L a maggior parte degli esperti mette in dubbio l’utilità dei test effettuati prima di partire dalla Cina. Le varianti che dominano in Cina circolano già tra le popolazioni dei paesi che richiedono i test. Quindi, secondo gli studiosi, l’arrivo dei cinesi fa poca differenza.

Ma il monitoraggio è una questione diversa. È ragionevole. Si teme che la fine dei lockdown in Cina significhi che una nuova variante del virus possa evolversi e diffondersi da lì. Questo timore è alimentato anche dal fatto che la Repubblica popolare, pur pubblicando ancora i dati di sequenziamento genomico, non fornisce più il numero di casi, di ricoveri ospedalieri e di decessi. Ma anche altri paesi stanno facendo meno che in passato sul monitoraggio. Secondo Maria Van Kerkhove dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), le sequenze di sars-cov-2 inviate al Gisaid, un deposito internazionale di informazioni genetiche sui virus, dall’inizio del 2022 si sono ridotte del 90 per cento. Anche il numero di paesi che hanno inviato i loro dati è diminuito. Molti pensano che ormai la malattia sia meno grave, che non ci sia più nulla da fare e che (nonostante la situazione in Cina) la pandemia sia finita. Ma non è così. Il covid uccide ancora diecimila persone a settimana e molte di queste morti sono evitabili.

La teoria delle reti

Seguire l’evoluzione del sars-cov-2 è compito delle reti di laboratori che sequenziano il corredo genetico dei virus circolanti in tutto il mondo. Quando il virus si riproduce in un individuo infetto, il risultato non è sempre una replica esatta. Gli errori di ortografia del codice genetico si verificano regolarmente. La maggior parte dei cambiamenti sono superficiali: modificano l’aspetto del virus, ma non il suo funzionamento. Di tanto in tanto, però, ci sono alterazioni che incidono sulla capacità di infettare del virus o sul tipo di cellule che colpisce (per esempio, quelle delle vie respiratorie superiori o inferiori). Con molti di questi cambiamenti un virus può diventare più bravo a diffondersi, a far ammalare le persone o entrambe le cose.

Nessuno sa esattamente come emergono le varianti più efficienti. Un’ipotesi è che abbiano origine in persone con un sistema immunitario compromesso, come chi ha un cancro o l’aids, e chi assume farmaci per impedire il rigetto di organi trapiantati. Questi individui possono rimanere infetti per mesi, dando al virus molto tempo per replicarsi e accumulare mutazioni.

Dalle ricerche condotte su persone con un sistema immunitario compromesso è emerso che le varianti di sars-cov -2 presenti nel loro corpo avevano un numero insolitamente elevato di mutazioni. Ma uno studio su 27 di quei pazienti, pubblicato a giugno 2022 sulla rivista Nature Medicine, ha dimostrato che non si trattava di mutazioni importanti, legate a una migliore trasmissione, come quelle presenti nelle cosidette varianti di preoccupazione (voc). I pazienti non avevano neppure trasmesso il virus (anche se il motivo potrebbe essere dovuto al fatto che molti erano in autoisolamento). Lo studio fa pensare che le varianti incubate nell’organismo di queste persone erano più capaci di replicarsi, ma non di trasmettersi.

Un’altra ipotesi sull’origine delle voc è la trasmissione ciclica tra persone e altri animali. È stato documentato il salto di specie dagli esseri umani a gatti, cani, visoni e cervi. Da alcune ricerche è emerso che le mutazioni negli animali infettati da sars-cov-2 di derivazione umana compaiono in parti del genoma che nelle voc sono alterate, come quella che codifica la proteina spike, lo strumento che il virus usa per agganciarsi alle cellule.

Perché una voc si manifesti in questo modo, una variante trasmessa da un animale a un essere umano deve essere poi in grado di diffondersi tra le persone. Non è successo in una serie di infezioni da visone a essere umano che si sono verificate nel 2020 in un allevamento danese. Il virus dei visoni faceva paura perché era molto mutato. Ma le persone che lo hanno contratto non lo hanno passato ad altre. In ogni caso, queste trasmissioni rimangono preoccupanti.

In questa fase della pandemia, un’altra paura è lo sviluppo di virus ricombinanti, che si verifica quando una persona viene infettata contemporaneamente da due varianti. Questo permette ai due virus di scambiarsi materiale genetico e ha come conseguenza la trasmissione delle mutazioni di entrambi. Combinazioni simili sono particolarmente problematiche. La xbb.1.5, per esempio, si è evoluta dalla fusione di due varianti di omicron. Il lignaggio originale xbb era bravissimo a schivare gli anticorpi ma non ad agganciarsi alle cellule umane (e quindi a infettare). L’xbb.1.5 è capace di fare entrambe le cose.

Probabilità e statistiche

Se c’è un’opinione condivisa sui coronavirus, dice David Heymann della London school of hygiene and tropical medicine, è che emergono a caso e possono farlo ovunque a in qualsiasi momento. Non esistono prove che le varianti abbiano più possibilità di emergere in popolazioni meno immuni, come quella cinese. Più infezioni significano effettivamente una maggiore probabilità che si verifichi un evento casuale, motivo per cui l’improvvisa apertura della Cina, e l’aumento di casi che l’ha accompagnata, è preoccupante. Ma indipendentemente dal contributo cinese, le ondate periodiche di covid non scompariranno, perché nessuno dei vaccini finora disponibili impedisce le infezioni se non per un breve periodo dopo la somministrazione. Per gestire le varianti del sars-cov-2, quindi, non basta concentrarsi sulla trasmissione ma bisogna monitorare costantemente la situazione e adeguare i test, i trattamenti e i vaccini a seconda delle necessità.

Ed è questo monitoraggio che sta diventando sempre più difficile. Il sistema di sorveglianza dell’Oms si basa sui dati delle sequenze genomiche inviati dai laboratori di tutto il mondo a organizzazioni come la Gisaid, per capire quali varianti stanno diventando dominanti in certe parti del pianeta, se queste varianti sono più virulente e quanto successo hanno farmaci e vaccini per fermarle.

Senza sequenze non è possibile avere queste informazioni. L’Oms tiene traccia anche delle infezioni causate dalle nuove varianti che richiedono il ricovero in ospedale e, una volta lì, il trasferimento dai reparti normali a quelli di terapia intensiva. Così può valutare la gravità. Ma, secondo la dottoressa Van Kerkhove, i mezzi per raccogliere questi dati stanno sparendo.

C’è anche un problema più profondo. Smantellando la capacità di testare, sequenziare e sorvegliare accumulata negli ultimi tre anni, si rischia di lasciare il mondo impreparato davanti alla prossima pandemia. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 42. Compra questo numero | Abbonati