Il bisnonno di Gerrid Gust veniva da Dubno, in quella che oggi è l’Ucraina occidentale. Dopo essere emigrato nella provincia canadese del Saskatchewan, comprò per dieci dollari un appezzamento di terreno di 64 ettari. Oggi l’azienda agricola gestita da Gust occupa un’area cento volte più grande. Ogni anno produce grano, lenticchie e colza. Durante la stagione della semina le “trivelle” larghe 23 metri sparano semi e fertilizzante nel terreno per sedici ore al giorno. Poi bisogna sperare nel cielo. Quasi tutte le coltivazioni del Saskatchewan, infatti, dipendono più dalla pioggia che dall’irrigazione. Il 2021 “è stato terribilmente secco”, racconta Gust. “Non possiamo permetterci un’altra annata cattiva”. Vale anche per il resto del mondo: i quindici milioni di tonnellate di grano e i venti milioni di tonnellate di altre colture ricavati ogni anno nella provincia saranno vitali per i mercati già colpiti dalla guerra in Ucraina, e lo stesso si può dire di quasi ogni altro prodotto del Saskatchewan.

Quando gli immigrati ucraini cominciarono ad arrivare in Canada, alla fine dell’ottocento, il governo gli assegnò un compito preciso: dovevano occupare le grandi praterie tra le foreste dell’Ontario e le montagne Rocciose. Il ministro dell’immigrazione voleva “contadini forti, agricoltori da dieci generazioni, con mogli robuste e molti figli”. Il piano si rivelò vincente. A tanti immigrati il paesaggio ricordava l’Ucraina occidentale. Le foreste di pioppi avevano bisogno di essere disboscate, ma il terreno era rigoglioso e costava pochissimo. All’epoca della prima guerra mondiale migliaia di ucraini si erano ormai trasferiti da queste parti, costruendo centri abitati intorno alle chiese con le cupole a cipolla e vivendo spesso accanto agli stessi vicini che avevano in patria.

Nel Saskatchewan, dove un decimo della popolazione ha origini ucraine, gli eventi in corso in Europa stanno cambiando nuovamente la vita degli abitanti. L’invasione russa non ha provocato un afflusso massiccio di migranti verso le zone rurali (i profughi che arrivano in Canada preferiscono la comodità e la vitalità delle grandi città nella parte orientale), ma ha fatto schizzare alle stelle il prezzo di quasi tutto ciò che la provincia produce in abbondanza, dal grano e dall’avena alle colture più recenti come la colza, i legumi e la mostarda. Una fortuna per l’economia locale, che dovrebbe registrare una crescita annuale del 6 per cento, più di qualsiasi altra zona del Canada.

Catena inceppata

Ancora più importante dei prodotti agricoli è quello che c’è sotto terra: petrolio, gas, uranio e soprattutto potassa (idrossido di potassio), un ingrediente fondamentale dei fertilizzanti. Il Saskatchewan produce un terzo del totale mondiale di potassa, e quasi tutto è destinato alle esportazioni. Al momento Russia e Bielorussia, gli altri due grandi produttori mondiali, non possono esportare la potassa a causa delle sanzioni e dei blocchi navali, quindi i grandi importatori come Brasile, India, Indonesia ed Europa, avranno difficoltà sempre maggiori a procurarsi i fertilizzanti di cui hanno bisogno per alimentare l’agricoltura e sfamare la popolazione. Il Saskatchewan è uno dei pochi posti al mondo dove è possibile incrementare rapidamente la produzione, dice Bronwyn Eyre, fino a poco tempo fa ministro dell’energia e delle risorse del governo provinciale. Gli ambasciatori e altri rappresentanti di paesi stranieri hanno chiamato le autorità locali per fare richieste urgenti. Per loro “è una questione di sicurezza nazionale”.

La provincia del Saskatchewan è considerata il cuore del Canada, una terra popolata da persone allegre e spensierate che hanno abbandonato l’agricoltura da non più di due generazioni o la praticano ancora. Le difficoltà della vita nei campi hanno contribuito a creare una cultura basata sulla solidarietà. Nel 1962 la provincia è stata la prima di tutto il Nordamerica a garantire un’assistenza sanitaria universale. Tuttavia, la recente prosperità ha cambiato le cose. Oggi gli abitanti del Saskatchewan vorrebbero un governo meno presente e tasse più basse.

L’industria della potassa è al centro di questa nuova tendenza. Il più alto grattacielo di Saskatoon, la principale città della provincia, è la sede della Nutrien, un’azienda del settore. Il palazzo della Mosaic, a Regina, è altrettanto impressionante. Queste imprese stanno cercando di approfittare di prezzi che uno dei dirigenti ha definito “scandalosi”, triplicati nel giro di un anno. Ma per aprire una nuova miniera serve tempo. I depositi di potassa si trovano un chilometro sotto la superficie, oltre uno spesso strato di acqua pressurizzata. Per scavare un pozzo bisogna congelare l’acqua dall’alto, una procedura che può richiedere anche più di due anni. La Bhp, la più grande azienda mineraria al mondo, sta cercando di completare la sua prima miniera di potassa nel Saskatchewan, con un anno di anticipo rispetto alla data fissata inizialmente, il 2027. Nel frattempo si cerca di aumentare la produzione nelle strutture esistenti. Nel 2022 la Nutrien vorrebbe estrarre un milione di tonnellate di potassa in più, che equivale al sette per cento della produzione. La Mosaic ha riattivato una miniera che era stata chiusa nel 2019. Ma i problemi legati ai trasporti complicano le operazioni. Secondo Eyre, il Canada ha bisogno di più gasdotti e oleo­dotti in modo da poter dedicare il trasporto su rotaia alla potassa e alle colture dirette verso i porti per le esportazioni. Justin Trudeau, primo ministro di centrosinistra, non è d’accordo.

Come in gran parte del Canada, nel Saskatchewan c’è carenza di manodopera. Nessun’altra provincia ha registrato una crescita demografica così lenta. Nell’ultimo secolo gli abitanti sono passati da mezzo milione a 1,2 milioni, mentre il resto della popolazione canadese è quadruplicato. Il governo provinciale sta cercando di attirare tutti i profughi ucraini che può, ma nonostante l’abbondanza di posti di lavoro, gli alloggi economici e la presenza di una diaspora consistente, gli ucraini preferiscono andare altrove. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1475 di Internazionale, a pagina 27. Compra questo numero | Abbonati