A sinistra Lado Burduli; accanto un bassorilievo sovietico all’aeroporto di Tbilisi. (Julien Pebrel, MYOP)

Seduta nel suo salotto decorato con vasi di violette, piante e icone ortodosse, Manana Nachkebia, una donna georgiana di 59 anni, racconta con voce sommessa i viaggi che faceva nella capitale russa quando aveva vent’anni: “Mosca ci piaceva molto. Eravamo giovani e dovevamo andare a vedere la capitale, i grandi teatri, Lenin. Perché eravamo tutti iscritti al Partito comunista. Per visitare il mausoleo la coda era interminabile. Una volta all’uscita un mio amico si lamentò perché aveva passato la giornata in fila e non era riuscito a fare compere”. Nachkebia lavorava come operaia in una fabbrica aeronautica di Tbilisi, la capitale della Georgia, fino al 1991 repubblica federativa dell’Unione Sovietica. Era felice di poter andare a Mosca a comprare profumi francesi e vestiti alla moda, prodotti d’importazione all’epoca difficili da trovare. Con le sue amiche alloggiava in centro, vicino ai grandi magazzini Tsum e Gum. Il biglietto d’aereo Tbilisi-Mosca costava 37 rubli a tratta: un prezzo abbordabile, poco superiore a quello di un biglietto del treno. “Guadagnavo fra i 300 e i 400 rubli al mese, l’alloggio me lo pagava la fabbrica e i beni di prima necessità costavano pochi centesimi”, racconta Nachkebia. “Potevo andare per una settimana a Mosca senza avere bisogno di fare particolari sacrifici. All’epoca tutti i miei amici viaggiavano. C’erano anche altre destinazioni molto popolari, come i paesi baltici, ma andare a Mosca era più facile”.

Negli anni settanta e ottanta erano moltissimi i georgiani che prendevano i voli Aeroflot da 37 rubli per Mosca. “C’erano almeno dieci collegamenti al giorno, d’estate addirittura 14”, dice Kakha Chachava, 60 anni, ex pilota d’aereo, che ha conservato il suo cappello dell’Aeroflot, con il logo con la falce e il martello alati.

A sinistra Manana Nachkebia; accanto l’aeroporto di Tbilisi. (Julien Pebrel, MYOP)

In Georgia, che quest’anno ha festeggiato i trent’anni d’indipendenza, chi ha tra i cinquanta e i settant’anni, cioè l’ultima generazione vissuta sotto l’Urss, ricorda con nostalgia quei viaggi: si partiva per pochi giorni, a volte per ventiquattr’ore appena, per fare baldoria, andare a un concerto o anche solo per farsi tagliare i capelli da un parrucchiere della capitale. Gli uomini, in particolare, amano ricordare i momenti passati con le donne russe, ritenute più emancipate di quelle del Caucaso.

La rete dell’Aeroflot

Ma i georgiani non erano i soli a viaggiare. Per scoprire le meraviglie della capitale cosmopolita si poteva partire da ogni angolo dell’Unione Sovietica. Insomma – paradosso dei paradossi – il paese simbolo dell’economia pianificata socialista aveva inventato i voli low cost, emblema del capitalismo moderno, molto prima di EasyJet o di Ryanair.

Le analogie tra i voli Aeroflot e quelli delle moderne compagnie a basso costo sono numerosi: assenza di business class, pasti inesistenti o poco invitanti, personale non sempre amabile. “Curiosamente l’Aeroflot ha anticipato quello che sarebbe successo nel settore dell’aviazione civile a partire dagli anni novanta, con i servizi per i passeggeri ridotti al minimo per contenere i prezzi”, osserva lo storico statunitense Steven Harris, che sta scrivendo un libro sulla compagnia sovietica. “La grande differenza è che l’Aeroflot non aveva la necessità di fare profitti: era una società statale, non era tenuta a usare gli aerei che consumavano meno carburante o a chiudere le tratte meno redditizie”.

La democratizzazione dei voli, insomma, è cominciata grazie ai dirigenti sovietici che all’inizio degli anni settanta decisero di ridurre drasticamente le tariffe per i voli interni. “Vogliamo trasformare gli aerei in autobus del cielo”, affermava nel 1966 il ministro dell’aviazione civile Evgenij Loginov. Trentasei anni dopo Michael O’Leary, il proprietario della Ryanair, avrebbe fatto lo stesso paragone in un’intervista al settimanale Business Week.

Grazie a questa nuova politica, in Unione Sovietica il numero dei passeggeri civili passò dagli otto milioni del 1958 ai più di cento milioni del 1976, su una popolazione totale di 257 milioni di persone. La crescita del traffico aereo andava di pari passo con la diffusione del turismo di massa. “Nell’era post-staliniana il regime sovietico voleva offrire alla popolazione più occasioni di villeggiatura e una migliore qualità della vita”, spiega Erik Scott, storico dell’università del Kansas. “E i voli dovevano servire proprio a portare i cittadini in vacanza”.

Nel 1990 l’Aeroflot entrò nel Guinness dei primati come la più grande compagnia aerea del mondo, con una rete di più di un milione di chilometri di tratte interne, che collegavano 3.600 città e località. In Unione Sovietica la mobilità interna doveva compensare il fatto che era praticamente impossibile uscire dal territorio nazionale. Qualunque viaggio all’estero, anche verso i paesi del blocco dell’Europa orientale, era infatti sottoposto a drastici controlli. I voli avevano inoltre una funzione politica, in quanto permettevano di collegare le diverse repubbliche al centro del potere e di diffondere l’ideologia ufficiale nelle regioni periferiche. Già negli anni venti gli aerei erano usati per portare le matrici di stampa della Pravda, il giornale del partito, in tutta l’Unione Sovietica.

Le autorità, però, non avevano previsto che in questo modo anche le idee e le informazioni sovversive sarebbero circolate più rapidamente. Negli anni settanta i dissidenti si spostavano facilmente e costruivano reti di contatti tra le diverse repubbliche. “Nel 1977 Zviad Gamsakhurdia (che sarebbe diventato il primo presidente della Georgia indipendente) fu arrestato per aver fatto pubblicare Arcipelago gulag di Aleksandr Solženitsyn dalla casa editrice dell’Accademia delle scienze georgiana”, racconta Timothy Blauvelt, professore di storia all’università Ilia, a Tbilisi. “Portò personalmente in aereo delle copie a Mosca e a Leningrado”.

I collegamenti Aeroflot consentivano anche molti scambi economici, non sempre legali. “A Mosca i georgiani erano noti per la loro insolita disponibilità di denaro e per la leggerezza con cui lo spendevano”, osserva Erik Scott, che ha studiato la diaspora georgiana nei paesi dell’Unione Sovietica. E in effetti spesso i georgiani aggiravano le regole del regime. “Certo, facevo speculazioni”, confessa con un sorriso Archil Dadiani, un tassista di 53 anni con i capelli bianchi e due penetranti occhi azzurri. In pratica vendeva al mercato nero beni di consumo che non si trovavano nei negozi di stato.

Negli anni ottanta Dadiani studiava a Tver, una città di medie dimensioni a due ore da Mosca, e tornava spesso in Georgia: “Prima di partire compravo vestiti e tessuti. Caricavo la merce sul treno, con la complicità del controllore, e prendevo l’aereo. Alla stazione di Tbilisi recuperavo la merce e la vendevo. Nell’altra direzione, invece, inviavo alcol. Ma con gli autobus”.

Questo commercio informale permise a Dadiani di guadagnare un bel po’ di soldi, spesi in viaggi e uscite serali. “Non c’era nulla in cui investire né si potevano comprare immobili”, spiega il tassista. “Così andavo con gli amici al bar o al ristorante. Oppure facevamo gite sul mar Nero, a Soči o a Sukhumi”.

Il principale vantaggio economico della Georgia rispetto alle altre repubbliche sovietiche era il suo clima temperato, adatto alla coltivazione della vite, del tabacco, del tè e degli agrumi. Molto apprezzati nelle città del nord dell’Urss, questi prodotti attiravano l’attenzione di “speculatori” pronti a viaggiare. “S’imbarcavano a Tbilisi con valigie piene di fiori o di mandarini per andare a venderli in Siberia. E guadagnavano bene”, spiega Blauvelt.

Anche gli scambi culturali erano molto intensi. La regista Lana Gogoberidze, 92 anni, prendeva spesso i voli da 37 rubli per Mosca. “All’epoca mi capitava di dover andare nella capitale per assistere a conferenze o per difendere i miei film davanti alla commissione di censura”, racconta nel suo grande appartamento pieno di libri nel quartiere di Vera, a Tbilisi. “Ma al tempo stesso incontravo gli amici e mi godevo la vita culturale moscovita. Ci si trovava alla Casa del cinema, dove c’era davvero libertà di espressione. Eravamo liberi, parlavamo di tutto”.

I frequenti collegamenti con Mosca arricchirono anche la cultura alternativa georgiana. Pioniere della scena rock underground di Tbilisi, Lado Burduli, 57 anni, ricorda bene le visite a Mosca: “Andavo a stare con i musicisti del posto. S’incontravano molti stranieri, e si fumava un sacco di marijuana!”. Pantaloni di cuoio neri, coda di cavallo e sandali di gomma ai piedi, Burduli parla con entusiasmo di quegli anni, la sua “epoca d’oro”, quando suonava nel gruppo new wave Retsepti. Allora andava nella capitale anche otto volte all’anno, spendendo solo 19 rubli, il prezzo riservato agli studenti. “Ero innamorato di una ragazza tedesca che viveva a Mosca. E quando c’incontravamo la gioia era doppia, perché mi portava le cassette di gruppi vietati in Urss, come i Cure o gli Smiths”.

Nostalgia e politica

Tutto finì nel 1991, l’anno che segnò la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la scomparsa dei voli a 37 rubli, con la ristrutturazione dell’Aeroflot e la privatizzazione del settore aereo. Da allora la tratta Tbilisi-Mosca è alle mercé delle tensioni politiche tra i due paesi, alimentate anche dai conflitti in Abkhazia e Ossezia del Sud, le due regioni separatiste della Georgia, sostenute dalla Russia.

Nel giugno 2019, dopo una violenta manifestazione antirussa a Tbilisi, il presidente russo Vladimir Putin ha sospeso tutti i collegamenti aerei diretti tra i due paesi. È stata la crisi più grave dopo la guerra dell’agosto 2008.

Tuttavia in Georgia l’espressione “37 rubli” è rimasta nel linguaggio corrente, ed evoca ancora i vecchi viaggi a Mosca. Negli ultimi anni, però, le cose sono cambiate. Con l’arrivo al potere nel 2004 del filoccidentale Mikheil Saakashvili, la nostalgia dell’Unione Sovietica è stata cancellata dalla storia nazionale. E oggi chi rimpiange i voli Aeroflot è sospettato di simpatie filorusse.

“È politicamente molto importante che ogni generazione di georgiani possa viaggiare in Europa, la nostra casa naturale. Non dobbiamo rimpiangere i biglietti a 37 rubli per Mosca”, ha detto Saakashvili in uno dei suoi ultimi discorsi ufficiali da presidente. “Quelli che cercano di trascinarci verso il passato approfittano del fatto che la maggior parte dei nostri concittadini non ha ancora avuto la possibilità di conoscere l’Europa”.

L’ex operaia Manana Nachkebia vorrebbe però che i suoi ricordi non fossero strumentalizzati. “Con gli amici pensiamo spesso ai nostri viaggi a Mosca. Abbiamo nostalgia della nostra giovinezza, non del regime comunista. Saakashvili ci lasci in pace!”, dice amareggiata. Ha bruciato la tessera del partito all’inizio degli anni novanta e non ha mai rimpianto la scelta dell’indipendenza.

Se il mito dei voli a 37 rubli è ancora così popolare il motivo sta in gran parte nel drammatico contrasto tra l’ultimo periodo dell’era sovietica e gli anni novanta, segnati dalla guerra civile, dall’esplosione della criminalità e dalla povertà. “L’ultima volta che ho preso l’aereo è stato nel 1993”, racconta Nachkebia. “Sono andata in Polonia per comprare prodotti di prima necessità: burro, patate, riso, zucchero. In Georgia tutto era razionato e molte cose erano introvabili anche al mercato nero”.

Come lei molti altri georgiani della sua generazione non hanno più viaggiato fuori del paese. Per i più giovani, invece, le promesse di Saakashvili si sono almeno in parte realizzate. Con la soppressione nel 2017 dell’obbligo di visto per i paesi dell’Unione europea e con l’espansione di compagnie low cost come l’ungherese Wizz Air e la turca Pegasus, andare in occidente è diventato più facile.

Berlino, Praga, Amsterdam, Barcellona e Parigi sono diventate le destinazioni preferite dei giovani georgiani. Una volta sbarcati nelle capitali europee, però, li aspetta una vacanza da turisti squattrinati, non più la grande vita moscovita dei loro fratelli maggiori ai tempi dell’Aeroflot e dei 37 rubli. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati