Il Luchino di Giovanni Testori, recuperato da Giovanni Agosti e da lui curato, è un insolito libro molto milanese, dietro il quale s’indovina l’interesse dell’editore Carlo Feltrinelli per un intreccio di vicende artistiche e personali dalle quali anche lui proviene. È, in definitiva, una variegata e bella storia di amicizie che il curatore ha in parte condiviso, facendosi carico anche per questo di una ricostruzione tanto rigorosa quanto partecipe, e perfino affettuosa. L’amicizia tra “il Gianni” Testori e “il conte” Visconti – due figure centrali della vita milanese del novecento e della storia dello spettacolo, e non solo – ha prodotto opere di grande rilievo nel cinema (Rocco e i suoi fratelli, che vide coinvolti anche Vasco Pratolini e, più nell’ombra, Carlo Levi, come ispiratore) e nel teatro (L’Arialda, censuratissimi il testo e la regia, uno scandalo nel 1960, e La monaca di Monza), ha toccato quasi tutte le vicende centrali della cultura e della società dagli anni trenta agli anni ottanta del novecento.

Grande metteur en scène Visconti, autore trasversale ma più che autore regista di film, commedie, opere liriche. E grande narratore e teatrante Testori, tutto dentro un presente “basso” e una storia popolare reinventata con l’aiuto di Ruzante. Ma con Ossessione Visconti era pur stato alle origini del neorealismo – molto diverso da quello di Rossellini nel modo di girare e, in parte, d’intendere le vicende umane dentro la storia – e al neorealismo aveva dato un capolavoro come Bellissima, curandosi poco della poetica zavattiniana. Del suo lavoro Testori aveva apprezzato e compreso come pochi la dimensione lirica e corale. Una storia generazionale e molto meneghina, un’amicizia anche di classe (Testori di stirpe non nobile ma ben borghese, e nella scia dei Verri e dei Manzoni), un confronto con tante basi comuni. Ma con delle differenze di visione, e un latente conflitto che a un certo punto dovette esplodere, se Testori decise di non pubblicare il ritratto che qui scopriamo grazie ad Agosti. Non fu insomma un rapporto sempre facile, tra questi due grandi. Un’amicizia di cui questo libro documenta gli incontri e scontri sulle tante strade verso cui i due si aprivano, i confronti quasi obbligati e non sempre pacifici proposti da un’epoca eccezionale della storia e della cultura italiane.

Il simpatetico e acutissimo saggio che Testori nascose dopo la rottura con Visconti, è una difesa dell’opera del regista, anche nelle sue apparenti contraddizioni

Sono gli anni di Gadda e Pasolini, di Antonioni e Moravia, di Contini e Longhi, di Bene e Schifano, di Berio e Nono, di Arbasino e Pagliarani, di Callas e Mina, di Manganelli e Sanguineti, di Panzieri e Fortini, di Cederna e Bocca… E di Togliatti. Sono state tante le figure che Testori e Visconti hanno finito per sfiorare o con le quali si sono incontrati e a volte scontrati, approvando o disapprovando ed essendone a loro volta approvati o disapprovati.

Testori nascose il suo testo quando tra lui e Visconti ci fu una rottura decisiva, dovuta in parte alle promesse non mantenute del regista nei confronti del giovane attore che di Testori era il compagno. Agosti lo ha recuperato. E si tratta di una difesa dell’opera del regista anche nelle sue apparenti contraddizioni. “Nei suoi film, come in tutte le opere dell’arte vera e propria, non tanto s’avverte il disegno di una dimostrazione; quanto l’urto d’una realtà impastata (e impestata) di tutte le sue contraddizioni, di tutte le sue ombre, le sue luci, le sue vergogne e i suoi furori”. Il simpatetico e acutissimo saggio di Testori è lungo una novantina di pagine del libro, mentre le note di Agosti ne prendono centocinquanta, seguite infine da un secondo saggio, sempre di Agosti, di altre ottanta pagine.

La quantità e qualità delle informazioni e degli aneddoti, dei riferimenti e dei rimandi, delle riflessioni e dei giudizi sono appassionanti: restituiscono il quadro di un’epoca di eccezionali aperture storiche e sociali, culturali e artistiche, una “scienza” con la quale nessun letterato e accademico di oggi mi sembra in grado di poter competere.

È uno dei rari casi di saggi che aprono la mente e anche i ricordi di spettatore e lettore di chi quegli anni li ha vissuti. E lo spingono a ripensare e a ri-ragionare su autori, opere e contraddizioni su cui una società si è formata. E non solo. Allo stesso tempo invogliano i più giovani a paragoni avvincenti e talvolta utili. Insomma, le “note” e il saggio di Giovanni Agosti sono uno dei risultati migliori di una critica finalmente all’altezza dei personaggi e delle opere, e delle scelte dell’epoca che si affronta: un grande regalo per i lettori più esigenti. ◆

Goffredo Fofi è un giornalista e critico teatrale, cinematografico e letterario. È stato animatore di riviste storiche come Quaderni piacentini, Ombre rosse, Linea d’ombra, La Terra vista dalla Luna, Lo straniero, e direttore della rivista Gli asini.

Il libro
Luchino Di Giovanni Testori, a cura di Giovanni Agosti, Feltrinelli 2022,412 pagine, 25 euro

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Questo articolo è uscito sul numero 1498 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati