11 novembre 2017 16:41

Una vera felicità, questa 51ª edizione di Lucca Comics & Games Heroes 2017. Per la felicità stessa che si vedeva nei volti e nei comportamenti dei tanti visitatori, nell’empatia con la festa. E per la sua durata, dal 31 ottobre al 5 novembre, che la fa somigliare sempre più a un festival del cinema che fa dimenticare del tutto o quasi quello che succede nel mondo esterno. Una sorta di sospensione del tempo, una bolla. Questa bolla ha pregi e difetti.

Sicuramente la vicinanza con videogiochi e produzioni dell’audiovisivo destinate all’intrattenimento crea un certo contrasto con il fumetto, che si legge ancora in gran parte sulla carta, come è ancora disegnato in gran parte sulla carta. Ma anche perché il festival, nato come festival di fumetto in quanto espressione artistica in divenire (al quale erano affiancati il cinema d’animazione e illustrazione), nelle sue esposizioni valorizza autori che hanno una diversa impronta artistica espressione della propria interiorità, di un loro mondo. Sia che vogliano anche divertire, come Federico Bertolucci, sia che vogliano invece proporre una riflessione sul mondo, anche se con modalità affascinanti se non ammalianti, ed è invece il caso di un maestro del fumetto d’autore come Igort.

Le diverse anime del fumetto
Comunque, i numeri di questa edizione parlano chiaro. A cominciare dai 240mila biglietti venduti in cinque giorni (cifre reali, al contrario di altri festival). Anche se il festival ha un’importante apertura alle produzioni audiovisive, gli eventi sui quali ci soffermeremo sono però quelli legati al fumetto. Dopotutto il festival di Lucca, nato nel 1965, è il più vecchio festival del fumetto nel mondo, come il festival di Venezia lo è per il cinema.

E ha proposto tanti eventi, colloqui, conferenze e incontri, come sempre, da quello con Zerocalcare per parlare, con umorismo, del nuovo libro Macerie prime e la sua crisi esistenziale-creativa, a quello con José Muñoz, premiato alla carriera con lo Yellow Kid destinato a un maestro del fumetto.

Ovviamente è normale pubblicare sui social network la diretta dell’incontro di Robert Kirkman con il pubblico al teatro del Giglio, moderato dallo storico Paul Gravett (il curatore dell’esposizione Mangasia in corso a Roma al palazzo delle Esposizioni) e introdotto da Andrea Fornasiero (visibile ancora adesso andando sulla pagina Facebook del festival). Ma se è comprensibile il rilievo dato a un autore come Kirkman, autore della celeberrima serie The walking dead, si può rimanere comunque delusi dal fatto che l’incontro con Muñoz non sia stato altrettanto visibile.

Eppure il maestro argentino trapiantato a Milano lo meritava non solo in quanto grande autore, ma anche in quanto oratore e affabulatore. Quando parla, è intelligente e colto, ma anche intenso e appassionato. Muñoz, l’espressionista-poeta, fa pienamente parte della casistica dei maestri dei maestri del fumetto, per riprendere la definizione del critico e storico Gianni Brunoro. Insieme all’altro grande argentino Alberto Breccia, a Dino Battaglia, Hugo Pratt, Guido Crepax e al francese Moebius.

Alack Sinner, il suo detective della New York dei derelitti e dei marginali, creato a metà degli anni settanta grazie anche alle sceneggiature scritte da Carlos Sampayo, in uno stato di simbiosi costante con il disegnatore, rappresenta tra le più alte vette della storia del fumetto. Così sono pure fondamentali la saga di Nel Bar e tantissimi graphic novel, come il più recente, Carlos Gardel (Nuages edizioni), tra i romanzi a fumetti maggiormente significativi degli ultimi trent’anni.

L’intera storia artistica – come l’intera vita di Muñoz (e Sampayo) – è il paradigma delle storie di migranti, rifugiati ed esuli. Ex allievo di Alberto Breccia e Hugo Pratt (durante il periodo argentino del creatore di Corto Maltese), José Muñoz rappresenta un pezzo assolutamente fondamentale della storia del fumetto e sentirlo parlare rappresentava dunque un’occasione unica. Diffondere adeguatamente la sua parola era altrettanto importante. Peccato per l’occasione mancata, ma si può sperare per il futuro.

Il premio a Lorenzo Mattotti segna il ritorno al fumetto di uno dei più grandi sperimentatori e poeti

Tanto più che il festival di Lucca dimostra un’interessante evoluzione, consapevole della costante espansione del mercato in Italia e dell’attenzione crescente al mezzo espressivo. Se la selezione dei titoli che concorrevano quest’anno al Gran Guinigi nelle sue varie declinazioni (premio per il miglior graphic novel, premio per il miglior disegnatore, eccetera) era davvero molto buona, si è rivelato straordinario il palmarès.

E qui siamo a una seconda felicità, dopo quella del numero dei visitatori. Quella profonda di chi lavora da tanti anni con rigore e sperimentando. Profonda perché dopo tanto lavoro è una felicità che viene dal mondo interiore, come può accadere per chiunque di noi se riceviamo finalmente dopo anni un fondamentale riconoscimento lavorativo.

Il premio come migliore graphic novel dell’anno a Lorenzo Mattotti per Ghirlanda (scritto con Jerry Kramsky, Logos edizioni), libro di grande poesia sul recupero dello sguardo vergine e delle sensazioni altrettanto pure che procura, compreso il recupero della purezza di quella che potremmo chiamare l’infanzia del fumetto, segna il ritorno al fumetto dopo quasi quindici anni di uno dei più grandi sperimentatori e poeti nella storia del mezzo espressivo.

Il premio a Mattotti arriva dunque al momento giusto. E s’inserisce all’interno di una costruzione attenta, riflettuta, quella compiuta dalla giuria a sua volta scelta dal festival, è importante rimarcarlo. Tra i suoi componenti figurano giovani autori come Toni Bruno (edito da Bao publishing) o specialisti che stanno lavorando al nuovo museo del fumetto di Lucca.

Eppure la sorpresa è arrivata e la giuria ha quasi compiuto un’opera di poesia. Mattotti, emozionato, durante la serata di premiazione ha sottolineato di aver conosciuto Muñoz proprio a Lucca, nel 1974. Muñoz, che era già stato chiamato alcuni anni fa a presiedere in Francia il festival internazionale di Angoulême, ha concluso la serata con parole bellissime. Quelle conclusive, “siamo tutti maestri e allievi di noi stessi”, sembrano al tempo stesso la sintesi di gran parte della storia del fumetto e non solo di quel particolare segmento della sua storia presente quella sera, degli autori visibili e quelli ormai invisibili come Alberto Breccia, Hugo Pratt, Solano Lopez. Tra quelli visibili anche Enrique Breccia, figlio del grande Alberto.

Lucca comics, novembre 2017. (Roberto Manfredi)

Rizzoli Lizard ha appena riproposto in un’edizione davvero di grande pregio il Che, la biografia di Guevara concepita da Enrique Breccia assieme al padre e al grande sceneggiatore desaparecido Héctor G. Oesterheld. Breccia, oggi residente in Italia, nel consegnare il premio a Muñoz, ha parlato con grande umiltà proprio della questione dei maestri.

Ma il palmarès, che trovate qui completo, ha creato altre belle correlazioni premiando tra gli altri Leila Marzocchi per Niger, altro esempio incantevole e profondo di rilettura della dimensione fiabesca che ha richiesto all’autrice più di dieci anni di lavoro, e Sara Colaone per Leda, coautrice insieme a Francesco Satta e Luca de Santis di uno straordinario ritratto di donna e di figura unica del movimento anarchico. Oppure ancora l’eccellente Palla di Paolo Bacilieri (pubblicato da un’editrice iconoclasta e in crescita come Hollow Press), reinvenzione con una sensibilità nuova di quell’underground con il quale autori come Mattotti hanno cominciato.

Infine, il premio a L’uomo senza talento di Yoshiharu Tsuge, un libro fondamentale nella storia del fumetto non solo giapponese, è anche un riconoscimento alla casa editrice Canicola, la più significativa realtà di fumetto sperimentale in Italia, filiazione perfetta di quella Bologna che ha rivelato la centralità di Andrea Pazienza ma anche di Igort, Mattotti e degli altri ideatori di Valvoline, l’inserto di Alterlinus.

Un mangaka di talento
Splendide anche le esposizioni, comprese quelle dedicate agli illustratori (quest’anno l’americano Michael Whelan e l’italiana Arianna Papini). Quella dedicata a Igort è un viaggio nel tempo con una scelta di tavole da Quaderni giapponesi, Il letargo dei sentimenti e Baobab, ambientato in Giappone, Africa e nel paese immaginario del Parador, coabitano alla perfezione con una giusta musica strumentale di sottofondo che immerge gradualmente nelle atmosfere poetiche, rarefatte, zen, dell’autore. Il letargo dei sentimenti, appena riproposto dalle edizioni Oblomov è la prima incursione in un Giappone immaginario visto che l’autore non aveva compiuto ancora viaggi in quel paese.

Musica d’ambiente per un’esposizione di ambienti, o quasi. Musica che si abbinava senza praticamente sovrapporsi a quella cantata scelta come sottofondo all’esposizione dedicata a Taiyo Matsumoto, suggerendo così un bel collegamento, una bella prossimità. Ora che Jiro Taniguchi non è più tra noi, Matsumoto, tra i tanti mangaka di talento, autore geniale dalle influenze europee (Moebius in particolare), da tempo tradotto in altri paesi e ora giunto anche da noi grazie alle edizioni Bd-J Pop e presto dalla 001 edizioni-Hikari (dopo un primo tentativo di Kappa edizioni), è l’autore da tenere d’occhio.

Mescolando in maniera simbiotica sguardo poetico e analisi, le sue inquadrature e prospettive distorte, a tratti quasi sbilenche, riescono sempre a mantenere l’eleganza compositiva, e insieme al suo tratto delicato e forte fanno emergere un penetrante ritrattista di adolescenti abbandonati, di giovani marginali allo sbando, rinnovando con molta originalità una tematica costante nel manga e anche nel cinema giapponese.

Lo sguardo della purezza
La statunitense Raina Telgemeier, autrice nel suo paese di veri bestseller editi in Italia da Il Castoro, manifesta con nitidezza e grande vivacità la sua autobiografia, i conflitti familiari, la malattia che colpisce le persone a lei più vicine. Un esempio sicuramente unico di fumetto per e sugli adolescenti per giunta sotto forma autobiografica.

Anche le esposizioni dedicate a Federico Bertolucci e a Sio ci portano a un fumetto dove emergono figure di autori ma che si rivolgono a tutti, o quasi. Il primo decisamente più ai bambini, nelle varie fasce d’età, ma anche a tutti quegli adulti che vogliono mantenere uno sguardo della purezza, dell’incanto dell’infanzia, pur divertendosi. Consigliamo a tutti i genitori, se già non li conoscono, Love, la storia di una tigre in quattro volumi editi dalle edizioni BD, e per i più piccoli, Piccole storie del mare e Piccole storie della foresta (su testi del francese Frédéric Brrémaud) editi da ReNoir Comics.

Come il disneyano Casty, apprezzatissimo nell’esposizione a Lucca Comics dell’anno scorso, il ligure Bertolucci è un autore che mette l’umorismo infantile al servizio della poesia insita nello sguardo infantile. Le foreste della tigre di Love non sono solo decorative ma espressione di un mondo autentico e l’approccio è pedagogico, poetico e ludico insieme. Ricollegandoci alle questioni poste l’anno scorso sull’uso del digitale, la forza del suo segno grafico emerge sia nelle tavole a colori pittorici, sia in quelle dominate dal segno grafico e in bianco e nero. Emerge sempre un autore che non si fa dominare dalla freddezza del digitale pur utilizzandolo, come purtroppo spesso accade, ma, al contrario, afferrando il toro per le corna è l’autore a dominare la fredda estetica della macchina.

Sio, alfiere di un fumetto minimale concepito mediante il digitale, sembra quasi il suo contraltare. Ma solo a prima vista. Non sempre tutte le opere concepite da Sio ci paiono portare a compimento le promesse iniziali, ma l’esposizione metteva ottimamente in evidenza che il suo delicato umorismo è il riflesso di uno sguardo sulle cose minimali del mondo, certo non lontano da quella purezza del fumetto delle origini di cui dicevamo.

La contiguità e la contaminazione tra le mostre di fumetto a Lucca è una cosa bellissima. Perché allora non aumentare le esposizioni? Soprattutto nel momento in cui il festival si appresta a essere affiancato da un nuovo museo del fumetto, di cui in questa edizione è stata proposta un’anticipazione. Così come si può forse estendere la parte critica e di riflessione anche ai videogiochi e al cinema d’animazione, magari allungando la durata del festival.

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