I ragazzi seguivano sempre Greta. La seguivano ovunque e lei non si accorgeva di quanto la trovassero attraente. Quando usciva a comprare il pane, erano già fuori dal negozio fingendo di giocare a qualcosa. Quando attraversava la strada fino al marciapiede sul lato opposto, avevano occhi solo per la sua schiena, che avrebbe potuto essere la schiena di qualunque altra ragazza ma volevano guardarla lo stesso, dirigendo con un certo pudore gli occhi più in basso, dove la schiena si curvava, sempre coperta da un maglione pesante e pieno di pelucchi. Perché dovevano osservare tutto.

Dopo quella trance, parlare di volgarità era l’unico modo per rompere il silenzio in cui l’immagine di lei restava chiara. Quando qualcuno parlava, tutti restavano prigionieri delle loro fantasie, mentre la schiena di Greta e il suo enorme maglione che ne copriva le curve si dissolvevano tra i ricordi di riviste pornografiche e delle reciproche masturbazioni. Solo più tardi, quando erano già diretti a casa o s’immergevano nella solitudine prima del sonno, ognuno di loro si consegnava con devozione alla memoria di un frammento di lei.

In un altro momento, quel ragazzo avrebbe dato tutto per ricevere un sorriso di Greta, ma quando successe davvero provò solo paura. Sembra un’altra, pensò il ragazzo

Un giorno, all’ora prevista, aspettarono Greta fuori da casa sua per scortarla in segreto mentre andava a fare compere, ma Greta non uscì. Il giorno successivo, puntuali, aspettarono nello stesso posto, ma di lei neanche l’ombra.

Poi, diversi giorni dopo, uno dei ragazzi la vide passare.

Restò in silenzio per lo stupore e lei lo incrociò con lo sguardo, rivolgendogli un sorriso automatico e vuoto.

In un altro momento, quel ragazzo avrebbe dato tutto per ricevere un sorriso di Greta, ma quando successe davvero provò solo paura. Sembra un’altra, pensò il ragazzo quando si sentì scoperto e si allontanò. Nella finestra di casa di Greta vide un’ombra affacciarsi. Il volto bavoso e gli artigli giganteschi di un vecchio che si muovevano da un lato all’altro in segno di saluto lo lasciarono intorpidito. Come avrebbe potuto spiegare quella sensazione agli amici? Quando arrivò il momento, si limitò a dire che in quel giorno di sole il sedere di Greta sembrava grosso. Fu così che tradusse il suo disagio. Gli altri ragazzi, che volevano sapere se Greta stava bene, presero quel commento come una risposta positiva alla domanda che non avevano mai fatto, e cominciarono a parlare di quello che, secondo loro, l’amico si aspettava di sentire: il seno di Greta, le dimensioni dei suoi genitali, i peli.

La notte arrivò tiepida e i ragazzi restarono a parlare fino a molto tardi. Pianificarono nuovi percorsi per seguirla, disegnando tragitti immaginari usando la strada come lavagna. Battezzarono quella nuova forma di persecuzione e pedinamento “Operazione numero x”.

Nel primo giorno del gioco, videro Greta passare correndo verso il fiume. Avanzava in modo scomposto, come se fosse trascinata dal suo stesso bacino, con le braccia appese alle spalle come grosse protuberanze. Li sorprese la sua mancanza di coordinazione e grazia, la sua goffaggine. Qualcuno propose di cambiare programma e andare a guardare una donna che quel giorno faceva il bagno sotto il sole. Gli altri accettarono. Da quel momento la loro ossessione per Greta svanì progressivamente, un giorno dopo l’altro. Qualcuno sentì, senza mai manifestarlo, che il suo desiderio si era trasformato in terrore. Le sembianze della ragazza non erano più le stesse. Greta aveva lo sguardo perso, attacchi di riso e la mania di fare e disfare palle di terra impastate con la saliva.

Era sempre andata in giro da sola, ma ora si notava che aveva raggiunto il massimo del rapporto con se stessa. Parlava da sola, si raccontava barzellette, diceva cose senza senso. Sempre da sola. Nessuno dei ragazzi poteva arrivare a conclusioni certe. Si limitavano a dire quello che dicevano i loro genitori: le donne sono pazze, le ragazze invecchiano e perdono la grazia, il suo seno non è nemmeno così grande, non è mai stata un granché.

Il tempo passava. Il ragazzo che si era stupito prima degli altri per il sorriso vuoto di Greta, un giorno decise di seguirla. Era uscita di casa e ancora una volta era come se fosse spinta da un essere nascosto nella pancia e scuoteva la testa, come una busta piena d’acqua.

Aveva il viso rosso e stravolto. Il suo naso scintillava con una tonalità fluorescente quando il sole le sbatteva in faccia. Si vedeva che aveva passato ore distesa sotto il cielo estivo senza fare nulla.

Il ragazzo la seguì mentre lei si allontanava e diventava sempre più piccola, fino a spingersi oltre il muro che costeggiava il fiume. Passarono uno dietro l’altra attraverso un buco umido. Appoggiando le dita sulla parete, al ragazzo sembrava di sentire la morbidezza fredda di un serpente. Tutto era buio, ma in fondo a quel breve tunnel la luce sbatteva sugli steli e i pistilli irradiavano un colore verde. L’erba selvaggia annunciava un’uscita.

Greta non si era accorta che qualcuno la stava seguendo. Camminava chiacchierando con se stessa e s’interrompeva con fragorose risate. Il ragazzo aveva paura, ma qualcosa gli impediva di fuggire: era il ricordo della prima volta in cui, nella sua miserabile vita, aveva visto Greta. All’epoca le sue scollature lasciavano alla vista solo una pianura di carne scura. Si erano incontrati una notte in cui era uscito per fare una passeggiata. A casa, suo padre aveva picchiato sua madre, che soffocava le sue stesse grida con un cuscino per non farsi sentire dai vicini. Il ragazzo camminava per strada e pensava. Pensava alle cose a cui pensa un bambino quando ha dieci anni, un bambino solo, che non capisce ma non si chiede nemmeno se la sua situazione potrebbe essere diversa: ciò che ha è tutto ciò che conosce. Camminava prendendo a calci la spazzatura, ma non per richiamare l’attenzione. Lo faceva con automatismo meccanico, come un macchinario industriale che ripete la sua azione. Pensava a qualcosa che non poteva descrivere. La sua angoscia mancava di novità. Gli sembrava di essere nato così, senza la possibilità di sorprendersi, e fu in quel momento che alzò lo sguardo e vide una bambina alta tenuta per mano da un vecchio bavoso. O forse era lei che teneva per mano il vecchio.

Il ragazzo la seguì mentre lei si allontanava e diventava sempre più piccola, fino a spingersi oltre il muro che costeggiava il fiume. Passarono uno dietro l’altra attraverso un buco umido. Appoggiando le dita sulla parete, al ragazzo sembrava di sentire la morbidezza fredda di un serpente

Mentre scendeva a precipizio in una scarpata dietro Greta, il ragazzo continuò a pensare a quella sera. Non sapeva se a colpirlo era stato il contrasto con quella città e le sue strade piene di piscio o la presenza di quell’uomo orribile accanto a un essere diafano come lei. Fatto sta che Greta gli era sembrata un’apparizione, la manifestazione che c’era qualcos’altro, oltre quelle serate piene di grida.

Il bambino gira lo sguardo. L’ha persa.

Sotto di lui c’è solo l’acqua. Greta si è buttata nel fiume? Prima di rispondersi, si lancia anche lui e in due secondi immagina di salvarla e che lei torni a essere quella di prima. Hanno figli e poi nipoti e i nipoti hanno nipoti e tutti allevano grandi vacche piene di latte. Perché un sogno così sensato dev’essere così difficile?

Il ragazzo si ferma di colpo. Crede di averla vista su una roccia. È lei, sì. Si sta svestendo. Si sbottona il vestito e sotto non indossa nulla. Lui riesce a vedere due capezzoli color cioccolato. Lei si toglie i sandali e si stende sulla pietra con le braccia allungate.

Il ragazzo si avvicina, non può resistere, va verso di lei. Ma un attimo prima di raggiungerla, qualcosa lo ferma. Si è tolto dalla testa, pochi secondi dopo averci pensato, tutto quello che potrebbe fare trovandosi da solo insieme a lei. Attorno non c’è nessuno. A volte è come se suo padre gli desse ordini da dentro il suo sangue. Suo padre è morto, ma a volte gli grida: devi fare così! E se non fosse per il fatto che lo odia ancora, probabilmente lo ascolterebbe.

Il ragazzo è nascosto dietro una pietra, osserva l’ondulazione di quel corpo dove si alza un pube leggermente scuro. Ipnotizzato alla prima vista di un corpo femminile che non sia quello di sua madre, vede Greta che comincia a tremare, con gli occhi bianchi, mentre un animale le esce dalle gambe e dopo il primo animale ne viene un altro, e poi un altro, e un altro ancora fino a quando un esercito di animali che non sono più così piccoli si ritrova a prendere il sole accanto a lei. È difficile indovinare che mammiferi o insetti siano, difficile capire se sono iridescenti o trasparenti. Sembrano strane salamandre e hanno il volto rugoso, ma non come quello dei vecchi. Come quello dei neonati.

Il ragazzo, terrorizzato, capisce. Era questo il motivo! Questo! Non era Greta a sorridermi, lo sapevo, ma questi intrusi che hanno occupato il suo corpo. Bisogna fare qualcosa. Con una rabbia che contiene anche il desiderio, si avventa sugli animali e li sventra uno dopo l’altro, con destrezza, sicuramente anche con gelosia. Sotto i suoi piedi, gli animali morenti sembrano palloncini pieni d’acqua che scoppiano. Si rompono in un’alluvione. Come se fossero fatti di brodo, senza cartilagini. Esausto, scosso dalla sua stessa paura, scopre il corpo di Greta con le braccia distese sotto il sole d’inverno. Si avvicina a lei per rianimarla, ma quando le prende la mano, la mano si sgonfia. Preme il suo stomaco e con orrore vede che la pelle si affossa, forma una scodella. Capisce. Uccidendo le bestie ha ucciso la ragazza. Greta era vuota. ◆

Clyo Mendoza è una scrittrice e poeta nata a Oaxaca nel 1993. Il suo romanzo Furia ha vinto il Premio Primera novela nel 2022. Questo racconto sarà pubblicato in Dantescas (Fera Ediciones), un’antologia di racconti a cura di Elaine Villar Madruga, con il titolo Horizonte de sucesos . La traduzione è di Andrea Sparacino.

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Questo articolo è uscito sul numero 1646 di Internazionale, a pagina 70. Compra questo numero | Abbonati