Sono le undici di un sabato mattina e il sole riscalda le rive del lago Conroe, dove la donna che un tempo era conosciuta come la first lady di Huntsville, in Texas, è in piedi nella sua cucina e sta mescolando in un bicchiere tequila e Crystal Light. “È roba forte. Ma gli ultimi due mesi sono stati un cazzo di incubo”, dice Melinda Brewer mentre allunga la mano per prendere un pacchetto di sigarette al mentolo dal piano di granito. È una donna di bassa statura, con l’eyeliner permanente, i capelli biondi e una corporatura robusta. E sembra sempre che stia per darti un pugno. Dopo averti colpito, probabilmente ti insulterebbe con il suo accento del Texas orientale, spargendo oscenità nei punti più imprevedibili delle frasi. O magari si limiterebbe ad allontanarsi con aria indifferente.

Brewer va sempre di fretta, attraversa la vita come una donna in fuga. Tranne quando si parla di Huntsville. In quel caso il suo corpo rallenta e lo sguardo si assottiglia. Si ferma per ricordare. Per lei era la città dei sogni. La sua città. Ne conosceva tutti i pub e i ristoranti economici, tutti i baristi, tutti i pettegolezzi, tutte le scorciatoie tra le strutture cadenti che l’avevano portata fino a lì: le prigioni statali.

Per la maggior parte delle persone le carceri sono luoghi di perdita e dolore, ma per Brewer hanno rappresentato un’occasione per ricominciare, per rifarsi una vita lontano dall’ombra di una famiglia che aveva sempre avuto guai con la legge.

A Huntsville ci sono sette strutture carcerarie, più altre due nelle vicinanze. Intorno al centro abitato si estendono ettari di fattorie e fabbriche malandate tenute in attività grazie al lavoro dei detenuti e una rete di uffici amministrativi che forma il centro nevralgico del più grande sistema carcerario statale degli Stati Uniti. La città ospita anche un museo delle prigioni, un importante college di diritto penale e criminologia e un vecchio edificio dove c’è la stanza per le esecuzioni. Sull’altro lato della strada rispetto a quel palazzo c’è una casa a due piani di mattoni e assi di legno verniciate di bianco, di proprietà dello stato. Per tradizione quella casa ospita il direttore regionale del sistema carcerario e la moglie, e per un po’ questo è stato il ruolo di Melinda Brewer: erano l’aristocrazia di Huntsville.

La torre di guardia del penitenziario di stato di Huntsville, in Texas, novembre 2021 (Bryan Schutmaat)

Una persona che vive in città mi ha spiegato che Huntsville è una specie di incrocio tra Il trono di spade e un grande magazzino Walmart. Gli alti funzionari del sistema carcerario guadagnano bene e soprattutto hanno molto potere, mentre intorno a loro gravita un mondo di povertà e drammi tipici dei piccoli centri di provincia. Nell’estate del 2019 uno di questi drammi è esploso a causa di un chiosco per la vendita di cibo di strada, innescando una faida familiare che ha provocato la caduta di Brewer, trascinata ancora una volta verso una realtà da cui aveva cercato di fuggire.

Quella storia ha messo in evidenza lo stato delle prigioni statunitensi e le difficoltà di chi le gestisce. Lavorare nel sistema carcerario non è necessariamente un modo per realizzare un innato desiderio di rinchiudere e maltrattare altri esseri umani. Al contrario, è semplicemente un’opportunità (forse l’unica) per sottrarsi a una vita di stenti e avere un lavoro fisso, con un salario da classe media anche in posti dove l’unica alternativa è lavorare nei grandi magazzini Walmart o in un bar. Il problema è che c’è sempre un prezzo da pagare, sia per chi accetta questi incarichi sia per chi vive intorno alle prigioni. Nel mondo dei penitenziari statunitensi non si salva nessuno.

Ho conosciuto Melinda Brewer quella tarda mattinata di settembre. Dopo aver preparato il suo cocktail in cucina, ha acceso una sigaretta, si è seduta e mi ha raccontato la sua storia. Tutto era cominciato in primavera, poco dopo che lei e il marito Wayne, il direttore regionale del sistema penitenziario, avevano parcheggiato il loro furgoncino rosso davanti al tribunale della contea di Walker, a pochi isolati dalla più vecchia prigione dello stato. I Brewer si erano procurati alcune panche di legno e dei cartelli rossi su cui avevano scritto il menù per le guardie carcerare e per i passanti: tacos e pesce fritto. Avevano fatto disegnare un logo – un pesce gatto con gli occhiali da sole di Wayne che sorrideva a un gambero sexy con l’eyeliner scuro di Melinda – e trovato un nome per la loro attività: Chasin’ Tail.

I Brewer trascorrevano buona parte della giornata lavorando per il sistema carcerario, quindi avevano bisogno di collaboratori che si occupassero del furgoncino. Wayne aveva proposto a Melinda di assumere sua madre, Kathy Lindley. A Melinda non sembrava una buona idea: il loro rapporto era sempre stato complicato, per usare un eufemismo. Poi però aveva pensato che mettere la madre a lavorare come cuoca poteva essere un buon modo per fare pace. Nel giro di poche settimane, però, l’ostilità reciproca aveva raggiunto il punto di non ritorno, esplodendo la mattina di Pasqua in una battaglia di insulti a casa di Kathy, un
ranch verniciato di giallo sulla sponda del fiume Trinity.

Il paesaggio cambia

Quel giorno era in programma una riunione di famiglia, ma secondo Kathy la figlia si era presentata avanzando richieste irragionevoli, come se potesse controllarla sfruttando il fatto che le dava un salario da fame. “Mi disse che un mio amico non poteva stare in casa mia!”, mi ha riferito Kathy al telefono, in preda alla collera. “Le ho detto: ‘Non sei tu a pagare il mutuo’. Lei mi ha risposto che avrebbe fatto in modo che non avessi mai una casa”. Melinda dice di non aver mai fatto quella minaccia, e sostiene che l’amico in questione era in realtà un suprematista bianco in attesa di essere rilasciato da una prigione federale. Inoltre Kathy era diventata amica di un uomo appena uscito da un carcere statale. In quanto dipendente del sistema carcerario, Melinda sapeva che l’agenzia aveva regole molto rigide sui rapporti con i detenuti e gli ex detenuti, e aveva paura che la vita sociale della madre potesse farle perdere il lavoro. Quando aveva riferito a Kathy le sue preoccupazioni, la discussione era sfociata in una gara d’insulti, fino a quando Melinda aveva lanciato una tazza in camera da letto, facendo schizzare il contenuto – tè freddo secondo Melinda, vodka secondo Kathy – sui mobili.

A questo punto la storia si sdoppia, a seconda di chi la racconta: Kathy si era licenziata o era stata licenziata da Melinda, che in ogni caso era andata via dal ranch urlando “Buona Pasqua!”.

L’ingresso del museo della prigione di Huntsville (Bryan Schutmaat)

Quando ti avvicini a Huntsville è difficile non accorgersi del peso del sistema carcerario. Proseguendo verso nord da Houston, il traffico sull’autostrada I-45 si trasforma un po’ alla volta. Le automobili diminuiscono, aumentano i furgoni e gli autotreni. La sequenza di pacchiani centri commerciali lascia il posto alle stazioni di servizio abbandonate e a distese di pini. Per un attimo si ha l’impressione di avvicinarsi a un punto vuoto nel cuore rosso sangue del Texas. Ma subito dopo, all’orizzonte, appare il bianco della statua di Sam Houston, ex governatore dello stato: un’inquietante scultura di marmo alta venti metri. Benvenuti a Huntsville.

Adagiata sul confine della “cortina di pini” del Texas orientale, Huntsville è stata una città carceraria quasi fin dalla sua nascita. Appena tre anni dopo il riconoscimento ufficiale dello statuto cittadino, nel 1845, il governo statale la scelse come sede del primo penitenziario del Texas, una struttura di mattoni rossi costruita in parte dai detenuti. Meno di un anno dopo l’inaugurazione, il carcere finì al centro di un primo scandalo, un caso di frodi negli appalti che portò un’indagine statale.

Nel frattempo i detenuti avevano contribuito a costruire il centro della città, lavorando (senza retribuzione) come muratori e carpentieri. Poi arrivarono le scuole, le chiese e l’università. E lo stato cominciò a costruire altre prigioni. Oggi a Huntsville vivono 46mila persone, comprese quelle che sono dietro le sbarre. A quanto pare ogni singolo abitante conosce qualcuno che ha lavorato per il dipartimento di giustizia penale del Texas o è stato rinchiuso in una delle sue celle.

L’interno del museo. Novembre 2021 (Bryan Schutmaat)

Fuga da Trinity

Chiunque a Huntsville vi dirà che vivere in una città carceraria comporta una serie di effetti collaterali. Alcuni sono secondari: gli abitanti della città, per esempio, sanno che è meglio non andare in un magazzino Walmart il primo giorno del mese, quando è pieno di dipendenti del sistema carcerario che hanno appena ricevuto lo stipendio. Inoltre i residenti hanno imparato a ignorare le decine di cartelli stradali che indirizzano i visitatori verso i penitenziari e gli uffici amministrativi, e a evitare le videocamere che vengono a riprendere la “città carceraria d’America”.

Altri problemi sono più fastidiosi. L’enorme quantità di terreni statali riduce la quantità di proprietà tassabili nello stato. Buona parte dei lavori che si possono fare per il sistema carcerario comportano salari abbastanza bassi: il salario iniziale per un secondino supera a mala pena i 36mila dollari all’anno (il salario medio nello stato è di circa sessantamila dollari). Quasi un terzo dei residenti vive in condizioni di povertà, contro una media statale del 13,4 per cento. Il reddito medio di una famiglia è la metà rispetto alla media complessiva del Texas. Quasi due terzi degli studenti di Huntsville hanno diritto alla mensa gratuita.

Poche settimane dopo la nostra prima intervista, Melinda mi ha fatto fare un giro in macchina di Huntsville. Ho visto il cimitero della prigione, la fabbrica che produce i tessuti per le uniformi carcerarie e il fast food con menù a tema carcerario, con piatti che hanno nomi come “Warde burger” (Hamburger del direttore) e “Old sparky” (nomignolo della sedia elettrica). Mentre mi mostrava il meglio e il peggio della città, Melinda non ha mai smesso di raccontarmi tutti i pettegolezzi locali, dal triangolo amoroso di un direttore al licenziamento di un dirigente fino ai sospetti di furto che aleggiavano su un dipendente.

Melinda è cresciuta con i nonni paterni. Avevano un alimentari che in realtà era una copertura per un’attività di scommesse illegali

Molto prima di diventare la first lady di Huntsville, Melinda era una ragazzina cresciuta a Trinity, una cittadina che negli anni ha perso molti dei suoi abitanti. Situata a meno di due chilometri di distanza da un fiume conosciuto soprattutto per l’inquinamento e abitata da appena 2.700 persone, un tempo Trinity ospitava un teatro dell’opera, alcune segherie e una linea ferroviaria che la collegava a Houston, 130 chilometri a sud. Oggi i treni passeggeri non si fermano più, ma Trinity conserva ancora le vestigia della sua vita passata, con la strada principale contornata da edifici che sembrano presi dai modellini dei trenini elettrici.

Alcol sotto il letto

Uno dei primi ricordi di Melinda a Trinity risale al terzo anno delle elementari, quando un giorno si arrampicò sull’albero più alto davanti alla casa dei nonni, un edificio basso con il tetto di tegole marroni. Appollaiata sui rami della quercia, restò a osservare mentre un’auto della polizia portava via il padre, ammanettato sul sedile posteriore. Fu il giorno in cui capì che la sua famiglia aveva problemi con la legge. Quando lo ha rivisto, il padre era ormai una figura smagrita dietro il vetro rinforzato della sala visite di una prigione poco lontana da Huntsville, dove stava scontando una condanna a tre anni per traffico di marijuana.

Huntsville si trova nella contea che confina con Trinity, ma a Melinda era sempre sembrata una metropoli. C’erano un supermercato Kmart, un cinema e una pista di pattinaggio. Rispetto a Trinity, dove c’erano solo due semafori, Hunts­ville era caotica. “Se volevi la vita andavi lì”. Inoltre, con tutte quelle prigioni sembrava un posto sicuro. Quando Melinda era giovane suo padre aveva molti problemi con la droga ed era spesso in prigione, come suo cugino e un paio di fratellastri. A volte un parente si presentava in casa “fatto” e tirava fuori una pistola carica o minacciava di darle un pugno. Di solito suo padre non era presente per fermare l’aggressore, perché quando non era in prigione viveva in una roulotte parcheggiata poco lontano dalla casa dove stava sua figlia.

La madre, Kathy, non aveva precedenti penali ma era altrettanto assente, anche perché aveva solo dodici anni quando era rimasta incinta di Melinda. Nessuno degli adulti che la conosceva aveva pensato che si fosse trattato di uno stupro, quindi nessuno aveva denunciato il ragazzo che l’aveva messa incinta. Al contrario, avevano convinto Kathy a sposarlo anche se aveva sette anni più di lei. “Ho avuto una figlia prima di avere una bambola Barbie”, racconta Kathy. “Ma non ho retto. Sono andata via prima di compiere 14 anni”.

Melinda è cresciuta con i nonni paterni, che avevano un negozio di alimentari a pochi metri da casa, sulla strada principale di Trinity. Il negozio in realtà era una copertura per un’attività di scommesse e contrabbando gestita dal nonno. Appena fu abbastanza grande, Melinda cominciò a dare una mano: apriva la porta ai clienti che si presentavano di notte e prelevava l’alcol da una cassa di legno nascosta nella sua camera da letto. A volte accettava merce rubata in cambio delle bottiglie.

Quando Melinda aveva 12 anni la madre riapparve improvvisamente. Dopo anni di vita sregolata in sella alle Harley-Davidson, era pronta a mettere la testa a posto. Aveva trovato un lavoro stabile come guardia carceraria a Navasota, a un’ora di distanza da Trinity. Lavorò lì per qualche anno, poi sposò un capitano dell’esercito e si trasferì nelle case popolari davanti al penitenziario. Nei fine settimana Melinda andava a trovarla, e la seguiva alle feste e nei bar. Più che una madre, Kathy era un’amica più grande e più popolare. “Ogni volta che sono finita nei guai ero con lei”, ricorda Melinda.

La vetrina di un negozio nel centro di Huntsville (Bryan Schutmaat)

Dopo la morte del nonno, Melinda frequentò la scuola per estetisti e cominciò a lavorare in un salone di bellezza nella proprietà dei nonni. Poi sposò un uomo che lavorava nel settore del petrolio e del gas. Ebbero una figlia e comprarono una casa con un ettaro di terreno. “Vivevamo il sogno di Trinity”, racconta. Ma Melinda sapeva che non le bastava. Voleva una nuova vita e la voleva a Huntsville.

Lavori preziosi

Quando si chiede agli abitanti di Huntsville di descrivere i momenti cruciali della loro memoria collettiva, i fatti che tutti ricordano anche a decenni di distanza sono legati alle carceri: la crisi degli ostaggi del 1974, l’esecuzione di Gary Graham, la fuga di un detenuto dal braccio della morte nel 1988, l’omicidio della guardia carceraria Susan Canfield nel 2007. Eppure pochi di loro considerano Huntsville una città carceraria. Dicono che il posto ha molto altro da offrire, oltre alle prigioni. Joseph Brown, fino a poco tempo fa direttore del quotidiano Huntsville Item, lo ha scoperto poco dopo il suo arrivo, nel 2018. Quasi subito ha smesso di fare caso alle enormi strutture carcerarie sul ciglio della strada e ha cominciato a notare le impronte sempre più chiare della Sam Houston state uni­versity. “Huntsville è una città universitaria più che una città carceraria”, dice. “La nostra caratteristica più evidente non sono i penitenziari, ma gli appartamenti che vengono costruiti per ospitare gli studenti”.

Come tutto il resto, a Hunts­ville anche il giornale locale è legato al sistema carcerario. L’Item stampa l’Echo, una rivista curata dai detenuti e spedita a tutte le prigioni del posto dieci volte all’anno. Secondo il predecessore di Brown, Cody Stark, Huntsville non vuole essere considerata una città carceraria e i residenti non apprezzano la notorietà associata con la presenza della camera per le esecuzioni più usata del paese. Tra l’altro il penitenziario dove vive la maggior parte dei condannati si trova a un’ora di distanza dal centro abitato. “Il braccio della morte è a Livingston, ma nessuno lo sa”, sottolinea Stark. “Quando dici ‘vengo da Huntsville, in Texas’, la gente ti chiede: ‘Quanti ne ammazzano ogni anno?’. È una cattiva pubblicità che vorremmo evitare”. D’altra parte, ogni volta che i politici hanno valutato l’idea di spostare il dipartimento per la giustizia penale ad Austin, la capitale del Texas, gli abitanti di Huntsville si sono opposti. Non vogliono perdere il posto di lavoro.

Il museo della prigione. Novembre 2021 (Bryan Schutmaat)

Quando Melinda aveva 25 anni la nonna morì lasciandole una piccola eredità. “I soldi venivano soprattutto da affari illegali”, ammette. In ogni caso, dopo aver prelevato tutti i soldi dalla banca capì che non aveva più nessun motivo per stare a Trinity. Finalmente poteva cercare un lavoro da qualche altra parte, e in quel momento il sistema carcerario texano stava assumendo nuovi dipendenti. Cominciò a lavorare nei penitenziari nel 1998, come impiegata della Estelle unit di Hunts­ville, dove si occupava dell’assegnazione delle celle. Per la prima volta aveva l’impressione che il suo lavoro fosse importante. Ma in quello stesso periodo cominciò ad allontanarsi dal marito, fino a quando non incontrò il sergente Wayne Brewer, che rimase stregato dalla sua vivacità.

Con i suoi occhi azzurri rassicuranti e la sua risata sempre pronta, Wayne diventò una forza trwanquillizzante nel caos di Melinda. Andarono a vivere insieme e in pochi anni scalarono le gerarchie del sistema carcerario. A volte vivevano insieme nelle prigioni dove Wayne lavorava, altre volte restavano separati quando Wayne veniva assegnato a istituti sparsi per il Texas orientale. “Era un po’ come fare parte di una setta”, ricorda Melinda. “Dovevi essere pronto a trasferiti in tutto lo stato e mettere l’agenzia al di sopra della famiglia”.

I Brewer furono ripagati dei loro sacrifici quando Wayne fu nominato direttore regionale dell’area di Huntsville, nel 1998. Era uno degli incarichi più prestigiosi in città, con un salario annuale a sei cifre, una rarità in quella zona del Texas. Melinda ricorda il momento esatto in cui ricevette la notizia. Un alto funzionario dell’agenzia la chiamò e le disse: “Da oggi sei la first lady di Huntsville”. A quel punto anche Melinda aveva fatto carriera e gestiva le attività di manutenzione e costruzione in più di cento penitenziari dello stato. Lavorava in un ufficio di Hunts­ville che in precedenza aveva ospitato un punto vendita di Sears in un centro commerciale, prima che la maggior parte degli spazi fosse occupata dal sistema carcerario. Melinda e Wayne si trasferirono nella casa di mattoni e assi di legno bianche di fronte al penitenziario, conosciuta come the walls, i muri. Nel fine settimana si spostavano in una casa sulla riva del lago. Ogni volta che Melinda andava in giro per Huntsville incontrava qualcuno che la riconosceva. Capitava che la polizia stradale la lasciasse andare senza multarla solo perché era la moglie di Wayne Brewer.

Poi è arrivata la pandemia, e all’improvviso i penitenziari sono diventati una minaccia per la salute pubblica

Prove compromettenti

Poi è arrivata la Pasqua del 2019 e quella lite furibonda con la madre. Poche settimane dopo Kathy ha accusato la figlia e il genero di non averla pagata per il suo lavoro da cuoca. Melinda ha risposto che non era vero. È cominciato uno scambio di insulti su Facebook che secondo Kathy si è improvvisamente interrotto quando ha lanciato alla figlia una minaccia precisa: “Ricordati che ho ancora il tuo computer”. Il riferimento era a un computer rotto che quattro anni prima, in un momento in cui madre e figlia vivevano un breve periodo di serenità, Melinda aveva lasciato tra i rifiuti ammassati nel cortile della casa di Kathy a Trinity, in attesa di bruciarli. Secondo Kathy il computer era stato rubato da una struttura penitenziaria e conteneva prove del reato di appropriazione indebita. Melinda dice che il computer era suo ma che aveva detto alla madre di averlo preso al penitenziario per evitare che lo accendesse per curiosare.

Nel frattempo Kathy aveva già parlato con gli agenti che indagavano su eventuali frodi al sistema carcerario. Gli aveva detto, tra le altre cose, che Wayne e Melinda avevano usato la manodopera dei detenuti per costruire il loro chiosco mobile. Quelle soffiate non hanno portato a nulla, ma un’altra informazione, stavolta a proposito di Kathy, si è rivelata molto più interessante per la polizia.

Karen Prest­wood, una dipendente del carcere, aveva raccontato agli investigatori di aver comprato da Kathy cento pillole di anfetamina per cinquecento dollari. Prest­wood aveva conservato la matrice dell’assegno. Lonna Britt, collega di Prestwood e consulente finanziaria, aveva raccontato una storia simile, dicendo di aver comprato la sostanza nel parcheggio della prigione. Aveva consegnato alla polizia copie dei messaggi scambiati con Kathy oltre a 38 pillole che non aveva mai usato.

Gli investigatori non sono riusciti a cogliere Kathy in flagrante, ma il 26 giugno hanno parcheggiato l’auto fuori della sua casa a Trinity, pronti ad arrestarla. Prima che uscissero dalla macchina però Gary, il marito di Kathy, ha notato il suv parcheggiato accanto alla cassetta delle lettere e si è avvicinato per fare qualche domanda. “Da queste parti ci sono molti furti”, mi ha detto Gary. “Ho pensato che volessero rubare”.

Quando si sono accorti di essere stati visti, gli investigatori si sono allontanati. Ma Gary è salito in macchina, con indosso solo un paio di pantaloncini da basket, e gli è corso dietro per quasi venti chilometri, in un bizzarro inseguimento poliziesco alla rovescia. Quando gli investigatori si sono fermati in un parcheggio, Gary ha accostato. I due agenti, in borghese, sono scesi dall’auto e lo hanno arrestato, non per spaccio di droga ma per possesso illegale di arma da fuoco. Sia Kathy sia Gary hanno dichiarato che l’arma in questione era stata comprata dalla donna poche settimane prima, e Gary l’aveva solo accompagnata. “Gary non tocca un’arma da anni”, mi ha detto Kathy. “Io invece amo le pistole”.

In seguito gli investigatori hanno perquisito la casa di Kathy, sequestrando il suo telefono, rovistando nei rifiuti ammassati in cortile e confiscando tutte le armi chiuse in una stanza blindata, prima di portarla in prigione con l’accusa di aver venduto pillole in un’area scolastica. Il parcheggio del penitenziario, infatti, si trovava a meno di duecento metri da un asilo, un fatto che complicava parecchio la posizione di Kathy. La donna ha detto più volte di non aver venduto droga a Prest­wood e a Britt, entrambe sposate con funzionari del carcere. È convinta che Melinda l’abbia incastrata per vendicarsi della minaccia sul computer. “Cercavo di farmi dare dei soldi da lei”, mi ha spiegato Kathy. “Per questo ha cominciato a fare tutte queste stronzate”. Melinda, naturalmente, nega.

Le indagini non hanno portato prove di reati o attività illegali commessi da Melinda o da Wayne, ma alla fine entrambi hanno perso il lavoro: lui, viste le voci insistenti di un immediato licenziamento, è andato in pensione anticipata; Melinda, che aveva trascorso molti meno anni all’interno dell’agenzia, è stata, per usare il gergo della burocrazia carceraria,“sollevata dall’incarico per via amministrativa”. “Avevo fatto del mio meglio per allontanarmi dalla mia famiglia di criminali”, mi ha detto in seguito Melinda. “Ma alla fine la mia famiglia è riuscita comunque a distruggermi”.

Da sapere
Prigioni piene
Detenuti ogni centomila abitanti, 2021 (fonte: financial times, prison policy initiative)

Per buona parte dei vent’anni in cui la donna ha lavorato nel sistema carcerario, il Texas ha rinchiuso dietro le sbarre più persone di qualsiasi altro stato. A metà degli anni novanta la popolazione carceraria è quasi raddoppiata nel giro di due anni. Nel frattempo sono diminuiti i rilasci in libertà vigilata e sono stati aperti 43 nuovi penitenziari. Nel 2010, all’apice dell’espansione, più di 170mila persone erano detenute nelle strutture carcerarie texane.

Ma da quel momento i politici del Texas, come quelli di molti altri stati, hanno cominciato a rendersi conto che l’incarcerazione di massa è troppo costosa, e hanno introdotto una serie di cambiamenti. La popolazione carceraria si è lentamente ridotta, scendendo al di sotto dei 150mila detenuti nel 2019, l’anno in cui Melinda è stata licenziata. Quello texano era ancora il più grande sistema carcerario del paese dopo quello federale, ma le dimensioni del regno di Huntsville si erano ridotte. Nel frattempo il resto del centro abitato è cresciuto grazie all’espansione dell’università e allo sconfinamento verso nord delle aree residenziali di Houston e Conroe.

Da sapere
Un paese in cella
Variazione del numero dei detenuti con almeno un anno di detenzione nelle carceri federali statunitensi, migliaia (fonte: pew research center)

Poi è arrivata la pandemia, e all’improvviso i penitenziari sono diventati una minaccia per la salute pubblica, sia dei detenuti sia dei residenti delle aree circostanti. A metà del 2020 a Huntsville è esploso un focolaio di covid-19, anche a causa delle centinaia di casi registrati nelle strutture carcerarie. Per fermare il contagio i funzionari hanno interrotto le visite e hanno smesso di accettare nuovi detenuti. Con il netto calo degli arresti e dell’attività dei tribunali, la pandemia è riuscita dove i democratici avevano sempre fallito, innescando un notevole processo di decarcerazione. Nel 2021 la popolazione carceraria del Texas si è ulteriormente ridotta di 25mila persone e lo stato ha chiuso sei strutture (ma nessuna di quelle a Huntsville).

Nuova vita

Alla fine del suo ultimo giorno di lavoro, dopo ventun anni trascorsi all’interno del sistema, Melinda ha avuto la sensazione di lasciarsi alle spalle una parte di sé, e la cosa peggiore era che non sapeva perché fosse andato tutto a rotoli. Jeremy Desel, portavoce del sistema carcerario che in seguito ha lasciato l’agenzia, aveva giustificato la decisione con i dubbi sull’integrità dei Brewer emersi durante il corso di un’indagine interna. “È vietata qualsiasi azione da parte di un dipendente che minacci l’integrità o la sicurezza delle istituzioni del dipartimento per la giustizia penale del Texas, metta in discussione la capacità del dipendente di svolgere efficacemente il proprio lavoro o alimenti dubbi sull’integrità del dipendente”, aveva dichiarato Desel nel 2019, rifiutandosi però di fornire dettagli a proposito delle indagini o delle accuse mosse contro i Brewer.

Perso il lavoro, Melinda e Wayne sono stati costretti a lasciare la casa assegnata al direttore regionale. Hanno cambiato vita circondati da un alone di sospetti. Poche settimane dopo il trasloco hanno venduto il Chasin’ Tail e si sono trasferiti a tempo pieno nella casa sul lago, la stessa dove un sabato di settembre ho incontrato Melinda per la prima volta. Cinque mesi dopo, quando abbiamo cenato insieme nei pressi del lago Conroe, la rabbia che avevo notato nel nostro primo incontro si era trasformata in una specie di lutto. Il cielo di febbraio, squarciato dai fulmini, si è aperto in una pioggia torrenziale mentre Melinda mi raccontava la tristezza dei primi mesi dopo che il suo mondo le era crollato addosso e si era resa conto di non essere più la first lady di Huntsville.

Quando le ho chiesto se le mancava lavorare per il sistema carcerario, ha cominciato a piangere convulsamente. “Ho perso me stessa”, mi ha risposto singhiozzando mentre un cameriere preoccupato continuava a girarci intorno cercando di capire cosa stesse succedendo. Dopo quell’incontro è cominciata la pandemia e per un anno e mezzo non l’ho più vista. Quando ci siamo incontrate di nuovo, in un ristorante messicano sulla riva del lago, mi ha salutato nel parcheggio con un sorriso raggiante e un abbraccio. Stavolta aveva portato anche Wayne. Abbiamo ordinato formaggio e birra. Melinda parlava freneticamente, e quando si infervorava il suo bersaglio erano i vicini fastidiosi e le guardie forestali troppo curiose. Non era più al corrente dei pettegolezzi di Huntsville. Non la interessavano più. Mentre mi raccontava del suo nuovo lavoro – contabile per un elegante golf club – il suo viso era particolarmente luminoso. Finalmente aveva dimenticato il passato e soprattutto aveva lasciato perdere Huntsville.

Wayne interveniva di tanto in tanto, completando le frasi di Melinda, e lei faceva lo stesso quando era lui a parlare. A metà del nostro pranzo Wayne ha improvvisamente alzato lo sguardo e mi ha fissato negli occhi. “Andare via da lì è stata una benedizione”, mi ha detto. Per un attimo Melinda è rimasta in silenzio. Poi ha annuito. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1462 di Internazionale, a pagina 58. Compra questo numero | Abbonati