Lavorando alla riforma agraria per conto del governo brasiliano, Itamar Vieira Júnior ha visitato in lungo e in largo le campagne povere del paese. Ma prima di finire il romanzo a cui si era dedicato a intermittenza per decenni, non sapeva nulla di editoria.

Poi, nell’aprile 2018, d’impulso, ha inviato a un concorso letterario in Portogallo il manoscritto di Torto arado (Aratro storto), la difficile storia di due sorelle che vivono in un distretto rurale nel nordest del Brasile, dove l’eredità della schiavitù è ancora palpabile.

“Non avevo grandi aspettative”, racconta Vieira, 42 anni. E invece Torto arado ha vinto il LeYa 2018, un importante premio letterario che ha l’obiettivo di scoprire nuovi autori in lingua portoghese. E Vieira è diventato un punto di riferimento per le scrittrici e gli scrittori neri che negli ultimi anni hanno scosso la letteratura brasiliana con opere feroci e fantasiose, che hanno avuto anche successo.

Dalla favela alla libreria

Torto arado, con più di trecentomila copie, è stato il libro più venduto in Brasile nel 2021. L’anno precedente il primo posto era stato raggiunto da Pequeno manual antirracista di Djamila Ribeiro (41 anni), un’analisi asciutta e spietata del razzismo in Brasile. Vieira e Ribeiro fanno parte di una generazione di brasiliani neri che sono stati i primi a laurearsi nelle loro famiglie, grazie ai programmi educativi introdotti dal presidente Luiz Inácio Lula da Silva (al governo dal 2003 al 2010). E sono figure di spicco di una rivoluzione letteraria di cui fanno parte anche scrittori del passato, ora riscoperti. “Gli scrittori delle comunità emarginate creano opere importanti da decenni”, spiega Fernanda Rodrigues de Miranda, docente di letteratura a São Paulo.

Per la sua tesi di dottorato, Rodrigues ha messo insieme tutti i romanzi pubblicati da donne nere (come lei) tra il 1859 e il 2005, quasi tutti sconosciuti. Secondo Rodrigues, le poche autrici che avevano successo lo dovevano al gusto dei bianchi che controllavano il mondo letterario. Per esempio Carolina Maria de Jesus, la cui autobiografia Quarto de despejo, fu un fenomeno letterario quando fu pubblicata, nel 1960. Il libro, una raccolta di pagine del diario di Jesus, madre single di tre figli, forniva un racconto crudo della vita quotidiana in una favela di São Paulo. “I lettori bianchi erano incuriositi dalla vita dei neri, ma volevano leggere storie che parlavano di debolezza”, spiega Rodrigues. “Gli autori e le autrici invece volevano parlare di altri aspetti della loro identità. Volevano scrivere d’amore, di umorismo, della ricerca di una vita significativa e appagante”.

Itamar Vieira Júnior (Vi​ctor Moriyama, The New York Tim​es/Contrasto)

Un’opportunità per scoprire nuovi talenti letterari è arrivata nel 2012 con la creazione di un festival a Rio de Janeiro, parte di un fallimentare processo per riportare la sicurezza nelle favelas. Queste restano luoghi poco sicuri, ma il festival è cresciuto: “Ha dimostrato che nelle favelas ci sono non solo i lettori ma anche gli scrittori”, spiega Julio Ludemir, uno dei fondatori. La manifestazione ha segnato l’inizio della carriera per molti autori, tra cui Geovani Martins, trent’anni, che aveva partecipato a un corso di scrittura durante il festival quando viveva a Vidigal, una favela affacciata su alcuni dei quartieri più esclusivi di Rio.

L’esordio di Martins – la raccolta di racconti Il sole in testa (Mondadori 2019) – è diventato un best seller in Brasile. Le sue storie parlano di ansie adolescenziali e si svolgono spesso in comunità in cui le vite dei giovani sono oppresse dal razzismo e dalla violenza alimentata dallo spaccio di droga.

Pensando alla mamma

Con poche eccezioni, fino a poco tempo fa gli autori neri non riuscivano a ottenere contratti con i grandi editori, spiega Ribeiro, che nel 2017 ha deciso di sovvertire gli schemi curando una collana di libri di scrittrici e scrittori neri (spesso venduti a prezzi bassi), organizzando eventi letterari in spazi pubblici, molto partecipati. Ribeiro ha studiato filosofia e racconta che quando scrive pensa sempre alla madre, che come la nonna faceva la cameriera. “Cerco di scrivere in un modo che le risulterebbe comprensibile. Sento il dovere di essere generosa e scrivere in modo accessibile. Altrimenti non si fa altro che legittimare il potere di chi è privilegiato”. Nel 2018 uno dei principali editori brasiliani le ha proposto di scrivere un libro sul femminismo nero, diventato subito un grande successo. “Volevamo rendere la lettura più democratica, e sta andando bene”, racconta Ribeiro.

Pieta Poeta (Vi​ctor Moriyama, The New York Tim​es/Contrasto)

Vieira, che è geologo, ha sfruttato il suo impiego all’agenzia per la riforma agraria, dove ha lavorato a partire dal 2006. Negli anni ha studiato le dinamiche politiche che influenzano la vita dei contadini, compresi quelli che vivono in condizioni vicine alla schiavitù. Quell’esperienza, racconta Vieira, gli ha permesso di creare personaggi più profondi e rendere più autentica l’ambientazione, la città inventata di Agua Negra.

“I lettori mi dicono che si rivedono nella mia storia, che in fondo è la storia di come si è formata la nostra società”.

Vieira spiega che uno dei motivi per cui le autrici e gli autori neri stanno lasciando il segno, scrivendo e pubblicando alle loro condizioni, è il cambiamento nel modo in cui le questioni etniche e il razzismo sono discussi oggi nelle campagne. “Per molti anni il Brasile ha cercato di ‘sbiancare’ la sua popolazione, e nel paese nessuno parlava di colore della pelle”, sottolinea Vieira. “Negli ultimi decenni, invece, il movimento per i diritti dei neri e lo studio del razzismo strutturale hanno chiarito maggiormente il nostro ruolo nella società”.

Tuttavia, molte autrici e autori neri continuano a non trovare il loro posto nel paese. Nel 2018 Pieta Poeta, 27 anni, transgender nera di Belo Horizonte, ha fatto scalpore vincendo un poetry slam, ma è ancora costretta a pubblicare da sé i suoi libri, compreso l’ultimo, Você ainda quer gritar comigo?, un invito a immaginare cosa significhi essere una transgender nera nel Brasile di oggi. Poeta (che è uno pseudonimo) sottolinea che negli ultimi anni le sue opere sono diventate più cupe, un riflesso del caos politico che ha travolto il Brasile dopo l’elezione nel 2018 di Jair Bolsonaro. “Essere brasiliana significa essere costantemente paralizzata dalla paura o denunciare continuamente le ingiustizie”, spiega. Eppure l’opera di Poeta contiene un certo senso di resistenza, se non addirittura di speranza, come dimostra la sua poesia Autocidio.

“Volevo morire. / ma non era un desiderio di morte in sé / Era l’assenza di una vita / E nessuna idea del tempo / che ci vuole / prima che smettano di fare così male. / Del tempo che ci vuole prima che le nostre schiene / Possano sostenere il mondo, il suo peso”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati