Nel 2010 a mia nonna Carol fu diagnosticato il morbo di Parkinson. Aveva 72 anni. I medici le prescrissero un mix di farmaci – carbidopa e levodopa – da prendere quattro volte al giorno: alle 7, alle 11, alle 15 e alle 19.

Negli anni successivi le hanno prescritto una pomata agli steroidi per i problemi alla pelle e una serie di medicine contro la depressione, la chinetosi, l’ansia, il reflusso acido e un principio di tumore al seno. “Entravo nella stanza e c’erano boccette dappertutto”, racconta Elizabeth, la figlia di Carol (nonché mia madre): “Cercavo i farmaci su Google per capire a cosa servissero”.

Per mia nonna, che oggi ha 82 anni, è molto difficile assumere tutte quelle medicine seguendo esattamente le indicazioni sugli orari e le dosi. “Non voglio prenderle in questo modo. Penso che siano troppe. Non posso più uscire di casa perché devo continuamente prendere le pillole”, si lamenta. Ogni tanto le capita di saltare una dose di carbidopa/levodopa, e quando succede puntualmente ricompaiono alcuni sintomi: tremori, rigidità e difficoltà a parlare e a camminare. Negli ultimi quattro anni è andata quattro volte al pronto soccorso, e in due casi è stata ricoverata.

Per evitare che Carol dimenticasse di prendere le medicine per il parkinson, Elizabeth ha cercato, con l’aiuto del suo medico, di eliminare gradualmente gli altri farmaci. Oggi mia nonna prende solo le pillole per il parkinson. “Mi sento molto meglio da quando ho ridotto le medicine”, dice. Elizabeth sostiene che ora Carol riesce quasi sempre a rispettare gli orari delle dosi e che questo l’ha aiutata a stare lontana dall’ospedale.

Ma per tanti altri pazienti anziani non è così facile smettere di prendere certe medicine. La polifarmacia, l’assunzione regolare di cinque o più farmaci, è un fenomeno che riguarda un numero crescente di persone, ed è destinata a diffondersi a mano a mano che l’aspettativa di vita si allunga e la popolazione globale invecchia. Le persone anziane non solo prendono più farmaci ma sono più esposte al rischio di effetti collaterali gravi, perché a una certa età il fegato fa più fatica a metabolizzare e a smaltire le medicine dall’organismo. Secondo uno studio pubblicato nel 2020 sull’Annual Review of Pharmacology and Toxicology, questo rischio è aggravato dal fatto che le interazioni tra alcuni farmaci possono essere dannose e che la metà dei pazienti non rispetta le indicazioni per la loro assunzione.

L’Organizzazione mondiale della sanità considera la polifarmacia un serio problema di salute pubblica, che contribuisce ogni giorno a milioni di ricoveri ospedalieri per reazioni indesiderate ai farmaci e costa miliardi di euro in spese sanitarie non necessarie.

Combinazioni rischiose

Ricercatori e farmacisti stanno cercando di capire come risolvere il problema, ma non è facile, anche perché nelle facoltà di medicina e farmacia raramente si insegna la deprescrizione, cioè l’interruzione di una terapia farmacologica non più indispensabile. “Non ci si preoccupa nemmeno di controllare se il rapporto tra costi e benefici rimane costante nel tempo”, sostiene Tobias Dreischulte, studioso di farmacia clinica all’università Ludwig Maximilian, in Germania, e tra gli autori dello studio pubblicato sull’Annual Review. Ma secondo lui una soluzione c’è.

Dreischulte in passato ha condotto delle ricerche all’università di Dundee, in Scozia, e ha fatto parte di un gruppo di lavoro che ha pubblicato delle linee guida per aiutare i medici e i farmacisti scozzesi a ridurre l’uso di medicinali non necessari o potenzialmente pericolosi.

Dall’introduzione delle linee guida, nel 2012, il numero di medicine in eccesso e di combinazioni ad alto rischio è diminuito notevolmente.

La questione di fondo è se metodi simili possano essere adottati anche in altri paesi dell’Unione europea e del resto del mondo. “Storicamente le linee guida sulle cure cliniche non prevedono raccomandazioni o approfondimenti su come o quando sospendere la somministrazione di farmaci”, osserva Emily Reeve, ricercatrice e farmacista dell’University of South Australia di Adelaide, che da dieci anni studia come ridurre l’impatto della polifarmacia negli anziani. “Come facciamo a far diventare la deprescrizione una normale pratica medica?”.

A livello mondiale il numero degli adulti con più di 65 anni è in crescita. Nel Regno Unito, per esempio, le proiezioni indicano che dal 2019 al 2068 il numero degli anziani aumenterà del 67 per cento, per un totale di 8,2 milioni in più: una popolazione grosso modo equivalente a quella di Londra. Negli Stati Uniti dal 2018 al 2060 la fascia demografica degli adulti in età avanzata crescerà dell’81 per cento, per un totale di 42,3 milioni di persone.

Con l’invecchiamento della popolazione, una serie di patologie croniche – per esempio l’osteoporosi, le malattie cardiovascolari e i tumori – diventeranno più comuni. I sistemi sanitari della maggior parte dei paesi tendono a curare queste patologie prescrivendo farmaci. Secondo un rapporto del Lown institute, una fondazione non profit con sede negli Stati Uniti, il 42 per cento degli statunitensi in età avanzata prende cinque o più farmaci al giorno. Quasi il 20 per cento ne assume almeno dieci, e negli ultimi vent’anni l’incidenza della polifarmacia nel paese è triplicata.

Questa dinamica potrebbe essere aggravata, secondo un’inchiesta di ProPublica, dal fatto che l’attuale modello in vigore negli Stati Uniti incentiva i medici a prescrivere più farmaci di quelli necessari. I medici che prendono commissioni su uno specifico farmaco, si legge nell’articolo, lo prescrivono più spesso dei medici che non ne ricavano nessun beneficio economico.

Nel 2015 circa la metà dei medici negli Stati Uniti ha accettato compensi dalle aziende farmaceutiche, per un totale di 2,4 miliardi di dollari.

Un altro fattore che contribuisce al problema è la mancanza di comunicazione tra i diversi medici di un paziente, che prescrivono più farmaci insieme. Spesso succede che l’apparente comparsa di una nuova patologia è in realtà l’effetto collaterale di un farmaco. “I medici specialisti si concentrano esclusivamente sul loro campo”, dice Grace Lu-Yao, epidemiologa dei tumori all’università Thomas Jefferson di Filadelfia. Molti pazienti, compresi i malati di cancro seguiti da Lu-Yao, non hanno un medico che li aiuti ad avere il quadro completo della loro salute e dei farmaci che assumono. “Chi è che va a cercare le possibili interazioni o decide d’interrompere la somministrazione di un farmaco?”.

Cambiare sistema

Naturalmente ci sono casi in cui è necessario prescrivere più farmaci insieme. Per impedire che un paziente sopravvissuto a un infarto ne abbia un altro, per esempio, si prescrivono anche medicine per abbassare il colesterolo, così da ridurre la pressione ed evitare la coagulazione del sangue. Ma le ripercussioni sulla salute possono essere gravi quando il rischio legato all’assunzione di farmaci supera i benefici potenziali. Ogni giorno negli Stati Uniti 750 adulti in età avanzata sono ricoverati a causa di effetti collaterali gravi legati ai medicinali, tra cui cadute, reazioni allergiche ed emorragie interne. E con ogni farmaco prescritto in più, il rischio di una reazione negativa aumenta dal 7 al 10 per cento.

Gregory Reid, Gallery stock

È l’intero sistema a essere strutturato in modo sbagliato, sostiene Lu-Yao. In uno studio pubblicato a marzo del 2021, il suo gruppo di lavoro ha preso in esame i tassi di ospedalizzazione dei malati di tumore alla prostata, ai polmoni e al seno dopo la chemioterapia. Rispetto ai pazienti che prendevano meno di cinque farmaci contemporaneamente, i malati di tumore alla prostata che ne assumevano da 5 a 9, da 10 a 14, e qualcuno più di 15, mostravano un tasso di ospedalizzazione più alto rispettivamente del 42, del 75 e del 114 per cento.

Per i malati di tumore ai polmoni e al seno le percentuali erano simili (dai tassi di ospedalizzazione nei sei mesi precedenti alla chemioterapia non risulta che i pazienti che assumevano più farmaci fossero più malati di quelli del gruppo di controllo).

Se questa tendenza sarà confermata, osserva lo studio del Lown Institute, nei prossimi dieci anni la polifarmacia provocherà quasi 150mila morti premature negli Stati Uniti e sarà responsabile di almeno 4,6 milioni di ricoveri ospedalieri, per un costo di circa 62 miliardi di dollari.

È molto difficile spingere il sistema sanitario a ridurre il numero di farmaci prescritti, spiega Reeve. I pazienti, però, sembrano disposti a provarci: secondo un sondaggio condotto nel 2018 dal suo gruppo di ricerca, il 92 per cento degli adulti in età avanzata negli Stati Uniti è favorevole a sospendere l’assunzione di uno o più medicinali su indicazione del proprio medico.

Il problema è che molti medici non hanno le competenze necessarie per avviare un processo di questo tipo. Esistono diverse linee guida, sia generali sia specifiche, sulla deprescrizione. E ci sono siti, come MedSafer, che aiutano i medici e i farmacisti a gestirla. Ma pochi di questi strumenti si sono rivelati efficaci nella pratica clinica.

“Non è una cosa che si fa con un appuntamento di dieci o quindici minuti”, afferma Reeve, che sta cercando di sviluppare delle linee guida applicabili a livello internazionale. Bisogna identificare il farmaco potenzialmente non necessario o pericoloso, il medico e il paziente devono essere d’accordo sulla deprescrizione e poi, nella maggior parte dei casi, si procede con un graduale abbassamento del dosaggio, mentre il paziente è tenuto sotto osservazione.

Italia
Eliminare il superfluo

◆ La polifarmacia, l’eccessiva assunzione di farmaci, è un problema nella maggior parte del mondo occidentale, anche in Italia: nel paese circa il 30 per cento degli anziani tra i 75 e gli 85 anni prende regolarmente cinque o più medicine al giorno, e l’11 per cento assume dieci o più farmaci. La tendenza potrebbe aggravarsi nei prossimi anni, visto che l’età media della popolazione è destinata ad aumentare. Le persone che hanno più di 65 anni, il 20 per cento della popolazione attuale, raggiungeranno il 33 per cento nel 2051. Aumenteranno anche gli anziani che hanno più di 85 anni, passando dal 2,3 per cento al 7,8 per cento. Di conseguenza cresceranno anche la multimorbilità, cioè la presenza di due o più patologie nello stesso individuo, e la politerapia, cioè la prescrizione di più farmaci da parte del medico. Per questo anche in Italia si comincia a parlare di deprescrizione, il tentativo di eliminare farmaci non necessari per evitare effetti collaterali rischiosi. All’inizio del 2019 un gruppo di medici della Asl di Torre Pellice, in Piemonte, ha lanciato un progetto di deprescrizione e riconciliazione terapeutica (Dert). L’obiettivo è valutare le terapie dei pazienti con più di 65 anni che assumono almeno cinque farmaci al giorno, eliminare gradualmente quelli non necessari ed elaborare una nuova terapia che non si concentri sulle singole patologie ma tenga conto della storia clinica del paziente, del suo stile di vita, del contesto familiare e sociale.
Quotidiano Sanità


Le linee guida della Scozia sulla polifarmacia, elaborate da una squadra di esperti di farmaci e di salute pubblica, e pubblicate nel 2012, mirano a colmare questa mancanza di risorse e ad aiutare il personale sanitario nel processo di prescrizione e deprescrizione.

La tecnica dei “7 passi” incoraggia i medici a fare una revisione attenta della diagnosi e della terapia di ogni paziente, a identificare potenziali reazioni avverse ai farmaci e ad assicurarsi che il paziente sia coinvolto nel processo decisionale.

Secondo i dati raccolti dalle istituzioni sanitarie scozzesi, dal 2012 al 2018 c’è stata una notevole riduzione del numero di combinazioni ad alto rischio di farmaci prescritti a pazienti adulti in età avanzata. Tra queste combinazioni ce n’è una particolarmente pericolosa: quella tra gli antinfiammatori non steroidei come l’aspirina, gli antagonisti del recettore per l’angiotensina II, contro la pressione alta, e i diuretici, che aiutano il corpo a smaltire il sale e l’acqua in eccesso attraverso l’urina. Questo miscuglio, noto in gergo come triple whammy (colpo triplo), può causare insufficienza renale o cardiaca, specialmente nei pazienti più anziani con malattie al fegato pregresse.

Più in generale, nell’arco dei sei anni l’adozione delle linee guida ha portato alla deprescrizione di più di 120mila medicinali non necessari all’anno.

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Il mondo invecchia
Percentuale della popolazione con più di sessant’anni. (Fonte: Nazioni Unite)

Ora si tratta di capire se i sistemi sanitari degli altri paesi saranno in grado di adottare indicazioni simili. “È certamente possibile, ma ci vorrà del tempo”, dice Dreischulte. Questi cambiamenti, spiega, saranno più facili da introdurre in paesi che hanno sistemi sanitari centralizzati, come il Regno Unito, dove il National
health service (Nhs) è finanziato con risorse pubbliche e il governo gestisce ospedali e medici. Per questi motivi, l’Nhs è “molto più efficace nel formare il personale sanitario sui princìpi della medicina basata sull’evidenza”.

Diversa la situazione negli Stati Uniti, dove c’è un sistema sanitario molto frammentato. Secondo i dati aggiornati al 2019, il 68,5 per cento della popolazione statunitense aveva un’assicurazione sanitaria privata, quasi il 43 per cento aveva una copertura pubblica – con Medicare o Medicaid – e poco più del 9 per cento non era assicurato (alcuni statunitensi hanno più di una copertura sanitaria).

Percorso lungo

Nonostante questo, anche negli Stati Uniti si sta cercando di affrontare il problema della polifarmacia. Nel 2017 è nato il programma Age-friendly health systems, una rete di ospedali e strutture sanitarie che aderiscono alle 4Ms, le linee guida su come assicurare cure affidabili agli anziani, tenendo conto delle loro priorità nella vita e di altri aspetti come la mobilità, le terapie in corso, la lucidità mentale e le capacità cognitive. Il personale sanitario deve verificare sempre se un farmaco è necessario, evitando la prescrizione di medicinali ad alto rischio, modificando in caso le dosi e deprescrivendo se ce ne fosse la necessità.

Alla fine del 2020 più di 1.950 organizzazioni sanitarie nazionali avevano aderito al programma. Nelle strutture che hanno adottato quelle linee guida è stato riscontrato un minor numero di nuovi ricoveri, decessi e casi di delirio, oltre a costi minori. L’obiettivo è raggiungere un totale di 2.600 organizzazioni entro giugno del 2023.

Un altro possibile sviluppo negli Stati Uniti è che alcuni sistemi sanitari privati – che comprendono ospedali, farmacie e medici – potrebbero adottare strategie di deprescrizione. Justin Turner, ricercatore dell’università di Montréal, in Canada, fa l’esempio di uno studio sulle farmacie nella zona di Montréal, da cui risulta che dare un volantino sui vantaggi e svantaggi dei farmaci ai pazienti anziani che assumono regolarmente benzodiazepine come il Valium e lo Xanax (due dei farmaci prescritti più spesso senza una motivazione reale) è un modo efficace di contrastare l’abuso di medicine. Il 27 per cento dei pazienti che hanno ricevuto il volantino ha smesso di prendere benzodiazepine nell’arco di sei mesi; tra quelli che non l’hanno ricevuto, la percentuale è appena del 5 per cento.

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Il peso dei farmaci
Com’è cambiata l’assunzione di farmaci negli Stati Uniti tra il 1994 e il 2014, percentuale (Fonte: Lown Institute)

Le farmacie che negli Stati Uniti sono legate a un sistema di assicurazione sanitaria potrebbero fare lo stesso. Turner sta lavorando con un gruppo di ricercatori dell’università dello stato di Washington, che hanno avviato una sperimentazione in collaborazione con l’organizzazione non profit Kaiser Permanente: lo scopo è ridurre le cadute tra gli adulti in età avanzata, deprescrivendo i farmaci non necessari e ad alto rischio.

Turner sta anche collaborando con i ricercatori dell’ospedale per veterani di guerra di Filadelfia a un progetto che punta a informare i cittadini per ridurre l’uso di medicinali rischiosi.

Interazioni sociali

Gli studi dicono che queste iniziative potrebbero diffondersi negli Stati Uniti. Nel 2019 è stato fondato lo U.S. deprescribing research network, una rete di farmacisti, medici e scienziati. Il gruppo è finanziato dal National institute on aging e mette a disposizione una serie di risorse, tra cui finanziamenti a fondo perduto per chi sviluppa e diffonde ricerche sulla deprescrizione tra gli adulti in età avanzata. “Credo che il vento stia cambiando”, afferma Turner.

Ma nel frattempo molti anziani che prendono tanti farmaci si ritrovano con il fardello aggiuntivo di dover provare a cambiare la situazione. Oppure devono fare affidamento sui loro familiari e sui loro cari per farsi deprescrivere i farmaci.

A febbraio del 2021 Carol aveva un problema di sonnolenza, probabilmente dovuto al carbidopa/levodopa che prende per il parkinson. Il medico le ha prescritto l’Adderall, un’anfetamina.

Allarmata, Elizabeth l’ha contattato. “Prescrivere altre pillole non l’aiuterà”, ha scritto. “Mia madre ha bisogno di assistenza, di fare esercizio, di interazioni sociali come le videochiamate con il suo gruppo della chiesa”.

Il medico ha risposto subito e ora mia nonna non prende più l’Adderall, per la soddisfazione di mia madre. Elizabeth sta facendo il possibile per aiutare Carol a prendere le pillole per il parkinson agli orari stabiliti – anche con una medicina sola è difficile – e ha notato un grande cambiamento da quando il programma è rispettato. Ora mia nonna fa anche delle passeggiate regolari di tre chilometri.

“Ha già difficoltà a prendere una medicina quattro volte al giorno. Non può gestirne altre”, dice mia madre. “Quando le danno un nuovo farmaco dimentica quello per il parkinson e finisce di nuovo all’ospedale”. ◆ fs

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Questo articolo è uscito sul numero 1430 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati