L’Europa è in preda all’inquietudine. In vista delle elezioni, in cui si prevede un avanzamento dell’estrema destra, i leader del continente nascondono a malapena la propria ansia. Pronunciando ad aprile un discorso all’università Sorbona di Parigi, il presidente francese Emmanuel Macron ha colto bene lo stato d’animo dominante: dopo aver eloquentemente lanciato l’allarme sui rischi che corre il continente, ha parlato della necessità di una Europe puissance, di una Europa che torni a essere potenza.

Ascoltando Macron, mi sono tornati in mente i commenti di Niccolò Machiavelli nelle pagine iniziali del Principe, il fondamentale trattato cinquecentesco sul potere politico.

Nella dedica a Lorenzo de’ Medici, signore della Repubblica fiorentina, Machiavelli afferma che la politica è per molti versi simile all’arte. Come i pittori di paesaggi immaginano di essere in pianura per osservare le montagne, e in cima a una montagna per studiare le pianure, così i governanti dovrebbero abitare i propri possedimenti. “A conoscere bene la natura de’ populi, bisogna essere principe”, scriveva Machiavelli, “e a conoscere bene quella de’ principi conviene essere populare”.

Ecco, abbiamo visto un politico fare i conti con la prima parte della frase di Machiavelli, un funzionario in carica che cerca di comprendere come stanno le cose. Cos’è il potere nell’Europa contemporanea, e come dovrebbe essere esercitato nell’Unione europea? Macron ha risposto da principe, mostrandosi consapevole tanto della natura finita di ogni comunità politica – l’Europa è “mortale”, ha detto – quanto della loro ciclica vulnerabilità alle crisi. E ha concluso con un’appassionata difesa della “civiltà” europea, esortando a risollevarla.

Eppure, nonostante le sue aspirazioni, Macron ha trascurato la seconda parte della frase di Machiavelli: anche i popoli hanno delle opinioni sui propri governanti, che però le ignorano a loro rischio e pericolo. Il presidente francese ha liquidato i tanti cittadini che giudicano distanti e inaccessibili le istituzioni europee, affermando che il loro disincanto è il prodotto di “ragionamenti falsi”.

Questo atteggiamento sprezzante non è insolito. Da decenni i leader dell’Unione trascurano le persone nelle pianure, per citare ancora Machiavelli, tagliandole fuori da qualunque partecipazione politica. Questa esclusione ha cambiato i contorni del panorama europeo e ha spianato la strada all’estrema destra.

La situazione si potrebbe risolvere riformando le istituzioni per rafforzare il potere dei cittadini. Ma i politici europei preferiscono impartire lezioni dall’alto

Quando Machiavelli riflette sulle crisi della sua epoca – causate tra le altre cose dai conflitti tra le maggiori potenze europee, dal malcontento nei confronti dei funzionari pubblici e da un crollo di legittimità della chiesa – cerca ispirazione nell’antica repubblica romana. Quando c’è scetticismo sui valori, scrive, la storia è maestra.

Il segreto della libertà romana, spiega nei suoi Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1531), non stava né nella buona fortuna né nella forza militare. Risiedeva piuttosto nella capacità dei romani di mediare il conflitto tra le élite ricche e la grande maggioranza della popolazione. O, come li definiva lui, “i grandi” e “il popolo”.

Se la tendenza innata dei grandi, sostiene Machiavelli, è quella di accumulare ricchezza e potere per dominare sugli altri, il desiderio innato del popolo è quello di non subire l’arbitrio delle élite. Lo scontro tra i due gruppi generalmente polarizzava i sistemi politici in direzioni opposte tra loro.

Ma la repubblica romana era dotata d’istituzioni, come il tribuno della plebe, che cercavano di affermare il potere del popolo e arginare le élite. Solo incanalando questo conflitto, e non soffocandolo, dice Machiavelli, si può salvaguardare la libertà.

L’Europa non ha dato ascolto ai consigli di Machiavelli. A dispetto di tutta la sua retorica democratica, Bruxelles somiglia più che altro a un’istituzione oligarchica.

Controllata da un organismo non elettivo di tecnocrati riuniti nella Commissione europea, i margini di consultazione o partecipazione popolare sulle scelte politiche sono molto limitati. Le regole fiscali, che impongono rigorosi limiti al bilancio dei suoi stati, offrono protezione ai ricchi mentre impongono l’austerità ai poveri.

Da cima a fondo l’Europa è dominata dagli interessi di pochi ricchi che limitano la libertà dei molti.

I problemi del continente, ovviamente, non sono un’eccezione. In tutto il mondo a dettare le regole sono le aziende, le agenzie di rating e i gruppi d’interesse, che ridimensionano molto il potere dei politici. L’Unione europea è ben lontana dall’essere il caso peggiore. Tuttavia nei singoli paesi la parvenza della partecipazione democratica può essere mantenuta attraverso la lealtà a una costituzione condivisa. Nell’Unione europea, che ha come mito fondativo il libero mercato, è molto più difficile ricorrere a questa narrativa.

Spesso si ritiene che l’avversione degli europei per l’Unione derivi dal suo carattere transnazionale. Eppure, quelli che oggi lo contestano non lo fanno perché è troppo cosmopolita, ma perché non lo è abbastanza, perché non è in grado di rappresentarli.

Il parlamento per il quale gli europei voteranno l’8 e il 9 giugno, per citare un esempio lampante del deficit di democrazia dell’Unione, è un organismo che ha scarso potere legislativo e tende a ratificare le decisioni prese dalla Commissione.

Questo vuoto di rappresentanza è occupato dalla destra radicale, che pone il problema in semplici termini binari: o noi o loro; o lo stato o l’Europa; o i lavoratori bianchi o i migranti.

Può sorprendere il fatto che il deficit democratico di Bruxelles sia diventato la parola d’ordine su cui si mobilita l’estrema destra, ma questo spiega bene il suo successo.

Da decenni i leader dell’Unione europea tagliano fuori i cittadini da qualunque partecipazione politica. Questa esclusione ha spianato la strada all’estrema destra

Un recente sondaggio dell’Eurobarometro, condotto regolarmente per conto della Commissione europea in tutti gli stati del continente dal 1973, ha mostrato che i cittadini sono molto più preoccupati dalla povertà, dalla mancanza di lavoro, dalla crisi economica e dal cambiamento climatico che dall’immigrazione.

Questo fa pensare che il richiamo dell’estrema destra abbia più a che fare con la sua critica all’incapacità di Bruxelles di affrontare i problemi quotidiani delle persone che con la sua ostilità verso i migranti.

I politici europei potrebbero cercare di risolvere la situazione cambiando le istituzioni in modo da rafforzare il potere negoziale dei cittadini e farli sentire ascoltati. Invece, preferiscono impartire severe lezioni dall’alto.

L’estrema destra è sicuramente in ascesa in Europa, ma questo non è inevitabile. La politica, dopotutto, è sempre in balia della fortuna. La fortuna, sottolinea Machiavelli nel Principe, è come un fiume: si può impedire all’acqua di straripare costruendo argini e dighe.

Se i leader europei si trovano sempre più a dover gestire le emergenze, è perché non hanno assolto il primo compito della politica nel senso più nobile del termine: diagnosticare le cause della crisi, spiegare chi è rappresentato e chi è escluso, e difendere quelli la cui libertà è in pericolo.

La politica della destra radicale sarà pure etnocentrica, ma è l’unica tra quelle disponibili a riferirsi alle ingiustizie subite dal popolo. I nostri moderni principi possono anche girarsi dall’altra parte. Tuttavia, finché l’estrema destra continuerà a dominare i termini del dibattito pubblico, e le sue radici storiche continueranno a essere accuratamente ignorate, nessun appello ai valori europei fermerà il fiume in cui tutti noi stiamo per annegare. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1566 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati