Da un lato c’è il parco delle Groane, un’area protetta nell’estrema periferia nord di Milano, puntellata da querce e carpini, pini silvestri e betulle. Dall’altro c’è il parco Nord, polmone verde composto da aree agricole, boschetti e corsi d’acqua in cui vivono aironi volpi e rapaci notturni. In mezzo c’è un’area verde di circa dodici ettari, rimasta intatta, a ridosso dell’A52, la tangenziale nord. I residenti tengono a quest’area perché, come spiega il presidente di Legambiente Bollate, Marco Moschetti, “è un punto di raccordo tra il parco Nord, il parco della Balossa di Novate e quello delle Groane”.
In un territorio in cui si è costruito molto come a Bollate, la speranza era di vedervi nascere aree boscate per riqualificare il territorio e mitigare l’inquinamento prodotto dall’A52. Al posto della riforestazione, però, il comune di Bollate ha autorizzato la costruzione di un data center, un centro di elaborazione dati fondamentale per garantire il funzionamento dei servizi digitali.
Negli ultimi mesi a Milano e dintorni c’è stata una crescita vertiginosa del numero di data center in fase di costruzione o progettazione.
Centri nevralgici
I data center sono i centri nevralgici della società digitale. In principio era stata la pandemia ad accelerare il passaggio all’online dei consumi e del lavoro. L’intelligenza artificiale, poi, in meno di tre anni ha avuto una diffusione più rapida rispetto a quella che al loro esordio hanno avuto internet, al computer o allo smartphone, arrivando a più di 1,2 miliardi di utilizzatori nel mondo.
Non è ancora chiaro se una diffusione così veloce creerà reali benefici sociali o economici. Secondo l’indagine dell’azienda di consulenza Deloitte solo il 6 per cento delle aziende che hanno investito nell’intelligenza artificiale (ia) ha dichiarato di averne tratto un qualche rendimento. Ma se i benefici economici e sociali dell’ia rimangono ancora oscuri, la cosa certa è che per sostenere la domanda è necessaria la costruzione di data center sempre più potenti, strutture energivore situate spesso nelle periferie delle città che richiedono un’alimentazione continua e il cui consumo energetico rappresenta un problema crescente in tutti i paesi.
Negli Stati Uniti ne nascono circa due a settimana. Secondo il Data center map, uno dei database più completi del settore, negli Stati Uniti ne esisterebbero circa quattromila, compresi quelli in fase di sviluppo, anche se spesso non si sa dove o quanti siano esattamente, né chi sia il proprietario. Lo stesso database ne indica 209 in Italia e 73 a Milano, una stima che varia leggermente a seconda della fonte. Per gli investitori, i data center garantiscono la sovranità digitale, la crescita economica e quella dell’occupazione. Spesso, tuttavia, le comunità locali accolgono la progettazione di nuovi data center con preoccupazione e proteste.
Motivi di preoccupazione
Nel caso di Bollate la preoccupazione dei cittadini e delle associazioni ambientaliste dipende da diversi aspetti. Primo, il fatto che il data center dovrebbe essere costruito sulle aree verdi tra le frazioni di Cascina del Sole e Cassina Nuova, ridimensionando uno dei pochi varchi ecologici rimasti a ridosso della tangenziale nord. “Non ha senso occupare una delle poche aree verdi ancora esistenti quando si potrebbe contribuire al risanamento del territorio costruendo nelle aree industriali dismesse”, spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. Il progetto, inoltre, richiederebbe la costruzione di un cavidotto lungo quasi sette chilometri, per collegare il data center alla cabina elettrica di Ospiate, interrando cavi elettrici ad alta tensione in un’area in cui ci sono case, scuole e piste ciclabili.
Se a questo si aggiungono il rumore continuo o il fatto che queste strutture possono consumare tanta energia quanta quella dell’intera Bollate, si capisce perché Legambiente ha deciso di ricorrere al tribunale amministrativo locale contro la decisione del comune di autorizzare il progetto. Il comune non ha risposto alla nostra richiesta di commentare la vicenda.
Non è la prima volta che comitati di cittadini si oppongono alla costruzione di queste strutture. Una cosa simile era successa a Bornasco, in provincia di Pavia, dove i residenti si sono opposti alla costruzione di un data center a circa un chilometro da quello della Microsoft. Come mostra l’inchiesta di Irpimedia in collaborazione con il collettivo di giornalisti Fada, anche in questo caso la costruzione dell’impianto era prevista su aree verdi o terreni agricoli, con il rischio di trasformare l’area in “un agglomerato di case circondato da capannoni e camion”, come hanno spiegato i residenti. Preoccupazioni simili sono emerse ad Arcene, in provincia di Bergamo, a Cornaredo e a Cesate, dove la coalizione di centrosinistra Cesate insieme, contraria alla costruzione di quello che ha definito un “ecomostro” in un’area verde, si è opposta all’insistenza delle istituzioni locali sui benefici economici di un data center alto sei piani.
Nelle città dell’Europa del nord la rete non può reggere ulteriori infrastrutture che richiedono un alto consumo di energia, a meno di investimenti troppo costosi. E così, quando Amsterdam, Francoforte, Londra e Dublino hanno messo in pausa nuove autorizzazioni, l’attenzione si è spostata su Milano, destinata a diventare un nuovo hub a livello europeo.
Lo studio Teha-A2A prevede un aumento del consumo energetico dei data center nel capoluogo lombardo pari a dieci volte in cinque anni, in corrispondenza di un aumento della domanda. Una crescita tale da collocare la città tra i principali centri di calcolo in Europa, con ripercussioni dirette sull’infrastruttura elettrica e sulle politiche energetiche.
Cosa succede nel mondo
Nel 2023 in Irlanda i data center hanno consumato per la prima volta più energia di tutte le abitazioni del paese messe insieme, secondo il Central satistics office di Dublino, in Irlanda. Negli Stati Uniti per risolvere il problema del fabbisogno energetico, alcuni operatori hanno pianificato di ricorrere al nucleare nel lungo periodo, e all’estrazione del carbone nel breve. Di recente un gruppo di ricercatori della Cornell university ha cercato di stabilire il reale impatto ambientale dell’attuale tasso di crescita dell’intelligenza artificiale. Secondo loro, da qui al 2030, ogni anno nell’atmosfera saranno immesse tra 24 e 44 milioni di tonnellate di anidride carbonica, l’equivalente delle emissioni prodotte da cinque a dieci milioni di auto in più sulle strade degli Stati Uniti.
L’impronta idrica di queste infrastrutture è un ulteriore problema: in base a questo indicatore del consumo di acqua dolce ogni data center può consumare milioni di litri al giorno e uno studio recente prevede che la domanda globale di ia comporterà un prelievo compreso tra 4,2 miliardi e 6,6 miliardi di metri cubi nel 2027, pari a circa la metà del consumo idrico annuale del Regno Unito. In un contesto in cui la scarsità di acqua dolce è già una delle emergenze mondiali più critiche, la competizione tra infrastrutture digitali e comunità locali sta diventando un problema politico.
Nella città di Madison, negli Stati Uniti, per esempio, un data center costruito su un terreno di circa venti ettari, è stato accusato di aver abbassato e inquinato le falde acquifere, impedendo ai residenti di usare l’acqua potabile nelle proprie abitazioni. Per non parlare dell’enorme aumento delle bollette dell’elettricità in tutto il paese. Le aziende scelgono di costruire i data center in base alla disponibilità di terra, energia e acqua, e alla possibilità di ottenere facili procedure di autorizzazione, ma i costosi aggiornamenti delle reti elettriche spesso ricadono sulla cittadinanza.
Per tutti questi motivi negli Stati Uniti, secondo la rete di ricerca e attivismo Data center watch, nel secondo trimestre del 2025 venti progetti sono stati sospesi o bloccati, per un valore di 98 miliardi di dollari. Lo scorso 8 dicembre una coalizione di più di 230 gruppi ambientalisti ha richiesto una moratoria nazionale sui nuovi data center negli Stati Uniti, sollecitando il congresso a fermare la diffusione di strutture ad alto consumo energetico.
In questo contesto, l’area verde situata tra il parco delle Groane e il parco Nord diventa il simbolo di una questione molto più ampia. “L’aspetto più complesso”, spiega Margherita Mulazzani del comitato No data center di Bollate, “è permettere alla cittadinanza di valutare i rischi ambientali, perché non ci troviamo di fronte a un impianto chimico, per il quale esiste già una chiara percezione del rischio”, ma a infrastrutture complesse “con un impatto ambientale di cui tenere conto”.
Lo scorso 17 novembre la giunta regionale lombarda ha approvato una proposta di legge sui data center che individua nelle aree dismesse i luoghi prioritari in cui costruirli, ma consente di occupare anche terreno agricolo se si paga di più per il contributo di costruzione. “È una monetizzazione del consumo di suolo”, continua Mulazzani, “che porterà più soldi alle istituzioni locali e sempre meno suolo libero a disposizione dei cittadini”.
Negli ultimi dieci anni in Italia la Lombardia è stata la seconda regione con maggiore consumo di suolo, dice Mulazzani. “Sarebbe tempo che l’impatto ambientale dei data center e la tutela della salute dei cittadini entrassero nell’agenda politica”.
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