Il petrolio non è mai stato così redditizio. Le multinazionali del settore hanno annunciato guadagni senza precedenti: nel 2022 hanno realizzato più di 200 miliardi di euro di profitti sfruttando la crisi energetica, una cifra indecente se si considerano le difficoltà che famiglie e aziende devono affrontare a causa dell’inflazione. La legittimità di questi guadagni è ancora più discutibile perché non dipendono da particolari meriti, ma dall’aumento del prezzo dell’oro nero.

Il 10 febbraio la Russia ha annunciato che ridurrà la produzione di greggio del 5 per cento in risposta alle sanzioni occidentali. Questa decisione, insieme alla ripresa dell’economia cinese dopo l’abbandono delle strategia “zero covid” e al miglioramento delle previsioni sulla crescita mondiale, contribuirà a mantenere alto il prezzo del petrolio e ad alimentare i guadagni astronomici delle aziende energetiche.

Gli appelli a tassare gli extraprofitti sono stati ascoltati, anche se i contributi eccezionali decisi a livello europeo sono insufficienti. Ma il vero problema è la politica di remunerazione degli azionisti e in particolare il meccanismo del riacquisto delle azioni, con cui le aziende ricomprano i propri titoli sul mercato per poi annullarli. Ridurre il numero di azioni in circolazione permette di aumentare l’utile per ognuna di esse, e questo altera il corso della borsa. La statunitense Chevron ha annunciato un piano di riacquisto da 75 miliardi di dollari, mentre quello della ExxonMobil ammonta a 35 miliardi. La Total ha versato agli azionisti circa il 40 per cento dei suoi utili.

Le aziende si giustificano dicendo che mancano opportunità d’investimento che abbiano un rendimento superiore al costo del capitale. Non avendo niente di meglio da fare con i loro profitti, insomma, le multinazionali preferiscono versare i guadagni extra agli azionisti. Questo calcolo a breve termine è difficilmente giustificabile in un momento in cui tutte le risorse disponibili dovrebbero essere destinate alla transizione ecologica. È indispensabile convincere le aziende a partecipare a questo sforzo.

Gli investimenti delle compagnie petrolifere nella decarbonizzazione sono ancora assolutamente insufficienti. Prendere di mira i loro profitti non aiuterà la lotta al cambiamento climatico. Piuttosto bisogna spingerle a spendere questa fortuna nella transizione ecologica e far capire ai dirigenti e agli azionisti che alimentare le rendite petrolifere porta a un vicolo cieco. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati