Tra le tante crisi esplose in giro per il mondo, si fa riferimento alla tragedia della fame solo di sfuggita. Secondo il nuovo rapporto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), intitolato “Stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo 2023”, nel 2021 circa il 42 per cento della popolazione mondiale – più di 3,1 miliardi di persone – non ha potuto permettersi una dieta sana.

A livello mondiale l’insicurezza alimentare è inoltre ancora molto al di sopra dei livelli precedenti alla pandemia: nel 2022 ha riguardato circa 122 milioni di persone in più rispetto al 2019, e il dato è in aumento in tutta l’Africa, l’Asia occidentale e i Caraibi, in parte a causa del rialzo dei prezzi.

Se si considerano i singoli paesi è possibile osservare uno schema preoccupante: gli stati in cui l’insicurezza alimentare è peggiorata sono anche quelli travolti dalla crisi del debito e tra i più danneggiati dal cambiamento climatico.

Oggi c’è una crescente consapevolezza della concentrazione di potere nel settore agroalimentare e della capacità dei colossi del settore di influenzare i prezzi. Entrambi i fattori sono stati approfonditi in dettaglio nel rapporto del 2023 della Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo, secondo cui “durante i periodi di maggiore volatilità dei prezzi, alcune grandi società nel settore alimentare registrano profitti amplificati”.

La forte impennata dei prezzi (in particolare del grano) cominciata alla fine del 2021, mentre si preparava la guerra in Ucraina, ha raggiunto il picco nel maggio del 2022, per poi calare altrettanto rapidamente. Nell’agosto di quest’anno, per esempio, i prezzi del grano erano ben al di sotto dei livelli dell’agosto 2021. In molti paesi però i prezzi dei prodotti alimentari sono rimasti alti o hanno continuato a crescere, anche se a livello globale stavano scendendo.

Non è una novità. Qualcosa di simile era già successo sulla scia della crisi alimentare del 2007-2008, quando i prezzi in molti stati a basso e medio reddito salivano anche dopo il calo significativo a livello globale.

La Fao ha individuato dieci paesi in cui nel terzo trimestre di quest’anno i prezzi dei generi alimentari sono aumentati ben oltre le tendenze globali

Il problema può essere ricondotto in larga misura alla capacità d’importare generi alimentari. Dallo scorso anno una serie di shock a cascata sta colpendo diversi paesi importatori: la fine della moratoria sul rimborso dei debiti sovrani, cioè quello che ogni paese ha con chi possiede i suoi titoli di stato; il passaggio a politiche monetarie più restrittive e a tassi d’interesse più alti nelle economie avanzate, che ha portato alla fuga di capitali dalle economie in via di sviluppo; l’aumento dei prezzi dell’energia.

La Fao ha individuato dieci paesi in cui, nel terzo trimestre di quest’anno, i prezzi dei generi alimentari sono aumentati ben oltre le tendenze globali: Argentina, Ecuador, Ghana, Malawi, Birmania, Pakistan, Sud Sudan, Sudan, Zambia e Zimbabwe. Tutti hanno gravi problemi con il debito pubblico e una forte carenza di valuta estera.

Con l’esclusione dell’Ecuador (che ha un’economia dollarizzata), dall’inizio dello scorso anno questi stati hanno anche subìto pesanti svalutazioni monetarie, che vanno dal 24 per cento dello Zambia all’abnorme 344 per cento dell’Argentina. La cattiva gestione economica c’entra solo in parte. A incidere di più sono le forti oscillazioni dei flussi di capitale con l’estero, dovute alle politiche macroeconomiche messe in campo dalle principali economie mondiali.

Tutto questo vuol dire che il tentativo di controllare l’attività finanziaria nei mercati globali dei beni di prima necessità, pur essendo necessario, non basta per combattere la fame. I responsabili politici dovranno pensare ad altri strumenti per stabilizzare i prezzi, da politiche agrarie nazionali a regimi commerciali internazionali che – suolo e clima permettendo – assicurino l’autosufficienza nei prodotti alimentari di base.

Costruire riserve cuscinetto di cereali per sostenere l’approvvigionamento locale è ancora una volta cruciale. Altrettanto essenziale sarà la protezione sociale per prevenire l’insicurezza alimentare. Ciò significa che i governi dovranno concentrarsi maggiormente sugli investimenti pubblici, incentivando allo stesso tempo il settore privato a investire nelle coltivazioni sostenibili dei piccoli agricoltori.

Per contrastare la fame nel mondo occorre che chi governa comprenda e affronti le cause alla radice. Regolamentare l’attività finanziaria nei mercati volatili dei beni di prima necessità è solo uno dei cambiamenti istituzionali necessari. Per resistere alle fluttuazioni dei prezzi sarà necessario anche aiutare i paesi e le regioni a costituire riserve di prodotti alimentari essenziali. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1536 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati