20 settembre 2019 12:42

Sulla scena un mucchio di stracci, come quelli che a volte si accumulano sui marciapiedi delle nostre città. Roba che arriva da chissà dove e sotto cui ha dormito qualcuno o forse ci sta ancora dormendo. Su un suono di percussioni sempre più incalzante qualcosa comincia a muoversi. Mentre le luci aumentano d’intensità vediamo braccia, gambe e schiene che si contorcono. Un corifeo con uno stendardo sembra guidare una specie di processione. I tamburi suonano sempre più forte, si sentono fischi e richiami. È una musica che, con la solennità convulsa del rituale, sembra uscire direttamente dalla terra. Da quelli che sembravano mucchi di stracci, materia informe, emergono corpi vivi che portano sulla scena i loro conflitti, le loro differenze e la loro furia: la loro fame di esistere.

Fúria, lo spettacolo della coreografa brasiliana Lia Rodrigues visto al Romaeuropa festival, è un tour de force di violenza e di bellezza, un rituale moderno e primitivo allo stesso tempo. Come reazione alla repressione politica, sessuale e contro le minoranze imposta al Brasile dal presidente Jair Bolsonaro, la companhia de danças Lia Rodrigues porta sulla scena, direttamente dalla favela di Maré, nella zona nord di Rio, una grande varietà di corpi, di etnie e di colori che, in modo proteiforme e sempre più parossistico, si mescolano tra di loro.

Un momento dello spettacolo Fúria. (Sammi Landweer, Romaeuropa festival)

Come in un bassorilievo di antiche divinità marine, braccia e gambe si intrecciano, i corpi nudi non sono solo attori o danzatori, ma diventano anche spazio e scenografia. Come nei fregi dei templi indù i sessi si compenetrano e le gambe, le braccia e i sensi sembrano moltiplicarsi in un divenire sempre più abbacinante in cui maschio e femmina, bianco e nero, dominatore e dominante si confondono in un’unica danza frenetica.

Un atto politico
La musica percussiva che agita questi corpi viene dalla Nuova Caledonia, ma la sua forza ctonia potrebbe farci pensare all’Africa, al carnevale di Haiti, al candomblé di Bahia, al baile funk di una favela di São Paulo o a un rave di Berlino. Fúria è una celebrazione rituale della vita e della violenza che implicitamente comporta il desiderio di restare in vita.

Lia Rodrigues, nata a São Paulo nel 1956, gestisce la sua compagnia di danza dal Centro de artes da Maré, nel cuore della favela carioca che il governo brasiliano ha militarizzato e cercato di nascondere ai turisti in occasione delle olimpiadi del 2016.
Per Rodrigues, che ha vissuto e lavorato in Brasile sotto la dittatura dei colonnelli, la danza è un atto politico e di resistenza, anche se nel programma di sala mette le mani avanti e dice: “Non è la danza che può cambiare le cose ma i politici che votiamo”. Quello che l’arte può fare è offrire una visione del mondo e Fúria lo fa mostrando “l’amore e l’energia della creatività”.

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Dal punto di vista visivo lo spettacolo, pur essendo fatto essenzialmente di corpi e di rifiuti (stracci, plastica, bottigliette, sacchi dell’immondizia) è ricchissimo: vediamo danzare divinità pagane con il corpo colorato di blu, nativi dell’Amazzonia con copricapi piumati appena suggeriti e sacerdoti senza sesso drappeggiati di plastica colorata; a un certo punto emerge anche una figura riccamente addobbata di stracci, con un passamontagna e due maracas rosse al posto degli occhi, che sembra uscita dai carnevali vudù di Phyllis Galembo.

La coreografia è altrettanto ricca e si dipana in una serie di tableaux vivants che incorporano teatro, danza, capoeira, hip hop, baile funk, twerking e danze africane in una sorta di koiné del corpo trascendente e liberatoria.

Sul finale, la compagnia esce per gli applausi e, a sorpresa, dopo tanta espressione corporea, irrompe sulla scena la parola scritta: su una serie di cartelli si legge: “S.O.S. Amazzonia” e “Chi ha ordinato l’omicidio di Marielle Franco?”. Un danzatore espone anche un cartello stradale “Rua Marielle Franco”.

È una dedica esplicita all’attivista femminista, lesbica e nera, assassinata proprio nella favela di Maré nella notte tra il 14 e il 15 marzo del 2018. Franco denunciava gli abusi della polizia nelle favelas ed era diventata un simbolo di resistenza nel Brasile che di lì a poco avrebbe eletto l’estremista e reazionario Bolsonaro.

I cartelli esibiti all’Auditorium di Roma possono sembrare una trovata didascalica, ma per un pubblico così lontano dal Brasile sono un modo per chiudere il cerchio e dire che Marielle Franco può essere stata uccisa, ma la sua Fúria continua a scorrere come una corrente elettrica nel Brasile che resiste.

Di Marielle Franco si parlerà anche al festival di Internazionale a Ferrara, dal 4 al 6 ottobre, insieme a Mônica Benício, attivista e compagna di Franco. Guarda l’intervista a Benício.

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