Tutti conosciamo le fantasie imperiali dietro “l’operazione militare speciale” in Ucraina voluta dal presidente russo Vladimir Putin: l’Ucraina non è un paese; la sua indipendenza, guadagnata con il crollo dell’impero sovietico, è stata un errore; è tempo di riportarla all’interno del mondo russo. Ma non è solo con questi argomenti che Putin sta combattendo la sua guerra imperialista. Sotto diversi profili l’esercito russo è un esercito imperiale. I componenti delle minoranze etniche asservite durante l’espansione dell’impero russo, diversi secoli fa, sembrano essere infatti presenti in maniera sproporzionata tra i soldati che vengono inviati (e che muoiono) in Ucraina, mentre i cittadini di etnia russa, soprattutto quelli delle regioni benestanti di Mosca e San Pietroburgo, riescono spesso a evitare la chiamata al fronte e addirittura la leva.

È l’imbarazzante segreto dell’esercito russo: gli abitanti delle periferie – buriati, daghestani, tuvani – sono la carne da cannone di Putin.

Prendiamo il caso dei buriati, una delle comunità indigene più numerose della Siberia. Imparentati da vicino con i mongoli, sono stati sottomessi, annessi e successivamente colonizzati dalla Russia all’inizio del diciassettesimo secolo. Analizzando dati open-source come i necrologi e gli interventi sui social network, le testate giornalistiche indipendenti russe Mediazona e iStories hanno scoperto che a metà maggio i soldati della Buriazia figuravano al secondo posto tra i caduti in Ucraina dall’inizio dell’invasione, dietro soltanto a quelli provenienti dal Daghestan, un’altra terra conquistata dall’impero russo nell’ottocento. I soldati buriati morti in guerra al 18 maggio erano 117 (da allora la cifra è sicuramente aumentata parecchio), mentre le vittime provenienti da Mosca, città con una popolazione circa quindici volte superiore a quella dell’intera Buriazia, erano appena tre. Il tasso di mortalità in battaglia dei buriati è il più elevato della Russia. Scorrendo la lista dei caduti russi in Ucraina risulta evidente la preponderanza di cognomi musulmani – di soldati provenienti soprattutto dal Daghestan e dalle altre repubbliche del Caucaso del nord. Anche i soldati di etnie centrasiatiche muoiono in proporzione maggiore rispetto ai russi slavi. Secondo un rapporto di Radio Free Europe/Radio Liberty almeno dieci soldati russi di etnia tagica sono già stati uccisi in Ucraina.

Il presidente Putin ha usato come un’arma la cultura russa del vittimismo e della supremazia slava

In parte il fenomeno è legato alla povertà. La Buriazia e le altre repubbliche asiatiche che per numero di caduti superano di gran lunga le regioni della Russia europea sono tra le zone più povere della Federazione Russa. Per molti giovani di Tuva e del Daghestan entrare nell’esercito è una delle poche possibilità di garantirsi un reddito e una carriera. Di conseguenza l’esercito russo è composto in gran parte da ragazzi poveri e di etnia non russa. Tuttavia, a differenza di quanto succede nell’esercito statunitense (che pure ha la tendenza a reclutare volontari tra le minoranze), in Russia solo pochi componenti dei gruppi etnici minoritari si fanno illusioni sull’uguaglianza, all’interno dell’esercito o nella società. In Russia la maggioranza bianca e slava rappresenta circa l’80 per cento della popolazione, e il razzismo, e una cultura basata sulla supremazia russa, sono problemi largamente ignorati. La clausola “solo per slavi” che compare negli annunci immobiliari su Tsian, il principale sito immobiliare russo, è stata vietata solo nel 2021, ma il divieto è facile da aggirare. La pubblicazione sui mezzi pubblici di Mosca di messaggi pubblici in uzbeko e tagico (nella capitale vivono centinaia di migliaia di immigrati dell’Asia centrale) ha suscitato una reazione xenofoba così violenta da spingere il comune di San Pietroburgo ad abbandonare un progetto simile. Anche le minoranze non-slave europee, come gli ud­murti o i komi, sentono che la loro cultura e la loro lingua sono represse o emarginate.

Oggi, mentre il numero di caduti in Ucraina raggiunge le decine di migliaia, queste disuguaglianze sono più che mai evidenti. E gli abitanti della periferia del paese sono sempre meno propensi a inviare i loro figli, fratelli e mariti a morire in una guerra combattuta in nome dell’unità slava. Non è una coincidenza se oggi una delle più importanti mobilitazioni contro la guerra è quella dell’associazione Buriati contro la guerra. In Buriazia e in altre regioni periferiche gli attivisti locali aggirano la severa censura del Cremlino diffondendo manifesti pacifisti nelle lingue native come il buriato, il calmucco e il ciuvascio. Questi slogan sfuggono facilmente ai radar della censura federale.

Resistenza periferica

Infastidita dall’assurda pretesa di Putin di “denazificare” l’Ucraina e dall’orientamento fascistoide dei mezzi d’informazione di stato, Aleksandra Garmažapova, ex giornalista e cofondatrice di Buriati contro la guerra, ha cominciato a raccogliere le storie personali dei cittadini russi non slavi. La risposta è stata sorprendente: migliaia di kazachi, jakuti, daghestani e di persone appartenenti ad altre etnie hanno condiviso racconti di abusi xenofobi e razzisti subiti da colleghi, compagni di scuola, vicini ed estranei. Un’altra attivista, la regista jakuta Beata Baškirov, ha raccolto testimonianze dello stesso tipo, giungendo alla conclusione che oggi è la Russia ad aver bisogno di essere denazificata. Baškirov racconta che i suoi amici di etnia russa si sono semplicemente rifiutati di credere alle sue denunce sul livello di razzismo e xenofobia presente nel paese. Accecati dal loro privilegio, i russi (compresa l’intellighenzia liberale, l’opposizione e la diaspora colta) non sono consapevoli dei secoli di sofferenze provocate dall’imperialismo e dal colonialismo di Mosca.

In un passaggio particolarmente significativo del documentario The Occupant, realizzato mettendo insieme i filmati ritrovati sul cellulare di un soldato catturato, un luogotenente di etnia russa di 23 anni riprende una conversazione con un estraneo avvenuta nei pressi di Šali, in Cecenia, dove sono dislocate diverse unità dell’esercito di Mosca. “Lasciateci in pace”, dice il ceceno esasperato, raccontando al giovane soldato che il suo sogno è vivere in una Cecenia indipendente. Quello che sorprende è il genuino stupore del soldato, nato un anno prima che Putin lanciasse la brutale seconda guerra di Cecenia, schiacciando la resistenza della regione. “È la prima volta che ne sento parlare”, risponde il soldato dimostrando così di non conoscere la storia recente del paese.

Da sapere
La situazione sul terreno
fonte: financial times, liveuamap

Che vinca o perda la guerra, è chiaro che in futuro la Russia sarà isolata a livello internazionale e manterrà relazioni solo con dittatori e con qualche ex premier europeo. Putin ha usato come un’arma la cultura russa del vittimismo e della supremazia slava, quindi il riscatto della nazione dovrà necessariamente passare da un grande sforzo per rileggere la storia del paese e progettarne il futuro.

Da sapere
La Russia delle minoranze

Un buon punto di partenza potrebbe essere la domanda “cos’è esattamente un russo?”. Oggi gli attivisti delle comunità indigene della Federazione Russa stanno riscoprendo la propria lingua e il proprio patrimonio culturale, repressi per secoli dalle politiche colonialiste (o semplicemente considerati negli ultimi decenni dannosi per la carriera), e sono motivati anche dalla rabbia derivante dalla consapevolezza che la loro appartenenza etnica può determinare la loro morte.

Da sapere
Nessun accordo sul grano

◆ La città di Severodonetsk, nel nord del Donbass, continua a essere al centro di combattimenti molto violenti: l’esercito ucraino è riuscito a riconquistare alcune delle posizioni perse e sta cercando di mantenerne il controllo nonostante i continui bombardamenti russi. Un’altra controffensiva ucraina ha costretto i russi ad arretrare nelle vicinanze di Cherson, mentre Mosca ha annunciato la conquista di Sviatohirsk. Secondo la maggior parte degli analisti, però, al momento nessuno dei due schieramenti sembra avere le risorse necessarie per condurre operazioni su vasta scala.

◆ Il 6 giugno il governo britannico ha annunciato che fornirà all’Ucraina un numero imprecisato di lanciarazzi multipli a lungo raggio M270. Secondo El País il governo spagnolo invierà missili antiaerei e carri armati.

◆ Le forze di occupazione nella regione di Zaporižžja hanno annunciato di voler indire un referendum sull’adesione alla Federazione russa.

◆ L’8 giugno il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha incontrato il suo collega turco Mevlüt Çavuşoğlu per discutere di come mettere fine al blocco delle esportazioni di grano dai porti ucraini del Mar Nero, che rischia di provocare una crisi alimentare globale. Il vertice però non ha sbloccato l’impasse: Çavuşoğlu ha dichiarato che la marina turca è pronta a garantire la sicurezza di un corridoio marittimo, ma l’Ucraina rifiuta di rimuovere le mine antinave dalle sue acque, temendo che la Russia ne approfitti per attaccare Odessa, e chiede garanzie contro questa eventualità. Lavrov ha invece dovuto rinunciare a incontrare il presidente serbo Aleksandr Vučić a Belgrado, perché Bulgaria, Macedonia del Nord e Montenegro non gli hanno concesso l’autorizzazione a usare il loro spazio aereo.

◆ Al referendum del 1 giugno in Danimarca l’abolizione della deroga dagli impegni europei in materia di difesa è stata approvata con il 66,8 per cento dei voti. La deroga era stata negoziata da Copenaghen dopo che nel 1992 i danesi avevano bocciato con un referendum il trattato di Maastricht. D’ora in poi la Danimarca potrà partecipare alla politica di sicurezza e difesa comune e alle missioni militari dell’Unione europea. La consultazione era prevista dall’accordo sulla difesa raggiunto dai partiti danesi subito dopo l’invasione dell’Ucraina. Reuters


Per me – un uomo di etnia russa, liberale, emigrato per motivi politici – la guerra di Putin e il comportamento sadico dei soldati russi in Ucraina sono stati la spinta a mettere in dubbio ogni preconcetto. Anche io sono stato parte del problema. Avrei dovuto riconoscere l’ingiustificabile razzismo nascosto negli stereotipi sugli ucraini, i georgiani e i ciukci dell’estremo oriente russo, considerati in qualche modo persone inferiori. Il mio silenzio è parente della visione di Putin di un mondo in cui solo i russi etnici meritano la piena cittadinanza e la cultura russa deve prevalere, se necessario con la forza. Il dibattito è appena cominciato. Chissà se l’impero di Putin sarà ancora in piedi quando finirà. ◆as

Aleksej Kovalev è un giornalista russo. Cura le inchieste del sito indipendente Meduza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1464 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati