Quando nel 2024 la Viega ha cominciato ad assumere personale per il suo nuovo stabilimento in Ohio, i dirigenti dell’azienda hanno pubblicato i tradizionali annunci di lavoro, incaricato selezionatori esterni, creato un sito dedicato e perfino affisso le offerte sui cartelloni stradali. Non c’è stato niente da fare. Per mesi il produttore di sistemi idraulici e impianti di climatizzazione ha ottenuto scarsi risultati. Tenuto conto del basso tasso di disoccupazione locale, il requisito imposto dalla Viega ai nuovi assunti, un lungo programma di formazione a quattro stati di distanza, non ha certo aiutato.

Le difficoltà dell’azienda, tuttavia, riflettono una cronica carenza di manodopera nel settore manifatturiero, che potrebbe mettere a rischio il boom delle fabbriche statunitensi promesso dal presidente Donald Trump come risultato della sua politica protezionista. Nel settore ci sono 409mila posti di lavoro vacanti, un numero destinato a crescere se i dazi di Trump dovessero favorire ulteriormente il ritorno di altre aziende.

La Viega alla fine è riuscita a trovare 68 lavoratori qualificati per il nuovo stabilimento. Ma i primi risultati della rinascita promessa da Trump sono deludenti: dall’inizio di gennaio l’occupazione nel settore è diminuita di 49mila unità. Secondo gli scettici è la prova che i piani del presidente sono sbagliati.

La Casa Bianca ripete che ci saranno abbastanza lavoratori per la cosiddetta età dell’oro annunciata da Trump. Ma alcuni dei nuovi impianti stanno affrontando problemi già noti: l’inaugurazione dello stabilimento di processori per computer della taiwanese Tsmc in Arizona è stata posticipata di un anno a causa di “un numero insufficiente di lavoratori qualificati”. Trump e i suoi collaboratori sostengono che la carenza sarà risolta grazie all’automazione, all’immigrazione altamente qualificata e al rientro nel mercato di lavoratori statunitensi oggi ai margini della società.

In un documento strategico pubblicato ad agosto, in effetti, i dipartimenti del lavoro, del commercio e dell’istruzione avevano auspicato il ritorno nel mercato del lavoro di “milioni di cittadini ai margini” per cogliere le nuove “opportunità ben retribuite”, anche nel settore industriale. L’iniziativa mira a invertire anni di calo del tasso di partecipazione alla forza lavoro, soprattutto tra i più giovani. Ad agosto risultava occupato o in cerca di lavoro il 70,2 per cento degli statunitensi tra i 20 e i 24 anni, in calo rispetto a circa l’80 per cento della metà degli anni ottanta. Alcuni giovani hanno preferito proseguire gli studi invece di lavorare, mentre le prospettive occupazionali di altri sono ostacolate da precedenti penali o dall’impossibilità di superare test antidroga. C’è chi riesce a cavarsela con lavori autonomi occasionali o attività informali non rilevate dalle statistiche governative. Spesso i lavoratori più anziani inattivi hanno qualche disabilità. “Negli Stati Uniti più di un giovane adulto su dieci non è occupato, né impegnato nell’istruzione superiore, né segue una formazione professionale. Il talento statunitense ha costruito la prima era di dominio economico del paese e non mancano mani e menti per rivitalizzare l’industria nazionale e dare inizio alla nostra prossima età dell’oro”, ha dichiarato il portavoce della Casa Bianca Kush Desai.

Dipendenze e altre difficoltà

Secondo molti economisti puntare sugli statunitensi usciti dal mercato del lavoro a causa di malattie o perché finiti in carcere è una strategia ad alto rischio e con poche possibilità di successo. Le competenze si deteriorano quando le persone escono dal mercato del lavoro. Molte di loro, inoltre, hanno problemi di dipendenze o altre difficoltà che le rendono poco adatte a lavorare con macchinari potenti. “È del tutto irrealistico”, spiega Adam Hersh, dell’Economic policy institute, un centro studi di orientamento progressista.

Alcuni esperti criticano l’accento messo dall’amministrazione sul settore manifatturiero. Le catene di montaggio un tempo offrivano a milioni di statunitensi una via per entrare nella classe media. Oggi quei posti di lavoro sono tra i meno sindacalizzati e quindi non garantiscono più salari e benefici migliori rispetto ad altri impieghi. I moderni posti di lavoro nel settore manifatturiero richiedono competenze che vanno oltre il diploma di scuola superiore. Bisogna saper lavorare con i sistemi automatizzati, come i controllori logici programmabili che gestiscono intere linee di produzione e sono ormai quasi onnipresenti nelle fabbriche contemporanee.

Una delle mansioni più ricercate nel settore manifatturiero è quella del tecnico di manutenzione, responsabile del funzionamento delle apparecchiature. Trovare un numero sufficiente di persone per questi ruoli si sta rivelando un grosso problema. Le aziende stanno adottando un approccio “a tutto campo”, puntando su veterani, ex detenuti e persone che hanno lasciato il lavoro per prendersi cura di un familiare non autosufficiente, oltre che su neodiplomati e immigrati, spiega Carolyn Lee, direttrice del Manufacturing institute, un’organizzazione non-profit sostenuta dal settore manifatturiero.

L’amministrazione Trump ha riunito vari programmi di formazione professionale in un’unica iniziativa chiamata Make America skilled again, che però secondo i critici non avrebbe fondi sufficienti. Alcuni produttori, invece, hanno fatto tesoro della concentrazione di talenti in settori specifici a livello locale. Il produttore di pannelli solari First Solar, per esempio, ha distribuito i suoi sei stabilimenti negli Stati Uniti in quattro stati: Ohio, South Carolina, Alabama e Louisiana. “Avevamo bisogno di diversificare dal punto di vista geografico per poter trovare le persone”, ha dichiarato un dirigente dell’azienda. Lo stabilimento della Louisiana si trova a New Iberia, dove il reddito pro capite è di trentamila dollari all’anno.

Qui la First Solar ha assunto settecento residenti della zona per impieghi che garantiscono novantamila dollari all’anno. Si tratta di personale con esperienza nel settore locale del petrolio e del gas, ma anche di neodiplomati e neolaureati provenienti da istituti tecnici e centri di formazione.

Per chi è favorevole al ritorno delle fabbriche è la prova che l’idea di Trump può funzionare. “I lavoratori ci sono”, ha affermato Nick Iacovella, vicepresidente della Coalition for a prosperous America. “Sono convinto che gli statunitensi vorranno svolgere questi lavori”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 105. Compra questo numero | Abbonati