01 febbraio 2017 12:46

Chamois è il più alto comune d’Italia non carrozzabile. Ha 90 abitanti e qui, a 1.800 metri di altitudine, sulle Alpi valdostane, si può arrivare solo in funivia o a piedi. Incredibilmente conta sei frazioni, mucchietti di case ravvicinate sparsi sulla montagna.

Per trovare Emilio, che vive nella frazione di Suisse, mi sono incamminata lungo un sentiero di neve lasciandomi indietro le case di Chamois fino al ponte che attraversa il fiume. Da lì, dovevo seguire la piccola mappa che mi avevano disegnato. Portavo con me una torta e i saluti di tutti gli abitanti che sapevano della mia visita a Emilio. Arrivata al bivio, “prendere a destra giù per l’altiporto e poi ancora a destra dopo la croce. Prima casa a sinistra”.

Emilio, 84 anni, mi accoglie con grande sorpresa nonostante l’abbiano intervistato e fotografato in tanti e mi fa sedere accanto a lui sul divano senza memorizzare il mio nome. C’è anche Dina, la badante, che vive con lui. Emilio me la presenta con molto affetto dicendomi che ha fatto parecchi chilometri per andare ad abitare con lui. Ma non sa quantificare bene quanto disti la Romania. Era convinto che Dina non avrebbe resistito più di due o tre giorni. È ormai un anno che si schiantano dalle risate insieme: “Dai Dina non farmi ridere così!”.

Mi dice anche che è ormai il solo ad abitare a Suisse tutto l’anno. Nessuno di noi due sapeva che da lì a breve mi sarei trasferita nella casa di fronte alla sua: per i sette mesi successivi ho vissuto lì insieme al mio compagno e al nostro cane.

Emilio tiene molto a mostrarmi i suoi ultimi due denti e a raccontarmi dei suoi acciacchi ripetendo: “Non lo so cosa ci faccio ancora qui”. A Chamois c’è una dottoressa per gli abitanti, ma solo il martedì dalle 9.15 alle 10.15. “Una volta neanche c’era”, mi racconta Emilio. “Era il parroco del paese che passava a farti visita e con due Ave Maria dovevi sperare di essere in buona salute”. “Quella volta che mio padre è caduto abbiamo dovuto chiamare il dottore che arrivò a piedi da giù, perché la prima funivia fu costruita solo nel 1955, e ricordo ancora che ci chiese una fortuna! Novemila lire! Mia madre disse al dottore che era una cifra onerosa e il dottore le rispose: ‘Perché lei non sa quanti soldi ha speso mio padre per farmi diventare dottore!’”. Oggi per qualunque intervento di primo soccorso a Chamois arriva un elicottero che in cinque minuti porta all’ospedale di Aosta.

Ho l’onore di sfogliare con lui album di vecchie fotografie e mi racconta tanto dell’unica sorella, Emma, più grande, che poi è partita. “Per dove Emilio?”. “Si è sposata e se ne è andata in Francia”. Lui è uscito solo due volte dal paese per andare a Parigi.

“Ho lavorato tutta la vita sai, mai un giorno di vacanza! Io il mare non l’ho mai visto. Coltivavo avena, orzo, segale e avevo le mucche ma solo quelle con la testa bianca. Perché quelle con la testa nera eran buone solo per il combattimento. Le mucche bianche davano buon latte e io facevo i formaggi tutto l’anno. Se ne avevo, a volte lo davo a qualche passante che veniva apposta da me, altrimenti niente”. Oggi a Chamois si coltivano solo orti ad uso familiare principalmente di patate e verza. L’allevamento ancora oggi in tutta la Val d’Aosta è una risorsa primaria. A Chamois c’è Dino, un allevatore che per tutta l’estate resta sugli alpeggi di alta quota con le sue mucche. Produce latte e formaggio che distribuisce anche agli abitanti del paese.

Quando Emilio andava a scuola, in tutta Chamois c’erano almeno 40 bambini. “E il maestro, a quei tempi, non aveva titoli di studio o altro, era solo uno del paese considerato più avanti, uno che sapeva più degli altri”. Oggi a Chamois non ci sono più scuole e gli unici tre giovanissimi del paese raggiungono la loro scuola nella valle sottostante scendendo in funivia.

“Emilio, e la morosa?”. “Ma no, io no…”. E sorride dall’imbarazzo. “Mia madre non voleva sai, dopo che mia sorella se n’era andata si è ben guardata che capitasse anche a me. Mi teneva stretto. Una volta una donna che passò di qui mi disse: ‘Ma tu qui sei proprio fuori dal mondo eh!’, e io le risposi: ‘Ah son ben contento io di essere fuori dal mondo’. Non mi ha più risposto ed è ripartita”. E scoppia a ridere.

Il testo e le foto, scattate nel 2016, sono di Nola Minolfi.

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