Il britannico Dave McKean, grande figura del fumetto d’avanguardia angloamericano all’interno del sistema dei generi (Sandman, con Neil Gaiman), si è poi sganciato per realizzare graphic novel su testi propri di notevole originalità e potenza, tra cui l’indimenticabile Cages. Dopo anni in cui aveva spostato la sua sperimentazione altrove (Black Dog. The dreams of Paul Nash, concepito nell’ambito di uno spettacolo teatrale), grazie a un volume cartonato perfetto come strenna natalizia (e ancor più l’edizione in cofanetto), torna al fumetto con un viaggio metafisico dall’altra parte, dove la morte, la non-vita quasi da zombie e la più generica altra dimensione situata dietro lo specchio si confondono. Nel trasfigurare la morte, questione oggi volentieri rimossa, McKean, però, torna al fantastico dagli echi lovecraftiani che s’incrociano con quelli dello scrittore gallese Arthur Machen – il protagonista del racconto – mentre il suo surrealismo sembra capace di reinventare la pittura simbolista (peraltro dalla grande diversità) con intense e spregiudicate fusioni: certi sprazzi nell’onirico totale danno luogo, per esempio, all’incontro di Francis Bacon con il cubismo. Ma quel che è più straordinario è la rappresentazione di un confine indefinibile tra schizofrenia e presa di coscienza, quasi uno stato necessario di (altra) coscienza per poter esplorare sogno e realtà, (non) vita e morte. Un viaggio dantesco di conoscenza.

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Questo articolo è uscito sul numero 1643 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati