Dopo 38 ore di discussione, l’8 dicembre i negoziatori di Bruxelles hanno raggiunto un accordo su una legge che regolamenta l’intelligenza artificiale (ia). L’Unione europea è la prima al mondo ad adottare uno strumento giuridico per disciplinare in maniera globale questo settore.

Chi si aspettava un nuovo episodio di “delirio normativo a Bruxelles” è rimasto deluso, perché la norma, anche se tutela i consumatori su molti fronti, non frenerà l’innovazione. L’Europa potrebbe rimanere indietro rispetto agli Stati Uniti e alla Cina, ma non sarà a causa di questa misura.

La legge impone dei requisiti a tutte le aziende che vogliono sviluppare modelli base per l’ia, chiedendo procedure trasparenti a chiunque usi una gran quantità di dati per addestrare software capaci di elaborare e generare testi, immagini e codici di programmazione. Ma il risultato più importante è un altro: ora i politici europei conoscono l’ia meglio dei loro omologhi in ogni altra parte del mondo.

Quando è scoppiato il clamore intorno ai nuovi software capaci di conversare, la legge sull’ia era in cantiere da tempo. Ma l’irrompere di questi programmi durante il percorso legislativo è stata una gran fortuna per l’Europa, altrimenti difficilmente la loro disciplina sarebbe stata in cima alle priorità di Bruxelles e Berlino. Oggi molti politici europei conoscono bene come si addestrano e funzionano i modelli per l’ia e possono valutarne meglio i rischi e le conseguenze per i loro settori di competenza.

L’Unione si è data una cornice giuridica affidabile per l’uso dell’intelligenza artificiale. Ora deve investire nello sviluppo e nelle infrastrutture. Questi investimenti sono decisivi per ottenere la sovranità tecnologica. Dovrebbero averlo capito tutti. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati