20 novembre 2018 17:08

Quando si pensa all’afrofuturismo di solito si fa riferimento all’Africa nera. Ma il producer tunisino Sofyann Ben Youssef, con il suo progetto Ammar 808, si dedica a un altro afrofuturismo, quello del Maghreb. Youssef, musicista già al lavoro sui progetti come la band rock Bargou 08, con il suo recente album Maghreb united ha creato una musica a cavallo tra elettronica e folk al tempo stesso pionieristica e antica, rivoluzionaria e conservatrice.

Il disco è stato concepito in seguito ad alcuni viaggi in Nordafrica, all’esplorazione delle tradizioni berbere e arabe, di generi musicali come il raï e il gnawa. I brani sono stati registrati con tre cantanti di diverse nazionalità: il marocchino Mehdi Nassouli, l’algerino Sofiane Saidi e il tunisino Cheb Hassen Tej. Ammar 808 sarà uno dei protagonisti del festival Transmissions, in programma dal 22 al 24 novembre a Ravenna, insieme a Carla Bozulich, Jerusalem in my Heart, Martin Bisi e altri.

“Il nome Ammar 808 riassume in due parole il mio progetto elettronico. Ammar è un nome comune in Nordafrica, soprattutto tra le persone di una certa età, ma è anche come dire ‘mister nessuno’. Il numero 808 invece si riferisce alla drum machine tr-808 della Roland, che ho usato molto per registrare i brani dell’album”, dice Youssef per presentare il suo progetto.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Com’è nato Maghreb united?
Sono cresciuto in Tunisia, e questi suoni per me sono familiari. Nove brani su dieci infatti vengono direttamente dal repertorio tradizionale del Nordafrica. È stato come mettere insieme un album fotografico di famiglia. La 808 è stata il filo conduttore che ho usato per tenere insieme tutti i pezzi.

Come hai lavorato sugli arrangiamenti? È stato difficile far convivere la musica tradizionale del Maghreb con l’elettronica?
Per niente, anzi. Gli elementi tradizionali, rappresentati da strumenti come il fiato gasba o la zokra, sono quelli centrali delle canzoni, mentre l’elettronica è più laterale, fa da collante.

Maghreb united è anche un disco politico, in un certo senso. Cos’è per te il Maghreb unito?
Da artista, tutto quello che faccio è politico. In questo album abbiamo riflettuto su temi di grande portata: il futuro della regione, il colonialismo e la lotta di liberazione dei popoli. Oggi le cose non vanno bene e dobbiamo cambiarle. Dobbiamo unirci! Queste canzoni sono nate nel nome della fratellanza con i tre cantanti, ma anche in nome del futuro incerto che ci lega.

Pensi che siamo pronti finalmente a liberarci del vecchio concetto di world music?
Da quando è nato internet è in corso una rivoluzione globale. Anche il significato di molte parole è cambiato. In Tunisia nel 2012, dopo la rivoluzione, ho capito che il termine “libertà” ha cominciato ad avere un altro significato e una risonanza del tutto nuova. E questo vale anche per la cosiddetta “world music”: dei suoni che una volta erano locali sono diventati globali. La mia musica la definirei “future-world music”, perché voglio cambiare il futuro in meglio. Per questo mi interessano soprattutto le zone del mondo che sono ancora lontane da questa rivoluzione, che per esempio non hanno accesso a internet.

Come suonerete dal vivo Maghreb united? Che tipo di spettacolo deve aspettarsi il pubblico italiano?
C’è una parte visuale molto importante, perché il nostro collaboratore Vjay Sia Rosenberg è in tour con noi e proietta dei visual mentre ci esibiamo. Per il resto, ci saranno tanti bassi e ci sarà tanto da ballare.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it