Nonostante gli indicatori favorevoli, è troppo presto per dire se negli Stati Uniti l’inflazione sia ora sotto controllo. In ogni caso, la recente crescita dei prezzi ci ha insegnato due cose. La prima è che i modelli standard degli economisti sono inutili, soprattutto quello dominante, basato sul presupposto che l’economia sia sempre in equilibrio. La seconda è che chi sosteneva che ci sarebbero voluti cinque anni di dolore per fermare l’inflazione è già stato smentito. L’inflazione è diminuita drasticamente e l’indice dei prezzi al consumo, aggiornato periodicamente, a dicembre del 2022 segnava un solo punto percentuale in più rispetto a giugno. Ci sono prove del fatto che l’inflazione fosse dovuta ai contraccolpi nell’offerta e ai cambiamenti nell’andamento della domanda dovuti alla pandemia, non a una domanda aggregata in eccesso né a una domanda supplementare determinata dalla spesa pubblica durante la pandemia. Chiunque avesse fiducia nell’economia di mercato sapeva che alla fine i problemi legati alle forniture si sarebbero risolti, ma nessuno poteva sapere quando sarebbe successo.

Dopotutto non abbiamo mai vissuto un arresto dell’economia dovuto a una pandemia, seguito da una rapida riapertura. Ecco perché i modelli basati sulle esperienze del passato erano inutili. Nonostante questo, potevamo prevedere che l’eliminazione dei colli di bottiglia dal lato dell’offerta avrebbe ridotto l’inflazione, anche se non era detto che l’avrebbe contrastata, data la tendenza dei mercati ad adeguarsi più velocemente a un aumento dei prezzi che al suo contrario.

I pericoli legati a un aumento dei tassi d’interesse sono chiari: un’economia globale fragile potrebbe essere spinta verso la recessione, provocando altre crisi del debito

I politici continuano a stare in equilibrio tra il rischio di fare troppo poco e quello di fare troppo. I pericoli legati a un aumento dei tassi d’interesse sono chiari. Un’economia globale fragile potrebbe essere spinta verso la recessione, provocando altre crisi del debito nel momento in cui le economie emergenti o quelle sviluppate ma indebitate dovranno far fronte alle difficoltà provocate da tre cose: un dollaro forte, una diminuzione delle entrate provenienti dalle esportazioni e dei tassi d’interesse più alti. Sarebbe una farsa.

Gli Stati Uniti, scegliendo di non condividere i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini contro il covid-19, hanno lasciato che molte persone morissero, e poi hanno adottato una politica che farà affondare le economie più vulnerabili del mondo. Di sicuro non è una strategia vincente per un paese che ha lanciato una nuova guerra fredda contro la Cina.

La cosa peggiore è che non si capisce nemmeno se questa strategia abbia anche un lato positivo. Di fatto aumentare i tassi d’interesse potrebbe provocare più danni che altro, rendendo più costoso per le aziende investire in soluzioni per superare le attuali difficoltà nella domanda. L’irrigidimento della politica monetaria della Federal reserve, la banca centrale statunitense, ha già ridimensionato l’edilizia, nonostante il fatto che un aumento dell’offerta servirebbe per arginare una delle principali cause dell’inflazione: il costo delle case.

Certo, una profonda recessione frenerebbe l’inflazione. Ma perché provocarla? Il presidente della banca centrale statunitense Jerome Powell e i suoi colleghi sembrano tifare contro l’economia. Nel frattempo i loro amici nel settore degli istituti di credito si stanno arricchendo a più non posso, ora che la Federal reserve paga il 4,4 per cento d’interessi su più di tremila miliardi di riserve bancarie. Per giustificare tutto questo la Federal reserve punta il dito contro i soliti spauracchi: inflazione, aspettative e spirale prezzi-salari. Ma dove sono queste minacce? Non solo l’inflazione si sta abbassando, ma i salari stanno aumentando più lentamente rispetto ai prezzi (quindi non c’è alcuna spirale) e le aspettative sull’inflazione restano sotto controllo.

Alcuni temono anche che non torneremo abbastanza velocemente al traguardo di un tasso d’inflazione del 2 per cento. Ma ricordiamoci che quel numero è stato tirato fuori dal nulla. Non ha alcun significato economico e non ci sono prove che sarebbe costoso per l’economia se l’inflazione dovesse variare tra il 2 e il 4 per cento. Al contrario, tenuto conto della necessità di cambiamenti strutturali nell’economia e della resistenza dei prezzi a scendere, sarebbe meglio porsi un traguardo leggermente più alto in termini d’inflazione.

È vero, è troppo presto per dire quando di preciso l’inflazione sarà sotto controllo. E nuove crisi potrebbero colpirci. Scommetto però sul fatto che il problema è temporaneo. Chi sostiene che l’inflazione si risolverà da sola, e che il processo potrebbe essere accelerato da politiche per allentare i vincoli nell’offerta, ha comunque prove più solide rispetto a chi chiede misure che avrebbero dei costi alti e benefici dubbi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1497 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati