Sto lavorando alla traduzione di Blurry di Dash Shaw, un graphic novel in uscita per Coconino, mentre ascolto Balla coi lupi nella stalla dei Pop X (Bomba Dischi), ora che sono quasi vent’anni che il gruppo sta in giro. E m’imbatto nel dilemma a fumetti di una scrittrice che dopo un esordio di successo, una biografia sulla sua famiglia, decide di scrivere due libri in contemporanea: un giallo e un romanzo sperimentale. Li scrive, li ama, li odia, non li finisce, s’incarta. Si chiede se il romanzo di genere non sia un rigurgito infantile, se quello sperimentale non sia un’inutile affermazione del talento. La cosa significativa dei Pop X è che loro non odiano.

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La loro sperimentazione non si fa troppe domande, e questo nuovo disco tratta senza troppa commozione il loro passato, un mondo in cui Cristina D’Avena era più vicina ai Daft Punk di quanto ci saremmo aspettati e nell’acidificazione demenziale di alcune adolescenze i Dari potevano suonare come un prontuario di Schopenhauer. Come negli ensemble cast più riusciti i Pop X, anche se sono solo in due, sanno citarsi senza farsi a pezzi e puntano sui bit “ballerini” dei brani Fuma e Balla per farti dire che questa cosa l’hai già memorizzata ancor prima di averla ascoltata. Ma è con Fentanyl che arrivano alla vera pista da ballo d’autore, quello spazio in cui balli da sola davanti a un dj che non sa neanche perché è finito a quella festa, e quando vi guardate pensate che stareste bene in un qualsiasi film di un regista di provincia. Sembrava il Festivalbar, forse era Mubi. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati