranieri non accompagnati.

“Stiamo ricevendo diverse richieste di aiuto da parte di giovani donne che, titolari di protezione umanitaria, stanno per essere mandate via dai Centri d’accoglienza straordinaria (Cas), in cui ancora si trovavano a causa delle lungaggini burocratiche relative al trasferimento negli Sprar”, afferma De Masi.

I primi effetti del decreto
Come molte ragazze vittime di tratta, Queen è originaria di Benin City, nello stato di Edo in Nigeria, è stata contattata dalla sua vicina di casa, Joy, che le ha prestato dei soldi offrendole la possibilità di arrivare in Europa. Prima del viaggio, Joy ha accompagnato Queen da un dottore di medicina tradizionale che le ha fatto fare il giuramento ju ju e durante la cerimonia l’uomo le ha detto che una volta arrivata a destinazione avrebbe dovuto restituire diecimila euro a Joy. Dopo il giuramento, Joy ha messo in mano a Queen un foglio bianco dicendole che avrebbe dovuto mostrarlo alla polizia se fosse stata fermata: sul foglio c’erano scritti il nome e il numero di telefono di Joy.

Partita dalla Nigeria nel gennaio 2016, attraverso Agadez e Sabah, la ragazza è arrivata a Tripoli, in Libia, dove è rimasta per quattro mesi in una “connection house” dove è stata costretta a prostituirsi insieme ad altre ragazze, tutte nigeriane. “Ero costretta a prostituirmi con quattro clienti al giorno”, racconta Queen. Le ragazze erano chiuse nella casa e ricevevano pochissimo cibo. I carcerieri erano tutti libici. Queen era chiusa in una stanza con altre quattro ragazze e i clienti potevano entrare anche contemporaneamente per consumare i rapporti con le ragazze, senza precauzioni. Queen racconta di essersi messa dell’ovatta nella vagina per cercare di evitare la gravidanza.

Nell’agosto del 2016 gli stessi carcerieri hanno portato Queen sulla spiaggia. Era arrivato il momento di fare la traversata a bordo dei “lampa lampa”, i gommoni. Insieme agli altri migranti sul gommone Queen è stata soccorsa ed è arrivata in Italia, dove è stata trasferita in un centro di accoglienza per due mesi. Joy ha cominciato a chiamarla per ricordarle il debito che aveva contratto. Se non avesse pagato, il ju ju si sarebbe scagliato contro di lei, rendendola pazza o addirittura uccidendola.

Queen allora è scappata dal centro di accoglienza ed è arrivata in Puglia, si è messa in contatto con una rete di sfruttatori che l’hanno costretta a prostituirsi sulla statale che collega Taranto a Brindisi, vicino a Mesagne. Il 17 gennaio del 2017 è stata fermata dalla polizia in un blitz, era senza documenti, così è stata trasferita nel Cpr di Ponte Galeria dove ha incontrato le operatrici di Be Free.

“Queen non ha ritenuto di depositare una denuncia, visto che Joy non è mai venuta in Italia; non si sentiva in pericolo proprio perché non sentiva più il ricatto del ju ju, non ha neppure chiesto l’inserimento in una struttura protetta”, racconta Francesca De Masi. “Due giorni fa Queen ci ha chiamato perché ha paura di tornare in mezzo alla strada, il centro le ha dato due settimane per lasciare la struttura. Ma nel frattempo Queen ha avuto una bambina che è nata alla fine di luglio”, continua De Masi. “E la prospettiva che torni per strada ci preoccupa molto”, aggiunge l’operatrice che denuncia almeno cinque casi simili nella provincia di Roma e un paio nella provincia di Rieti.

Il decreto immigrazione e sicurezza è entrato in vigore il 4 ottobre del 2018 ed è stato approvato dal parlamento a fine novembre. Tra le modifiche più importanti del decreto c’è l’abolizione della protezione umanitaria che negli ultimi anni è stata usata per fornire un permesso di soggiorno anche alle donne vittime di tratta. La maggior parte dei migranti che sono arrivati in Italia negli ultimi anni ha ricevuto la protezione umanitaria, il decreto non è retroattivo, quindi non avrà conseguenze dirette su chi ha già ottenuto la protezione umanitaria e su chi si trova già in un centro di seconda accoglienza (Sprar).

Ma nelle ultime settimane si sono moltiplicate le denunce da parte delle associazioni e dei beneficiari di protezione umanitaria che sono stati dimessi dai centri di prima accoglienza, Cas e Cara. In molti casi sono finite per strada anche persone particolarmente vulnerabili. La situazione è molto disomogenea sul territorio italiano e dipende molto dagli orientamenti dei diversi prefetti che in alcuni casi hanno diramato delle circolari per chiedere ai centri di prima accoglienza di dimettere i beneficiari di protezione umanitaria.

Il 7 dicembre 24 persone sono state dimesse dal Cara di Isola Capo Rizzuto, in Calabria, e sono finite a dormire per strada alla stazione ferroviaria di Crotone. A Potenza il prefetto ha diramato una circolare chiedendo ai centri di prima accoglienza di dimettere gli ospiti con la protezione umanitaria. Al Cara di Mineo, in Sicilia, è scoppiato un caso quando il 10 dicembre 90 ospiti sono stati dimessi dalla struttura nel giro di poco tempo. Il vescovo di Caltagirone Calogero Peri ha condannato la decisione dicendo: “Abbandonare i cani è reato. Lasciare persone per strada è legge”. Peri ha messo subito a disposizione 40 posti letto e si è detto disponibile all’apertura delle chiese per ospitare tutti quelli che dovranno lasciare il più grande centro di accoglienza d’Italia nei prossimi giorni, a poche settimane da Natale e nel pieno dell’inverno.

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