01 febbraio 2018 17:32

Intorno alla metà di The Post, di Steven Spielberg, i protagonisti Meryl Streep e Tom Hanks – due giganti a completa disposizione della storia – discutono dei rapporti tra politica e stampa, e dell’opportunità di pubblicare i contenuti di uno studio segreto sulla guerra in Vietnam commissionato da Robert McNamara ai tempi in cui era segretario alla difesa. Il documento riguarda le strategie degli Stati Uniti nel sudest asiatico, dalla fine della seconda guerra mondiale al 1967. I famosi Pentagon papers.

Hanks, che interpreta Ben Bradlee, il direttore del Washington Post – a sua volta interpretato da Jason Robards in Tutti gli uomini del presidente – racconta alla sua editrice Katharine Graham (Kay, come la chiamano tutti, la prima editrice di un grande quotidiano statunitense, interpretata da un’eccezionale Meryl Streep), un episodio avvenuto subito dopo la morte di John Fitzgerald Kennedy, di cui Bradlee era amico.

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Jackie Kennedy, con ancora addosso il famoso vestito rosa, gli fa capire che non si può essere direttore di un grande quotidiano e amico del presidente degli Stati Uniti. Bisogna scegliere. Non è una questione di conflitto d’interessi e neanche di deontologia. È una questione di credibilità, di rispetto per gli altri e per se stessi, di condivisione di alcuni valori, di umanità.

Il film di Spielberg, bello e impegnato, è un po’ così. Non impartisce lezioni, né di storia né di morale. Sembra piuttosto un invito a tenere presente cos’è la democrazia. In questo è senz’altro molto americano, ma una volta tanto nel senso migliore del termine.

Al contrario di tanti film sul giornalismo The Post non racconta i retroscena della pubblicazione di un grande scoop che smaschera i cattivi, ma fa riflettere su un argomento sempre attuale come il ruolo fondamentale dell’informazione nell’equazione democratica. Per veicolare il messaggio Spielberg si affida al cinema nella sua forma più semplice, immediata e divertente. Meno spettacolare di quello che uno si potrebbe aspettare da Spielberg, ma solo apparentemente.

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In sala c’è anche Sono tornato di Luca Miniero, con Massimo Popolizio nei panni di Benito Mussolini, “risorto” nel centro di Roma nella primavera del 2017; Maze runner. La rivelazione capitolo finale della serie, in cui il labirinto del titolo è un lontano ricordo (”only for fans”) e l’horror angloamericano Slumber. Il demone del sonno.

Infine, C’est la vie. Prendila come viene, la nuova commedia di Éric Toledano e Olivier Nakache (Quasi amici, Samba), definiti dal settimanale Les Inrockuptibles “gli chef stellati dei buoni sentimenti alla francese”. Protagonista Jean-Pierre Bacri, organizzatore di matrimoni che prima di andare pensione si trova alle prese con delle fastose nozze in un castello seicentesco.

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