Al British museum di Londra, dietro una porta chiusa a chiave, c’è un’incantevole biblioteca con alti soffitti a volta. In questa stanza nascosta, Irving Finkel apre un cassetto ed estrae una tavoletta d’argilla. È crepata e bruciacchiata, e porta impressi i caratteri della più antica lingua scritta del mondo. È un elenco di presagi. Da un altro cassetto spunta una seconda tavoletta. “Questa è una preghiera al dio Marduk”, dice Finkel, assistente curatore del dipartimento di scritture, lingue e culture mesopotamiche antiche del museo, e una delle poche persone al mondo in grado di leggere correntemente questa scrittura ormai estinta, chiamata cuneiforme.

Alle nostre spalle, un fotografo scatta con molta cura immagini della tavoletta, posizionando le luci in modo da mettere in risalto le incisioni. Questo lavoro fa parte di uno sforzo rivoluzionario, che vuole sfruttare la potenza di calcolo dei computer per riportare in vita documenti di cinquemila anni fa e scoprire nuovi segreti sulla prima civiltà del mondo.

La scrittura cuneiforme è stata decodificata 165 anni fa, ma la maggior parte dei testi non è mai stata tradotta nelle lingue moderne. Questo compito incredibilmente complesso è affidato a esperti come Finkel. Oggi, grazie agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, i computer possono essere addestrati a leggere e tradurre la scrittura cuneiforme, a ricomporre frammenti di tavolette per ricreare antiche biblioteche e perfino a ipotizzare le parti di testo mancanti. Quindi sono in grado di aiutarci a leggere integralmente le più antiche opere letterarie, fornendoci informazioni su storie che sono poi apparse nella Bibbia e facendo luce sugli albori della nostra civiltà.

Dalla contabilità alle lettere

La storia dei caratteri cuneiformi comincia in Mesopotamia (la regione fertile compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate che corrisponde all’Iraq odierno) circa seimila anni fa, in un’epoca in cui le popolazioni di quell’area passarono dai piccoli insediamenti agricoli ai grandi centri urbani. In Mesopotamia i sumeri costruirono le prime città-stato.

Uruk era una delle più importanti: dotata di un complesso di templi e di una rete di canali, nel tremila aC ospitava fino a cinquantamila abitanti e serviva da centro amministrativo per tutto il territorio, con una burocrazia in grado di gestire la complessa divisione del lavoro che nel frattempo si era sviluppata.

Anche se quelle persone parlavano il sumero, una lingua completamente diversa da quelle che noi conosciamo e ormai estinta da tanto tempo, abbiamo a disposizione delle straordinarie testimonianze del modo in cui vivevano perché furono loro a inventare la scrittura, almeno per quanto ne sappiamo oggi. Affondavano la punta di una canna nell’argilla morbida per creare segni simili a cunei.

Oggi associamo la scrittura prevalentemente alla poesia e alla letteratura, ma questa prima forma era usata soprattutto per le questioni amministrative, come tenere traccia di un trasferimento di schiavi o di una consegna di animali. Un reperto che ho visto al British museum è un registro di razioni di birra: il disegno di una giara indica la birra, la testa di una persona e dei cerchi le quantità. Questi pittogrammi ebbero una rapida evoluzione, diventando sempre più astratti. Ma passò molto tempo prima che la scrittura cuneiforme si trasformasse da strumento di contabilità in un mezzo di espressione linguistica. Le prime iscrizioni reali apparvero intorno al 2700 aC e i primi testi letterari un centinaio d’anni dopo. Tra gli autori conosciuti c’era Enheduanna, una principessa, sacerdote e poeta vissuta circa 4.300 anni fa. Scrisse molti inni e il mito di Inanna ed Ebih, che racconta il conflitto tra una dea e una montagna.

Tavolette della biblioteca reale del sovrano assiro Assurbanipal (vissuto tra il 685 e il 626 aC) esposte al British museum di Londra. (Dinendra Haria, Eyevine/Contrasto)

Il testo più famoso è l’Epopea di Gilgameš, su un re alla ricerca della vita eterna. L’opera comprende un capitolo che sembra anticipare l’episodio biblico del diluvio. Ancora oggi sentiamo l’influsso della cultura sumera, non solo nelle storie della Bibbia, ma anche nei nostri orologi. Il sistema di conteggio sessagesimale (su base sessanta) usato dai sumeri è il motivo per cui abbiamo sessanta secondi in un minuto e trecentosessanta gradi in un cerchio.

Quella cuneiforme non è una lingua, ma un sistema di scrittura, proprio come le lettere usate per scrivere in inglese possono essere utilizzate anche per il francese o il tedesco. La lingua sumera morì, ma il cuneiforme riuscì a sopravvivere e diventò la forma scritta di altre lingue, tra cui l’accadico, l’ittita e il persiano antico. Fu impiegato per tremila anni, registrando la nascita e il declino di antichi regni. Lo sappiamo perché le tavolette incise erano d’argilla: un materiale economico, facilmente reperibile e resistente. “È una fortuna. Ogni tavoletta scritta si è preservata, a meno che non sia stata gettata in un fiume o sia stata completamente distrutta”, spiega Finkel.

Oggi abbiamo migliaia di tavolette, che sono una parte fondamentale del patrimonio culturale mondiale. Sono cronache dei primi grandi imperi, ma anche inni, lettere, liste della spesa e perfino reclami di clienti. “Si dice che l’unica traccia della prima metà della storia umana sia su queste tavolette”, afferma Enrique Jimé­nez dell’università Ludwig Maximilians di Monaco, in Germania.

Decifrare il passato

Con il passare del tempo queste incisioni hanno rivelato sempre nuovi segreti. Nel 2017 una tavoletta di 3.700 anni fa, la Plimpton 322, è stata riconosciuta come la più antica tavola trigonometrica del mondo, dimostrando che furono i babilonesi – una popolazione di lingua accadica che viveva nella Mesopotamia centrale e meridionale –, e non i greci, i primi a studiare la trigonometria. Nel 2021 una nuova analisi di una tavoletta rinvenuta in Iraq nel 1894 ha mostrato che i babilonesi facevano calcoli usando i triangoli secoli prima di Pitagora. Tuttavia, dato che solo 75 persone al mondo sono in grado di leggere correntemente il cuneiforme, la maggior parte di questi reperti resta a prendere polvere nei musei.

Uno dei problemi è che questa scrittura è incredibilmente complessa. “È molto ambigua. Spesso ci sono più modi di scrivere una parola”, dice Jiménez. Inoltre la maggior parte delle tavolette è incompleta. Molte sono rotte, scheggiate o ridotte in frantumi. Spesso i bordi si sono sgretolati, lasciando le storie senza inizio o fine, o con buchi nel racconto.

Un esempio è la più antica biblioteca reale superstite al mondo: quella del sovrano assiro Assurbanipal. Nella città di Ninive, l’odierna Mosul, nel nord dell’Iraq, Assurbanipal raccolse una grande quantità di opere scritte da tutta la Mesopotamia. Erano trentamila tavolette, che contenevano dai rituali alle enciclopedie mediche, dalle osservazioni astronomiche alle gesta dei re. Lo scrittore britannico H. G. Wells la definì “la più preziosa fonte di materiale storico del mondo”. Ma la biblioteca fu distrutta e bruciata ai tempi del saccheggio della città, nel 612 aC. Quando sono andata al British museum, dove sono conservati i suoi resti, ho visto alcune tavolette che portavano ancora evidenti segni di bruciature.

Una tavoletta con caratteri cuneiformi che registrano la distribuzione di orzo. Il reperto proviene dal sito di Jemdet Nasr, nell’attuale Iraq, e risale al periodo compreso tra il 3100 e il 2900 aC. (Sepia Times/Universal Images Group/Getty Images)

“Mettere insieme i frammenti è come assemblare una serie di difficili puzzle, con i pezzi tutti mischiati e senza immagini sulle scatole che descrivano il risultato finale”, osserva Jiménez. Inoltre i frammenti di una stessa tavoletta possono essere sparsi in varie parti del mondo. “C’è una tavoletta con un pezzo a Chicago, che si congiunge con un tassello conservato a Berlino e con un altro che abbiamo qui”, dice Finkel. Ricomporre il puzzle è un lavoro meticoloso che finora si è basato sulla fortuna e sulla buona memoria. Ci sono voluti più di cent’anni per rintracciare l’inizio dell’Epopea di Gilgameš in un piccolo frammento conservato in un cassetto del museo. Ma ora, grazie ai computer, le cose stanno cambiando.

Il Fragmentarium, una parte del progetto Electronic babylonian literature creato da Jiménez nel 2018, usa l’intelligenza artificiale per riassemblare la biblioteca di Assurbanipal e altre vaste collezioni d’iscrizioni in cuneiforme, individuando i frammenti che vanno insieme. Jiménez usa algoritmi sviluppati per confrontare le varianti di sequenze genetiche, basandosi sul fatto che spesso esistono più copie dello stesso testo con piccole variazioni. L’intelligenza artificiale può essere addestrata sulle traslitterazioni di questi testi, in cui i caratteri cuneiformi sono scritti nell’alfabeto latino in base al loro suono (così come i caratteri cinesi possono essere scritti in pinyin, la loro pronuncia in mandarino). Allo stesso modo è capace di stabilire quali segni cuneiformi possono inserirsi nei segmenti mancanti. Può anche cercare un particolare segno all’interno di un’enorme collezione di frammenti.

Nel 2019 questo sistema ha aiutato a individuare alcuni pezzi mancanti dell’Epopea di Gilgameš, oltre a farci scoprire un antico genere letterario: un testo composto da parodie (tra cui barzellette sullo sterco d’asino) usato dai bambini delle scuole per aiutarli a imparare a scrivere. Insieme ad Anmar Fadhil dell’università di Baghdad, in Iraq, Jiménez sta mettendo insieme i pezzi di un altro genere finora sconosciuto: l’inno a una città, in questo caso Babilonia, con dettagli sulla vita del tempio e sulla prostituzione per scopi rituali.

Nel 2021 un computer ha individuato per la prima volta in totale autonomia un frammento in cuneiforme del poema del “giusto sofferente”, che s’interroga sul perché anche alle persone buone succedono cose brutte e sembra essere un precursore del Libro di Giobbe. “Un essere umano non se ne sarebbe accorto”, dice Jiménez.

Altri ricercatori si sono concentrati sulle tavolette amministrative, in apparenza banali. “Esiste una varietà di ricevute: tracce scritte di transazioni avvenute tra diverse istituzioni, come i templi o il palazzo del sovrano locale, o tra individui, come i mercanti”, spiega Émilie Pagé-Perron, dell’università di Oxford, nel Regno Unito. Nel loro complesso custodiscono un’enorme quantità d’informazioni sulle attività che erano al centro delle antiche civiltà mesopotamiche. I testi sumeri, per esempio, contengono spesso nomi di persone e date, grazie ai quali si potrebbe risalire al ruolo di una persona nella società.

Per esempio, ottanta tavolette note come l’archivio Mama-ummi, risalenti al 2300 aC, raccontano che una donna di nome Mama-ummi era a capo di una squadra di 180 tessitori e che all’epoca le opportunità di lavoro per le donne erano sorprendentemente varie.

Per districarsi in questo mare d’informazioni amministrative, nel 2017 Heather Baker, dell’università di Toronto, con il coordinamento di Pagé-Perron, ha istituito il progetto Machine translation and automated analysis of cuneiform languages (Traduzione e analisi automatizzata dei linguaggi cuneiformi). Negli esperimenti più recenti alcuni algoritmi addestrati su 45.500 frasi traslitterate, ognuna composta da diciannove parole al massimo, sono stati messi alla prova per verificare la capacità di tradurre parole sumere in inglese. I risultati, pubblicati nel 2021, mostrano che un particolare algoritmo è riuscito a tradurre con un’accuratezza del 95 per cento. Il sistema estrapola anche informazioni chiave dai testi, identificando categorie come persone, luoghi e divinità.

L’anno scorso Gabriel Stanovsky, un informatico dell’Università ebraica di Gerusalemme, e i suoi colleghi hanno trovato un modo per ricostruire il testo dei frammenti mancanti, attraverso un sistema simile a quello della compilazione automatica dei testi sui telefoni. Hanno usato un’intelligenza artificiale del tipo deep learning (apprendimento profondo), alimentandola con le traslitterazioni di diecimila tavolette cuneiformi scritte in accadico, e hanno scoperto che era in grado di suggerire parole mancanti contestualmente corrette con una precisione dell’89 per cento.

Un’altra potenziale applicazione dell’intelligenza artificiale è la datazione di tavolette di cui non conosciamo l’origine. “Se sappiamo le date di alcuni documenti, possiamo addestrare l’algoritmo a indovinare le date mancanti per altri”, afferma Stanovsky.

Decifrare il cuneiforme dalla traslitterazione è un conto, leggere i caratteri un altro. Non solo la scrittura si è evoluta nel tempo, ma le grafie variano notevolmente e questo sistema è stato usato per lingue diverse, in epoche diverse. “Dobbiamo ricordare anche che abbiamo a che fare con la scrittura a mano di singoli individui”, spiega Miller Prosser, dell’università di Chicago.

Inoltre non ci sono spazi vuoti tra i segni, quindi è difficile capire quale gruppo di cunei formi un carattere. E mentre l’alfabeto latino contiene 26 lettere, ci sono più di novecento segni cuneiformi, anche molto simili tra loro.

Eppure i computer cominciano a fare progressi nella lettura dei caratteri cuneiformi, grazie agli stessi sistemi di elaborazione di dati visuali usati per il riconoscimento dei testi. Prosser e colleghi, per esempio, hanno addestrato un sistema di apprendimento automatico chiamato Deep­scribe per individuare i segni su migliaia di tavolette dell’archivio della fortificazione di Persepoli, un insieme di testi amministrativi scritti in lingua elamica del 500 aC circa, rinvenuti in un ambiente interno alle mura di fortificazione. “La capacità del computer d’identificare i confini di un segno e di disegnargli un riquadro intorno è di per sé un risultato enorme. Di solito nessuno sa dove finisce un segno e comincia l’altro”, afferma Susanne Paulus, anche lei dell’università di Chicago, che fa parte del team che ha svolto il lavoro. La speranza è riuscire a collegare i sistemi di riconoscimento dei segni cuneiformi con i moderni sistemi di traduzione. Questo significherebbe che un giorno potremmo scattare una foto con il telefono a una tavoletta in un museo per ottenere in tempo reale una lettura di quello che c’è scritto sopra.

Alta definizione

Nessuno di questi sforzi sarebbe possibile senza le grandi raccolte di testi digitalizzati, che forniscono il maggior numero possibile di dati per istruire gli algoritmi in modo che possano imparare, per esempio, quali parole sono probabilmente scritte una accanto all’altra. Tuttavia, del mezzo milione di testi cuneiformi presenti nei musei del mondo, solo la metà è stata traslitterata o tradotta, e solo centomila sono disponibili in formato digitale. Progetti come la Cuneiform digital library initiative (Iniziativa per una biblioteca cuneiforme digitale) e l’Electronic babylonian literature stanno facendo passi da gigante per potenziare questi archivi digitali. “Con gli strumenti per digitalizzare grandi quantità di testi gli studiosi possono ottenere molte nuove informazioni e connessioni”, dice Shai Gordin dell’università di Ariel, in Israele. “Penso che la prossima importante svolta sarà inserire queste informazioni in una grande rete. In questo modo potremo costruire un catalogo della vita dei popoli antichi”.

Questo processo parte da un meticoloso lavoro d’acquisizione delle immagini in alta definizione di tutte le tavolette conservate nei musei e nelle collezioni private del mondo. Ed è proprio quello che stanno facendo al British museum, dove le immagini dei quarantamila frammenti che compongono la biblioteca di Assurbanipal sono raccolte per il progetto Electronic babylonian literature.

Su un tavolo adibito a studio fotografico, Alberto Giannese scatta sei immagini di ogni tavoletta cuneiforme: fronte, retro, bordo superiore, bordo inferiore e lati. Il testo non sempre si ferma sui bordi, dice Giannese, e anche distinguere il fronte dal retro e l’alto dal basso può essere difficile.

Le sei immagini vengono poi assemblate automaticamente da un software, decifrate e tradotte da esperti come Jiménez. Entro il 2023 l’intero repertorio di immagini sarà disponibile al pubblico. Non tutti possono visitare le stanze segrete dei musei, ma presto tutti avranno l’opportunità di consultare la biblioteca di Assurbanipal e molti altri testi in cuneiforme comodamente da casa.

Alla fine della mia visita alla biblioteca del British museum, mi ritrovo tra la folla che si accalca per visitare le collezioni. Quello che ho appena vissuto mi ha elettrizzato: viaggiare a ritroso nel tempo per testimoniare i pensieri scritti da persone vissute migliaia di anni fa, e poi tornare al futuro per vedere gli antichi frammenti in procinto di essere riassemblati e codificati, questa volta nel regno del digitale. Penso che Assurbanipal ne sarebbe orgoglioso. ◆ svb

Da sapere
Segni in tre lingue

◆ La scrittura cuneiforme probabilmente non sarebbe mai stata decifrata senza l’iscrizione di Bisotun. Il monumento in tre lingue scolpito sulla parete di una montagna in Iran è stato per il cuneiforme l’equivalente della stele di Rosetta (la città egiziana di Rashid), che fu la chiave per leggere i geroglifici egizi. L’iscrizione di Biso­tun fu realizzata verso il 520 aC per ricordare le rivolte sedate dal re persiano Dario e riporta il racconto dei fatti in tre lingue che usavano il cuneiforme. Nessuna era stata ancora decifrata quando, nel 1764, i primi esploratori occidentali s’inerpicarono su delle scale traballanti per ricopiarle. La prima iscrizione a essere tradotta fu quella in persiano antico. Dal modo in cui erano scritti nomi come Dario, si scoprì una seconda lingua, l’accadico, che era parlato nell’antica Mesopotamia e si era estinto. “L’accadico rivelò pian piano i suoi segreti”, spiega Irving Finkel, del British museum di Londra. “Senza l’iscrizione trilingue, penso che nessuno ci sarebbe riuscito”. A quel punto fu relativamente semplice interpretare la lingua originaria del cuneiforme – il sumero – usando i testi bilingui dove gli scribi annotavano informazioni in accadico e aggiungevano la traduzione in sumero. New Scientist


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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati