Nell’auricolare di Katherine Joy risuona un bip e sul display del suo manubrio si accende una luce. Il metal detector attaccato dietro alla sua motoslitta ha trovato qualcosa sotto lo spesso strato di ghiaccio. Scende. Sarà finalmente quello che sta cercando?
Una faccenda complicata ha portato Joy e i suoi compagni a settecento chilometri a sud della stazione di ricerca British Antarctic survey’s Halley VI. Potremmo dire che la storia è cominciata quattro miliardi e mezzo di anni fa, probabilmente in conseguenza dell’esplosione di una grande supernova, la cui onda d’urto ha provocato il collasso su se stessa di una nuvola di polvere, gas ed elementi più pesanti, che alla fine è andata a formare il Sole e i pianeti, le lune, gli asteroidi e, molto più tardi, altri componenti del sistema solare, per esempio noi.
Da decenni i ricercatori sono a caccia del materiale originale di quell’epoca turbolenta per capire meglio come si sono verificati quei processi. Joy e i suoi colleghi si sono avventurati nel deserto di ghiaccio dell’Antartide per seguire una traccia che avrebbe potuto riempire un vuoto cruciale in questa storia. Quello che hanno trovato, però, non è un mistero solo, ma due.
I meteoriti sono capsule del tempo che ci arrivano dalla nascita del sistema solare. Sono in genere frammenti di asteroidi che orbitano tra Marte e Giove, o qualche pezzo della Luna o di Marte che si è staccato e ha attraversato l’orbita terrestre senza sbriciolarsi. Questi frammenti sono rimasti più o meno intatti da quando le particelle di polvere hanno cominciato ad aggregarsi mentre vorticavano intorno al Sole appena nato. Con la loro chimica incontaminata dalla tettonica, dal vulcanismo e dagli altri violenti processi subiti dalla Terra, conservano informazioni vitali su come si sono formate le parti solide del nostro sistema solare. Conosciamo molti dettagli su quello che dev’essere successo quando i frammenti di roccia si scontravano e si aggregavano per formare masse più grandi o a volte si separavano di nuovo in quella fase turbolenta. Ma non abbiamo un quadro convincente che li unisca tutti. “Nella scienza planetaria non esiste ancora, per esempio, un equivalente della selezione naturale”, dice Luke Daly dell’università di Glasgow, nel Regno Unito. “Non abbiamo una buona teoria per spiegare il passaggio dai gas e dalle polveri ai sistemi planetari”.
I meteoriti hanno un’ampia gamma di forme e dimensioni, che vanno dalle 60 tonnellate del meteorite di Hoba, scoperto in Namibia nel 1920, ai granelli di polvere che piovono continuamente sul nostro pianeta e rappresentano un problema ancora non risolto dai ricercatori.
Oggetti enigmatici
La stragrande maggioranza dei meteoriti che sono stati trovati in giro per il mondo è costituita essenzialmente da rocce silicee dello stesso tipo di quelle che formano la Terra.
Poi ci sono i meteoriti fatti di minerali ferrosi, che sono un misto di roccia e metallo. Come il meteorite di Imilac, che è stato trovato nel deserto di Atacama, in Cile, centinaia di anni fa. Alcuni dei suoi resti, esposti nel Museo di storia naturale di Londra, sembrano lastre scintillanti di vetro colorato.
Qualunque sia il tipo di meteorite che vi interessa, l’Antartide è di gran lunga il posto migliore della Terra per andarlo a cercare
La terza categoria sono i meteoriti ferrosi, sono un misto di ferro e nichel, come quello di Hoba, che è l’esempio più conosciuto. Questi meteoriti sono particolarmente importanti per comprendere le origini del sistema solare. Per formarsi, un blocco di ferro e nichel deve prima aver fatto parte di una roccia spaziale diventata così grande da fondersi al suo interno, consentendo ai metalli pesanti di sprofondare nel suo nucleo e a quelli meno compatti di salire in superficie.
Un processo di differenziazione simile è all’origine del denso nucleo della Terra, costituito in parte da ferro-nichel liquido circondato da un mantello e da una crosta di rocce silicee. Il metallo liquido mobile di queste prime rocce spaziali avrebbe generato un campo magnetico, proprio come fa oggi il ribollente nucleo terrestre. I meteoriti di ferro sono frammenti di quei primi nuclei. Studiando le tracce dei campi magnetici che adesso sono congelati al loro interno, possiamo calcolare quanto può essere stata grande la loro roccia madre, e quindi come e a quale velocità si sono formati i pianeti.
“Sono oggetti enigmatici e interessanti da studiare perché costituiscono l’unico modo per capire com’è fatto l’interno di un pianeta”, dice Claire Nichols del Massachusetts institute of technology (Mit). “Più campioni riusciamo ad analizzare, più cose possiamo imparare su come funzionano i pianeti”.
Qualunque sia il tipo di meteorite che vi interessa, l’Antartide è di gran lunga il posto migliore della Terra per cercarlo. La sua superficie ghiacciata è per lo più intatta da migliaia di anni. I ghiacciai interni funzionano come un nastro trasportatore, portando lentamente qualsiasi roccia ci cada sopra dai punti più alti dell’Antartide orientale e occidentale verso i monti Transantartici, una catena che sorge dal ghiaccio e attraversa il continente dividendo le due regioni. Andando a urtare contro le rocce montuose, i ghiacciai spingono in superficie il ghiaccio e tutte le rocce spaziali che sono intrappolate al suo interno. Ogni estate antartica, da ottobre a febbraio, équipe di ricercatori di tutto il mondo si dirigono a sud per raccoglierle. Il continente fornisce due terzi di tutti i meteoriti accertati trovati sulla Terra.
Il problema è che i meteoriti di ferro o roccia ferrosa, che sono comunque rari, in Antartide non si trovano. È un mistero che sconcerta molti cacciatori di meteoriti e impedisce qualsiasi tentativo di ricostruire in modo convincente le origini del nostro sistema solare.
Un incontro casuale
Geoffrey Evatt non aveva mai avuto intenzione di occuparsi di questo problema. È un matematico dell’università di Manchester e all’inizio della sua carriera aveva sviluppato modelli della dinamica dei ghiacciai, essenzialmente perché gli piaceva arrampicarsi sulle montagne. Ha sentito parlare per la prima volta dei meteoriti mancanti per caso, a un convegno. “A quell’epoca non avrei riconosciuto un meteorite neanche se mi fosse caduto in testa”, dice.
Tutto è cambiato nel 2012, quando Joy, una sua vecchia amica e compagna di scalate, si è trasferita all’università di Manchester. Discutendo del mistero che assilla gli esperti di meteoriti, Evatt e Joy sono arrivati a ipotizzare una possibile soluzione.
Hanno pensato che i meteoriti di metallo assorbono il calore molto meglio di quelli silicei. Quando i ghiacciai li spingono verso l’alto ai piedi delle montagne, probabilmente cominciano ad assorbire di più la luce del sole, a scaldarsi, a sciogliere il ghiaccio intorno a loro e ad affondare di nuovo. Diversamente dagli altri, i meteoriti ricchi di metallo forse rimangono perennemente intrappolati qualche centimetro sotto la superficie. In altre parole: non è che non ci siano, sono solo nascosti.
I due hanno verificato la loro ipotesi proiettando i raggi di lampade che simulavano la luce solare su un meteorite siliceo e uno ferroso nel ghiaccio. E, come avevano previsto, il meteorite ferroso è affondato. “Siamo passati da una teoria folle al punto in cui avevamo effettivamente trovato una spiegazione all’assenza di meteoriti ferrosi”, dice Evatt. Bastava per chiedere una borsa di studio e mettere insieme un gruppo più ampio che costruisse un congegno – un rivelatore di metalli come quelli comunemente usati per localizzare le mine antipersona, adattato e trascinato da una motoslitta – con cui andare a caccia di meteoriti.
◆ L’Antartide è l’unico continente finora non toccato dalla pandemia. Per isolare strutture e personale dal virus, la National science foundation (Nsf, l’agenzia governativa statunitense per la ricerca scientifica) e la British antarctic survey hanno annunciato la quasi totale sospensione dell’imminente stagione di ricerca estiva. La Nuova Zelanda è stato il primo paese a decidere di fermare le attività ed è probabile che decine di altri paesi che lavorano nell’area faranno lo stesso. Si tratta di una dura battuta d’arresto per le ricerche in Antartide. Le tre basi statunitensi, dove in genere tra marzo e ottobre lavorano 1.200 ricercatori, saranno mantenute da una squadra ridotta all’osso. I ricercatori impiegano anni a prepararsi a una stagione di ricerca nel continente ghiacciato, dove raccolgono dati importanti per la scienza del clima, l’ecologia, la psicologia e l’esplorazione dello spazio. Il programma di monitoraggio quinquennale del ghiacciaio Thwaites, nella zona più difficilmente accessibile dell’Antartide, serve a osservare la velocità di scioglimento del ghiaccio e l’innalzamento del livello del mare. Quest’anno era prevista la seconda stagione di ricerca sul campo, ma gli enti che hanno investito denaro e personale nel progetto manderanno solo qualche ricercatore a proteggere i macchinari. The Scientist
Nel 2019, dopo averlo testato nell’Artico e aver fatto un primo viaggio di ricognizione, la ricerca è cominciata. “La caccia ai meteoriti è la cosa più divertente del mondo”, dice Joy. “Vai avanti e indietro su questa superficie accidentata, evitando le lastre di ghiaccio e guardandoti intorno. E quando vedi un meteorite, il cuore ti balza in petto”. Ma le cose non sono andate proprio come si aspettavano. Sbatacchiato sul ghiaccio sconnesso, il rivelatore di metalli si rompeva spesso, e ogni volta doveva essere riparato. E anche se hanno trovato molti meteoriti in superficie, circa 130, i ricercatori non ne hanno scoperto nessuno nel ghiaccio. Perfino quel bip promettente nell’auricolare di Joy era un falso allarme provocato da una vite metallica caduta dalla motoslitta.
Ma è arrivato uno strano colpo di scena: a quanto sembra, tra i meteoriti trovati in superficie molti sono ricchi di ferro. Molte rocce sono ancora su una nave che le sta riportando nel Regno Unito per un’analisi più accurata. “Pensiamo, ma ancora dobbiamo dimostrarlo, di aver trovato i meteoriti di ferro perduti dell’Antartide”, dice Evatt. “In quella particolare zona erano proprio sotto il nostro naso”.
I meteoriti ferrosi non sono le uniche rocce spaziali difficili da trovare. Ogni giorno la Terra è bombardata da micrometeoriti grandi come un puntino, ma si calcola che nel complesso arrivino a cento tonnellate. Secondo un fenomeno chiamato effetto Poynting-Robertson, queste particelle sono risucchiate verso il Sole e attraversano l’orbita terrestre. Quindi arrivano da una zona di spazio più ampia e consentono di capire meglio dei meteoriti comuni la chimica del sistema solare ai suoi inizi. “La differenza tra i meteoriti e i micrometeoriti è come quella tra una tessera di un puzzle e l’immagine intera”, dice Matthew Genge dell’Imperial college di Londra. Ma le loro dimensioni li rendono difficili da trovare. A questo punto entra in scena il più famoso chitarrista jazz norvegese, Jon Larsen. Mentre per raccogliere micrometeoriti i ricercatori di solito vanno in zone incontaminate come l’Antartide, Larsen era convinto di poterli trovare sui tetti di Oslo usando una calamita, e ha contattato Genge per chiedergli aiuto. Idee simili sono comuni tra i dilettanti, e non sono poi così assurde: i micrometeoriti cadono sui tetti delle case. Ma ci cade anche molta polvere dovuta all’inquinamento, per questo sembra sciocco andarli a cercare lì. “All’inizio volevo convincerlo che non era una buona idea e liberarmene”, dice Genge. Ma Larsen ha insistito, ha rovistato in tre secchi pieni di polvere metallica che aveva raccolto, e ha mandato a Genge le foto di piccole sfere promettenti. Alla fine i due hanno messo insieme cinquecento potenziali micrometeoriti. L’analisi chimica di 48 campioni ha rivelato che probabilmente tutti e cinquecento lo erano.
Oggi Larsen dirige il progetto stardust (polvere di stelle), una comunità di persone riunite in un gruppo Facebook che vanno a caccia di micrometeoriti. Ogni tanto qualcuno posta l’immagine di un nuovo tipo. “È un po’ come il birdwatching”, dice Genge. E più ne troviamo più è probabile che ci imbattiamo in un oggetto esotico: secondo Genge, circa uno su cinquemila micrometeoriti viene dallo spazio interstellare esterno al nostro sistema solare. ◆ bt
Il che significa che adesso i misteri sono due. Il primo è perché i ricercatori non hanno trovato nessun meteorite di ferro sotto la superficie. Può darsi che la loro ipotesi e il successo dei test di laboratorio li abbiano portati sulla strada sbagliata, o forse i problemi che hanno avuto con l’equipaggiamento non gli hanno permesso di cercare in un’area abbastanza vasta. Il secondo mistero è perché hanno trovato tanti meteoriti ricchi di ferro in superficie mentre molti prima di loro non c’erano riusciti.
Incontaminati
Nessuno era mai stato negli Outer recovery ice fields, come Evatt e Joy hanno chiamato il loro terreno di ricerca, e le loro scoperte potrebbero essere un’anomalia statistica. Può darsi che nella zona che hanno esplorato ci fosse una concentrazione di meteoriti di ferro più alta della media. Può darsi che questo non dica nulla sull’Antartide in generale. Oppure potrebbe indicare una leggera modificazione nella dinamica del ghiaccio, forse a causa del cambiamento climatico, anche se Joy pensa che sia improbabile, perché l’interno dell’Antartide solo ora sta cominciando a risentire del riscaldamento globale.
Per avere una risposta servirà un’analisi più approfondita del materiale che hanno raccolto i ricercatori. “Non abbiamo ancora cominciato a farci queste domande perché non sappiamo cosa abbiamo trovato”, spiega Joy. Ma qualunque sia la composizione dei meteoriti, gli scienziati della Terra si stanno sfregando le mani. “Dato che erano sul ghiaccio, sono sicuramente incontaminati, e io direi che probabilmente sono più preziosi di tutto quello che abbiamo a disposizione al momento”, dice Nichols. James Bryson dell’università di Oxford, concorda. “Mi interesserebbe molto vedere quei meteoriti una volta che saranno stati classificati”, dice. Ora la questione è: il ritrovamento è stato un caso fortuito o si possono trovare altri frammenti dello stesso tipo? Nel secondo caso, bisognerebbe tornare sul campo armati di tutte le informazioni fornite dai campioni per indirizzare la ricerca. Joy dice che attualmente sta cercando finanziamenti per un progetto più a lungo termine, e si augura che anche altre équipe vadano lì usando le loro stesse attrezzature.
Se succederà, sarà solo tra qualche mese. Perché quando sull’Antartide cala l’inverno, nessuno si avventura a esplorare i ghiacciai al suo interno. Ma i loro lenti movimenti continueranno a spingere verso le montagne nuove rocce provenienti dall’alba del nostro sistema solare. E quando tornerà l’estate, qualcuna potrebbe essere lì in attesa di essere trovata. ◆ bt
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Questo articolo è uscito sul numero 1364 di Internazionale, a pagina 60. Compra questo numero | Abbonati